«Il salvataggio del sistema bancario italiano è semplicemente impossibile senza la rottura delle regole europee. Ma siccome queste regole sottostanno alla concreta architettura dell’unione monetaria, l’unica via è quella dell’uscita dall’euro».
L’abbiamo detto più volte: non si esce dalla crisi bancaria senza rompere le regole europee. E non se ne esce con piccoli rattoppi caso per caso, come immodestamente il governo pretendeva di fare con il modestissimo Fondo Atlante (leggi QUI e QUI). Si narrava che quest’ultimo strumento sarebbe servito ad affrontare il nodo delle sofferenze, dette anche npl. In realtà le sofferenze sono sempre lì, a prezzi di mercato stracciati, ed Atlante – dopo la ricapitalizzazione della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca – ha ormai solo degli spiccioli in cassa.
E’ evidente da tempo che il sistema bancario italiano può essere salvato solo con un intervento diretto dello Stato. In altri termini, con una massiccia nazionalizzazione. La parola fa inorridire i nostrani commentatori, che ammettono sì – e lo credo! – che l’intervento pubblico ha da esserci, pena un tremendo dissesto economico che aprirebbe la strada ad una nuova pesante recessione, ma che tuonano subito dopo contro l’ipotesi di un «ritorno dello Stato banchiere». Come facciano costoro a tenere insieme, nella stessa scatola cranica, questi due inconciliabili concetti è cosa spiegabile solo con la loro arcinota disonestà intellettuale.
Ma veniamo alla nuova puntata del disastro bancario. Puntata che ha un nome ben preciso: Monte dei Paschi di Siena (Mps), la banca simbolo del problema npl. Problema che però non è solo di Mps, ma dell’intero sistema bancario italiano. Ecco perché le scelte che verranno compiute per tamponare la crisi della banca senese avranno forti ripercussioni di tipo sistemico.
In questo articolo non ci soffermeremo troppo sui dettagli, cercando di andare sinteticamente al cuore del problema.
La prima cosa che ha da esser chiara è che l’attuale tempesta borsistica non c’entra nulla con la Brexit. A parte il fatto che, negli ultimi giorni, le quotazioni delle banche inglesi sono le uniche con il segno più, mentre il meno impera a Parigi e Berlino oltre che a Milano, l’innesco del tracollo italiano è arrivato da una lettera con la quale la Bce ha chiesto ad Mps di accelerare bruscamente la vendita (leggasi svendita) degli npl. Ovvio che la linea rigorista di Francoforte investirà, prima o poi, anche gli altri istituti. Naturale, dunque, il crollo dei valori azionari del comparto bancario, con Mps a far da lepre in una corsa verso il basso che piace assai agli speculatori.
Sulle vere cause della crisi delle banche europee (dunque non solo quelle italiane) è utile leggere quanto scritto ieri da Morya Longo sul Sole 24 Ore:
«Perché la bufera finanziaria post-Brexit si è riassorbita praticamente in tutti i settori, tranne che su quello bancario? La risposta è ovvia: perché il sistema bancario ha oggi (dopo Brexit) e aveva ieri (prima di Brexit) una serie di problemi strutturali molto vistosi. Uno: bassa redditività a causa dei tassi zero. Due: elevati costi, a causa dell’eccesso di sportelli in Italia e in Germania. Tre: eccessivi crediti deteriorati in Italia, eccessivi derivati in Germania. Quattro: scarsità di capitale per far fronte a problematiche così evidenti. Cinque: un modello di business non più adeguato ai tempi. Brexit è solo un pretesto per la speculazione, i problemi sono ben altri»
Soffermiamoci ora sul punto quattro. Evocando la «scarsità di capitale», Longo ammette implicitamente che (almeno in questo caso) il capitalismo ed il mercato non funzionano. Chissà cosa ne pensa il Bomba, che durante il precedente crollo borsistico di gennaio cantò un’improvvida lode al mercato che avrebbe risolto ogni problema!
Certo, in termini di dottrina, i mercatisti potrebbero spingersi a sostenere la bontà di una serie di fallimenti bancari. In fondo, se i privati non intendono rischiare i loro soldini e se lo Stato non può intervenire perché è peccato, che le banche se ne vadano a picco e non se ne parli più. Tuttavia, neppure tra i più sfegatati cantori delle teorie neoliberiste, nessuno si spinge a tanto. Ed il perché è presto detto: in un capitalismo iper-finanziarizzato come l’attuale il crollo delle banche sarebbe il crollo del sistema. Ovvio allora che verrà impedito, ma come?
