I consiglieri economici della Merkel non credono più al Fiscal compact, si preoccupano di mettere al sicuro i loro soldini e intanto giocano allo sfascio dell’economia italiana

Ai tedeschi piace l’euro, almeno fino a quando continuerà a dargli i ben noti vantaggi che sappiamo. Ancor di più, ai tedeschi piacciono gli euri. Quelli che gelosamente custodiscono nelle loro casseforti, e che non intendono proprio scucire. Neppure se ciò dovesse servire a salvare l’euro, inteso questa volta come moneta unica dei 19 paesi dell’eurozona.

Ho l’impressione che vista da Berlino questa contraddizione tra euro ed euri cominci ad esser cosa seria assai. L’ultima notizia che ci giunge da quelle parti ce ne dà una conferma piuttosto lampante. Come riferisce Federico Fubini sul Corsera, il Consiglio tedesco degli esperti economici ha già in canna un colpo assai pesante per affondare le economie del Sud Europa, quella italiana in primo luogo.

Attenzione, perché il suddetto “Consiglio” non è un Think tank come tanti. No, questo organismo è composto da cinque economisti nominati direttamente dal governo di Berlino. I cinque non sono lì solo per “pensare”, ma soprattutto per proporre. E le loro proposte dettano spesso le linee guida dell’azione di Schauble e Merkel.

In ogni caso l’ultima propostina è stata varata, ed ha un titolo abbastanza ghiotto: «Un meccanismo per regolare la ristrutturazione dei debiti sovrani». Ora, tra i nostri lettori nessuno sarà così ingenuo da pensare che questi rispettabili signori si occupino del debito di casa loro. In tutta evidenza la proposta ha per oggetto i debiti degli altri paesi dell’eurozona, quelli della sponda sud in maniera specifica. D’altronde in Europa c’è chi, come il governo italiano, deve chiedere il permesso anche per andare in bagno a casa propria, e chi può invece decidere sul destino di interi popoli riunendosi comodamente tra vecchi amici a Berlino. Il documento reca in calce la firma di Lars Feld, un tipo di cui ci siamo già occupati qui.

La proposta è molto semplice: abbiamo messo in campo il bail in bancario? Bene, adesso è il momento di passare al bail in sui titoli di Stato. Tutti sanno ormai che il bail in bancario prevede che uno Stato possa salvare una banca solo dopo che a tale salvataggio abbiano partecipato gli azionisti, gli obbligazionisti ed i correntisti sopra i centomila euro. Tralasciando qui per brevità i dettagli tecnici, l’importante è capire il principio ispiratore, quello secondo cui i creditori debbono pagare la loro parte per risanare una banca. Un principio in apparenza accettabile, se non fosse che tra i cosiddetti “investitori” vi sono spesso risparmiatori sostanzialmente ignari del meccanismo infernale in cui hanno collocato i loro averi. E se non fosse che grazie a tale meccanismo si tende a mandare in rovina il sistema bancario di alcuni paesi, anche per poterci poi mettere le mani sopra con qualche spicciolo.

Lo stesso giochino Lars Feld e soci lo vogliono ripetere con i debiti pubblici. In questo caso è in ballo il ruolo dell’Esm (European Stability Mechanism), il cosiddetto “fondo salvataggi europeo”. In questo fondo i tedeschi hanno ovviamente la quota principale, e l’obiettivo della loro iniziativa è proprio quello di evitare ogni forma – fosse pure la più modesta – di condivisione del debito. La proposta dei Cinque è infatti netta: prima dell’intervento dell’Esm, gli Stati debbono ristrutturare il debito, sospendendo come prima misura i rimborsi dei titoli di Stato quando un governo dovesse chiedere aiuto al fondo europeo.

Ora, che prima o poi si renda necessaria una ristrutturazione del debito in paesi come l’Italia è cosa fin troppo ovvia. Ma che le regole di questo intervento vengano decise a Berlino sembrerebbe davvero troppo. Eppure la pretesa è proprio questa.

