Sinistra Italiana: dalle “relazioni pericolose” alle rimozioni fatali

Sabato scorso, 16 luglio, Sinistra Italiana (SI), il nuovo partito che dovrebbe nascere sulle ceneri di Sel con l’innesto dei fuoriusciti dal Pd come Fassina e D’Attorre, ha celebrato la sua assemblea nazionale. Un appuntamento importante dopo i deludenti risultati elettorali alle recenti amministrative, segnate anzitutto dall’avanzata del Movimento 5 Stelle (M5S) e dallo smacco subito da SI anzitutto a Roma.

Per la cronaca: un primo giudizio su SI noi l’avevamo dato subito dopo il battesimo del febbraio scorso, ovvero Cosmopolitica — un nome un programma.

La batosta elettorale ha lasciato le sue ferite. 300 militanti e dirigenti vendoliani di Sel, capeggiati dal sindaco di Cagliari Massimo Zedda hanno disertato l’assemblea ed hanno anzi chiesto le dimissioni di tutto il gruppo dirigente di Sel, l’azzeramento dell’esperimento di SI, riproponendo la vecchia strada, quella dell’alleanza col Pd. I 300 lo han fatto con un documento al vetriolo che attesta quanto deteriorato sia il clima dentro Sel e quindi SI, coi vendoliani che non solo non accettano lo scioglimento ma sono decisi a riproporre un posizionamento politico di satellite del Pd, “oggi renziano, domani chissà”, dicono.

L’assemblea del 16 luglio pare aver sancito una vittoria con largo margine di quella che potremmo definire “ala sinistra” che fa capo alla troika Fratoianni-Fassina-D’Attorre. E’ proprio quest’ultimo che ha aperto i lavori dell’assemblea, ammettendo la sconfitta ma ribadendo il discorso, che più o meno suona così: “Il Pd con Renzi ha subito un mutamento genetico, il centro-sinistra è defunto e per farlo eventualmente rinascere occorre dare vita ad un nuovo polo politico (SI appunto), quindi niente alleanza col Pd ma puntare a rappresentare i settori sociali che la crisi ha falcidiato”.

Anche sorvolando per amor di patria sulla pornografica nostalgia per il centro-sinistra che fu, salta agli occhi l’insipienza, la debolezza di una simile visione politica.

Ci ha pensato l’ottuagenaria Luciana Castellina, in un suo intervento su il manifesto del 19 luglio, ad aiutarci nel decodificare la visione politica della nascente SI, a fornircene un estratto chimico. Dopo aver compiuto una difesa d’ufficio della linea difesa da Fratoianni e D’Attorre, la Castellina, scrive:

«La parvenza di realismo della posizione dei nostalgici del centrosinistra sta nel dire: un altro schieramento governativo oggi non c’è. Il che è assolutamente vero. (…) Prendere d’atto che per ora non esiste una formula sostitutiva del defunto centrosinistra a livello nazionale —altra cosa sono le istituzioni locali, perché il territorio sta già dando prova di essere ricco di energie e formule inedite di rappresentanza — non rende tuttavia affatto meno credibile il nostro discorso. (…) Non vuol dire ignorare la necessità di conquistare un ruolo istituzionale e rifugiarsi nella cuccia dell’extraparlamento. Anche questa battaglia può portare frutti corposi: basta con questa ossessione “governista” che delega i risultati solo e sempre a quanto potrebbe fare un governo. Il vecchio Pci al governo non c’è stato mai, ma sappiamo che quasi tutto quanto di buono abbiamo conquistato è stato merito della sua azione. Anche allora non c’era una prospettiva immediata di governo, ma quel partito è stato efficace perché ha saputo conservare un’ottica di governo ( che è altra cosa), senza chiudersi in sterili minoritarismi. Attrezziamoci a creare le condizioni per ottenere altrettanto, nelle forme adeguate ai tempi presenti».

Col pretesto di criticare la “ossessione governista” dei vendoliani di Zedda, la Castellina ne condivide l’assunto da cui tutto il resto viene: non ci sarebbe oggi in Italia uno schieramento governativo alternativo a quello eurofilo ed oligarchico che fa perno sul Pd. Se i vendoliani da questo assunto ne ricavano che occorre aggrapparsi alla sottana del Pd, i diversamente vendoliani ne deducono che (vedi l’analogia col vecchio PCI) occorre attrezzarsi ad una prolungata e minoritaria traversata nel deserto.