Quel che i cinque punti di Morya Longo non dicono è che oggi l’intervento dello Stato è vincolato alle norme dell’Unione Bancaria. Il che significa che l’intervento pubblico può scattare solo dopo l’applicazione del bail in. Una norma capestro che strangolerebbe alla fine (sia pure in varia misura) milioni di risparmiatori. L’Unione Bancaria è dunque un fattore di crisi – specie per paesi come l’Italia – ancora più importante degli altri elencati da Longo.
In questo momento non sappiamo come verrà risolta l’agonia di Mps. Era solo 5 giorni fa, quando i giornali annunciavano trionfanti che la Commissione Europea aveva concesso all’Italia un periodo di sei mesi durante il quale lo Stato avrebbe potuto fornire proprie garanzie sulle emissione di titoli bancari in caso di scarsa liquidità. Sono bastati tre giorni e si è visto che quello scudo non serve praticamente a nulla. Il problema non si risolve infatti con delle semplici garanzie, ci vogliono invece soldi “veri” per effettuare le necessarie ricapitalizzazioni. E il nodo è sempre quello: chi mette i soldi?
Difficile che Atlante possa essere rifinanziato (da soggetti privati più Cdp) in misura adeguata. Ma anche se lo fosse per Mps, come affrontare poi lo stesso problema delle altre banche in difficoltà? Adesso si parla anche di ricapitalizzazione «precauzionale» a carico dello Stato, che sarebbe l’unico modo di derogare alle norme dell’Unione bancaria, evitando così il meccanismo del bail in. Ma su questo a Bruxelles (per non parlare di Berlino) si storce il naso. La Commissione vorrebbe almeno tosare i possessori delle obbligazioni subordinate, che nel caso di Mps valgono qualcosa come 5 miliardi. Avremmo così una sorta di “bail in parziale”. Viceversa, il governo, altro non fosse che per evidentissime ragioni di consenso, vorrebbe evitare una conclusione del genere che metterebbe in luce quanto improvvida e dilettantesca sia stata la gestione del problema da parte italiana.
Come si sarà capito la partita è davvero gigantesca. E qualunque accordo verrà alla fine trovato tra Roma e Bruxelles non sarà senza conseguenze.
Qualora il bail in venisse aggirato nel caso Mps, come impedire che altre banche (non solo italiane) ed altri governi tentino la medesima strada per venir fuori dalla trappola? Qualora invece si decidesse di dar corso (anche solo parzialmente) al bail in, come evitare una crisi finanziaria potenzialmente devastante?
Insomma, andando a stringere, l’alternativa è tra la messa in discussione della stessa Unione Europea (delle sue regole, della sua moneta, eccetera) e la quasi certezza di un nuovo 2008, questa volta incentrato in Europa con epicentro l’Italia.
E qui arriviamo al dunque. Forse adesso potranno esserci accordi, accordicchi e trucchetti vari per permettere a tutti di dire di non aver violato le regole. Ma sarebbe solo una pagliacciata.
Magari, anche se al momento non sembra proprio scontato, l’Unione potrà forse ammettere un’eccezione nel caso Mps, ma mai potrà accettare che quell’eccezione diventi la regola. Dunque il salvataggio del sistema bancario italiano è semplicemente impossibile senza la rottura delle regole europee. Ma siccome queste regole sottostanno alla concreta architettura dell’unione monetaria, l’unica via è quella dell’uscita dall’euro.
Naturalmente, repetita iuvant, per noi salvataggio e nazionalizzazione delle banche hanno da essere la stessa cosa. Il salvataggio è necessario per impedire un ulteriore tracollo economico, ma il sistema finanziario deve essere posto sotto il controllo pubblico affinché divenga strumento finalizzato al Bene Comune: per avviare politiche di piena occupazione, realizzare gli investimenti di cui il Paese a bisogno, favorire il credito ed uno sviluppo al servizio dei cittadini e dell’ambiente.
Lorsignori stanno solo cercando di prendere tempo, ma il loro castello eurista è alla frutta. Prima cade e meglio è. L’esplosiva crisi bancaria è lì a dimostrarcelo.