Palestina. Sciopero della fame contro la detenzione amministrativa

Un centinaio di detenuti palestinesi rifiutano il cibo per chiedere la scarcerazione dei prigionieri Al Balboul e di Al Qadi, ricoverati in gravi condizioni di salute

Sono ora un centinaio i detenuti palestinesi che mercoledì hanno iniziato a digiunare in solidarietà con i fratelli Muhammad e Mahmoud Balboul e Malik al-Qadi, in sciopero della fame da circa due mesi come forma di protesta contro la detenzione amministrativa, senza accusa e senza processo. Le condizioni di salute dei tre detenuti, ricoverati presso ospedali israeliani, stanno infatti peggiorando. Muhammad e Mahmoud Balboul, in sciopero della fame rispettivamente da 72 e 75 giorni, soffrirebbero di cecità temporanea, difficoltà a parlare, forti dolori allo stomaco e perdita di coscienza.

Malik al-Qadi, 25 anni – studente di giornalismo e media presso l’università al-Quds – in sciopero da 63 giorni, è in condizioni più critiche ed è entrato in coma sabato scorso; il giovane, ricoverato presso il centro medico israeliano Wolfson, sarebbe stato colpito da una grave infezione polmonare accompagnata da abbassamento della frequenza cardiaca oltre che da complicazioni al sistema urinario e perdita dell’udito. Sembra che la settimana scorsa le autorità israeliane abbiano tentato di alimentare forzatamente al-Qadi, ma egli abbia resistito e sia caduto a terra. Sua madre ha sollecitato il governo palestinese ed i gruppi per i diritti umani di intervenire immediatamente per salvare la sua vita, “Mio figlio sta morendo in questo momento” – ha detto – “gente del mondo, per favore ascoltate la mia implorazione ed il mio dolore.”

Giovedì il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha rilasciato un comunicato nel quale ha espresso preoccupazione sul deterioramento delle condizioni di salute di Al-Qadi e dei fratelli Al Balboul. L’organizzazione ha voluto sottolineare che il proprio staff medico sta continuando a monitorare le condizioni di salute dei detenuti ed il loro trattamento da parte delle autorità carcerarie israeliane. “Il Comitato Internazionale della Croce Rossa è rimasto in stretto contatto con le loro famiglie tenendole informate sugli sviluppi secondo la loro volontà e trasmettendo comunicazioni personali”, si legge nel comunicato.

Nelle ultime settimane, gruppi di giovani, attivisti e politici palestinesi hanno organizzato presidi presso uffici della Croce Rossa Internazionale in Cisgiordania, recentemente a Betlemme, in solidarietà con i detenuti palestinesi in sciopero della fame in detenzione amministrativa. I manifestanti hanno chiesto alla Croce Rossa Internazionale – ed in generale a tutte le organizzazioni che operano in Palestina – di adoperarsi concretamente per cercare di risolvere la questione dei detenuti in sciopero della fame.

Le detenzioni dei tre prigionieri erano state “sospese” ma non cancellate dalla Corte suprema israeliana: venerdì scorso una corte israeliana aveva temporaneamente sospeso la detenzione amministrativa dei tre detenuti fino al miglioramento delle loro condizioni di salute. Successivamente, un’altra udienza dovrebbe stabilire il loro rilascio o una nuova condanna. Tuttavia, i tre detenuti hanno deciso di proseguire lo sciopero della fame fino a quando saranno completamente rilasciati dalla detenzione amministrativa.

La detenzione amministrativa permette alle autorità israeliane di trattenere palestinesi per periodi di tempo indefiniti – periodi minimi di sei mesi soggetti a rinnovo – sulla base di informazioni segrete e senza mostrare alcuna prova che possa giustificare la loro detenzione né dare ai detenuti il diritto ad un processo. Il numero dei palestinesi in detenzione amministrativa sembra salire e le vittime sono spesso attivisti politici e sociali. Secondo Addamer, nel mese di agosto sono 7.000 i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, di cui 700 in detenzione amministrativa e 340 minori. Una politica che ha generato molte preoccupazioni nelle organizzazioni per i diritti umani, anche alla luce del fatto che spesso i prigionieri vengono riarrestati in stato di detenzione amministrativa subito dopo il loro rilascio o trattenuti in carcere oltre il tempo stabilito.

Un esempio recente è il caso di Bilal Kayed, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, rimasto in sciopero della fame per 71 giorni, poiché al termine della sua condanna di 14 anni è stato informato dell’emanazione di un ordine di detenzione amministrativa di sei mesi. Il governo israeliano ha giustificato la decisione sostenendo che Kayed costituisse una minaccia alla sicurezza di Israele ed il suo riarresto fosse bastato su informazioni riservate. Infine Kayed ha terminato lo sciopero dopo il raggiungimento di un accordo per la sua scarcerazione prevista il 12 dicembre, al termine dei sei mesi di detenzione amministrativa.

Ha innescato ulteriore indignazione, la settimana scorsa, la decisione della Corte Suprema israeliana di respingere un appello dell’Associazione medica israeliana e di associazioni per i diritti umani e di considerare “legittima” la legge del luglio 2015 che consente di nutrire con la forza i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. Il capo dell’Associazione medica israeliana ha chiesto ai dottori di rifiutare l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame nonostante la decisione della Corte Suprema israeliana. In una lettera inviata ai medici israeliani, il dottor Leonid Eidelman ha chiesto loro di rispettare i principi di deontologia medica. La legge consente alle autorità israeliane di nutrire con la forza i detenuti contro la loro volontà se il deterioramento delle loro condizioni di salute possa costare loro la vita e se la misura venga approvata dal procuratore generale e da un giudice distrettuale.

La procedura prevede la trasmissione di cibo nel corpo del paziente attraverso le vene, un taglio sullo stomaco o attraverso un tubo di gomma o di plastica inserito nel naso o nella gola del paziente. Secondo opinioni locali, l’alimentazione forzata, in realtà, non è una misura adottata principalmente per salvare la vita dei prigionieri, essa nasconde altre motivazioni. La morte di un detenuto potrebbe infatti innescare disordini e manifestazioni, incoraggiare altri prigionieri a digiunare, aumentare la pressione internazionale contro la politica israeliana della detenzione amministrativa e la richiesta di indagini.

La Corte, consapevole di queste preoccupazioni, ha di fatto scritto che gli scioperi della fame hanno “implicazioni che vanno al di là della questione personale del detenuto in sciopero della fame”. Una scelta che va quindi in senso opposto alle posizioni delle associazioni per i diritti umani, degli esperti delle Nazioni Unite e delle associazioni mediche israeliane e internazionali che ritengono l’alimentazione forzata una grave violazione dell’etica medica e del diritto internazionale, una pratica che equivale alla tortura ed al maltrattamento.

da Nena News