Tre imperdonabili rimozioni

Non perdo tempo a spiegare che l’analogia col PCI non sta né in cielo né in terra. Ma noi siamo di manica larga, vogliamo concedere alla Castellina una clemente licenza poetica. Andiamo al sodo. Occorre proprio avere la testa fra le nuvole per immaginare che alle prese con quella che è la più grave crisi sistemica della storia di questo paese — in quella che Gramsci avrebbe definito “crisi organica”: ovvero economica, sociale, istituzionale, politica e morale — ci siano lo spazio ed il tempo per una lunga e prolungata lotta di trincea o guerra di posizione che consenta ad un piccola minoranza, attraverso una lenta e tenace progressione molecolare, di diventare maggioranza.
Sul lungo periodo, come ebbe ad affermare J. M. Keynes, “saremo tutti morti”.

Il tessuto connettivo, economico e sociale del nostro Paese, non può resistere a lungo in queste condizioni. L’Italia, altro che le scemenze berlusconiane di Renzi, va verso uno sfascio di proporzioni incalcolabili. E’ senso comune che dal marasma se ne esce con una svolta radicale, e che questa svolta è alle porte.

Avremo una svolta reazionaria o democratico-rivoluzionaria? Questa è la questione, che invece SI rimuove. E’ facile predire che con questa prima rimozione SI non va molto lontano.

Occorre poi essere ciechi per non vedere come, almeno a partire dal 2013 per una parte crescente del popolo lavoratore italiano, quella che noi riteniamo la parte più indignata, sveglia e vitale, un’alternativa di governo esiste, e questa si chiama M5S.

Come possono, politici di lungo corso come quelli che dirigono SI, non vedere questo fenomeno eclatante? Come possono (controprova fattuale) non vedere le grandi manovre di questi giorni capofila Napolitano che per nome e per conto delle oligarchie euriste si dimenano per sventare un eventuale governo M5S?

Un gruppo dirigente di una sinistra che si rispetti dovrebbe, se non avesse perso per strada il contatto con la realtà pulsante, vista la situazione del Paese alle soglie dello “Stato d’eccezione”, chiamare ad un governo popolare di emergenza, di cui, non c’è dubbio, M5S sarebbe l’arco di volta. Dovrebbe dunque incalzare M5S affinché abbandoni ogni ambiguità politica (“diteci che farete una volta al governo per mettere in sicurezza questo Paese”) ed offrire la propria disponibilità ad un’alleanza democratica per sostituire il governo oligarchico imperniato sul Pd e sostenuto dall’euro-oligarchia.

I dirigenti di SI certe cose le sanno bene, anzi le sanno a memoria. Se non avanzano con questa linea politica (fatte salve certe eccezioni dette a mezza bocca da Fassina e D’Attorre) è perché sono prigionieri di una seconda rimozione. Si evita bellamente di fare i conti col fenomeno M5S.
No, con le rimozioni non si va lontano.

Se poi a queste aggiungiamo il taboo dell’uscita dall’euro e della sovranità nazionale, ovvero la terza rimozione, quella della presa d’atto del fallimento conclamato dell’Unione europea — e qui occorre di nuovo segnalare l’eccezione di Fassina e D’Attorre, che invece, proprio di recente, hanno firmato il manifesto LEXIT per l’uscita dall’euro — abbiamo fatto il pieno, ovvero “il buco col niente intorno”, l’abisso della vacuità avrebbe detto Hegel.


PS – Ernesto Laclau ed il populismo di sinistra

La Castellina ci riferisce che dentro SI si aggira un fantasma:
«All’assemblea di via dei Frentani si è sentita molto spesso l’eco, soprattutto negli interventi dei più giovani, del dibattito che è riemerso sul populismo di sinistra, reintrodotto da Laclau tramite Pablo Iglesias. Anche questo mi pare un tema da affrontare. Capisco la preoccupazione di chi teme un distacco dalle masse popolari, l’intellettualismo di certo sinistrese, il timore che suscita vedere la sinistra vincere solo fra i ceti medi colti e non più nelle periferie. Ma non semplifichiamo troppo questo discorso».

Confessiamo di aver rizzato le orecchie.
Che qualcosa, nel camposanto della sinistra, si stia effettivamente muovendo?
Come i lettori sanno noi sosteniamo che quel che ci serve è appunto un “partito populista di sinistra”, che recuperi il discorso gramsciano del nazionale-popolare.

Proprio il 2 e 3 luglio P101 ha affrontato il discorso, in particolare nella sessione “Il nuovo soggetto politico e la questione del populismo“, relatori Diego Melegari e l’ospite d’eccezione Manolo Monereo. E sulla stessa lunghezza d’onda come non segnalare il convegno svoltosi a Parma il 25 giugno e quindi la prolusione di Mimmo Porcaro?