Quali sarebbero le conseguenze per l’Italia, ma non solo, se la Germania (come di solito avviene) riuscisse anche in questo caso ad imporsi? La risposta è assai semplice. Così come il bail in bancario ha finito per mettere in ginocchio un sistema già in forte difficoltà per il lascito di 8 anni di crisi economica, l’eventuale bail in dei titoli di Stato avrebbe come primo effetto l’aumento dei tassi di interesse e dunque del costo del debito. In altre parole tornerebbe d’attualità il signor spread, tanto più che – molti se lo dimenticano ma la scadenza è ormai prossima – il quantitative easing della Bce dovrebbe terminare (o comunque rallentare) nel marzo del prossimo anno. Come noto, l’aumento dello spread non è solo uno svantaggio per paesi come l’Italia, ma è pure un vantaggio diretto per quelli come la Germania, che oltre a godere di tassi negativi sui titoli del proprio debito  ci guadagnano pure in competitività. Capite quanto sono disinteressati i Cinque? E quanto è solidale l’Europa?

Se le ragioni tedesche sono tanto chiare quanto bieche, bisogna però chiedersi qual è lo scenario che fa da sfondo alle proposte dei consiglieri della Merkel. E qui la campana suona a morto, quantomeno per il fiscal compact. Mettendo il lutto, Fubini non può fare a meno di riconoscerlo. «La Germania» – ci informa – «semplicemente sta smettendo di credere al patto di stabilità ed ai suoi bizantini rituali». E ancora: «Lo scetticismo verso l’architettura del fiscal compact europeo è talmente profondo che poco sotto il testo di Feld e colleghi propone di non tenere conto del fatto che un Paese sia già soggetto – o no – a una procedura di Bruxelles sui suoi conti. La valutazione del fondo salvataggi sulla sostenibilità del debito di un governo – si legge – dev’essere “indipendente”». Insomma, a Berlino non si fidano troppo neppure della solitamente fida Commissione UE.

Dopo aver messo in luce i sicuri rischi di destabilizzazione economica della normativa proposta, uno sconsolato Fubini così conclude: «Ma l’obiettivo del documento di oggi non è stabilizzare l’area euro: è ridurre al minimo i fondi che la Germania rischia di dover trasferire per salvare altri Paesi in futuro». Di chi si stia parlando lo esplicita graziosamente il dott. Feld: «Grandi economie avanzate come l’Italia sono probabilmente troppo grandi per essere salvate in ogni caso».

La campana tedesca suona dunque a morto per l’economia italiana? Certamente sì, ma suona a morto anche per il fiscal compact, e dunque necessariamente anche per l’euro. Del fiscal compact abbiamo sempre evidenziato la sua insostenibilità – ed i fatti ci hanno dato ragione, come il patetico mendicare decimali di Renzi dimostra piuttosto bene. Ma abbiamo anche sempre detto un’altra cosa: che, per quanto folle, quel meccanismo era necessario per l’oligarchia eurista per tentare di salvare la moneta unica. Senza condivisone del debito, solo una sua forzosa convergenza (a questo doveva servire il fiscal compact) avrebbe potuto quantomeno allungare i tempi dell’agonia dell’euro.

Adesso il massimo pensatoio in terra di Germania prende atto dell’irrealizzabilità di quel disegno. Quando ne prenderanno atto i “pensatori” di casa nostra non sappiamo. Quel che sappiamo è che l’ora della verità si avvicina. E che le oligarchie europee non molleranno la presa sui popoli solo perché dovranno prima o poi mollare la loro moneta.

A dispetto del totale fallimento del progetto monetario, per non parlare di quello politico che faceva da sfondo, quando il momento decisivo giungerà il loro piano sarà quello di mantenere in piedi, magari rafforzandola, la gabbia di regole che hanno costruito per assicurarsi il dominio su una società frantumata e impoverita, non solo materialmente, dalla spietata applicazione dei loro dogmi neoliberisti.

Dobbiamo impedirglielo. Ma per farlo occorre una risposta ed una forza politica. Il tempo stringe e conosciamo le difficoltà. Alternative però non ce ne sono.