A proposito della strappo tra Renzi ed il duo Merkel-Hollande all’ultimo vertice UE

Sul Corriere della Sera di ieri Federico Fubini, trascurando comprensibilmente l’inutile Hollande, si è occupato dei rapporti tra Renzi e Merkel dopo il vertice UE di Bratislava. Il suo parere è che tra i due capi di governo sia in atto un “dialogo fra sordi”.

Siccome la cosa va avanti da tempo, la domanda da porsi è la seguente: quanto fumo e quanto arrosto c’è dietro le scintille tra i due?

La tesi di Fubini è piuttosto semplice: i capi dei governi di Roma e Berlino hanno due agende diverse, a tratti necessariamente contrapposte, in ogni caso dominate da esigenze interne.

Nonostante lo shock della Brexit, Merkel vuol congelare l’UE fino al 2017, quando l’attenderanno difficili elezioni politiche. Elezioni nelle quali potrebbe anche dover rinunciare alla candidatura, qualora la CSU bavarese gli togliesse l’appoggio. E certo i pessimi risultati della sua CDU in Meclemburgo- Pomerania e domenica scorsa a Berlino non l’aiutano.

Renzi ha invece bisogno di dare il senso di un certo cambiamento sulla questione dell’immigrazione e, ancora più importante, di una sostanziale copertura tedesca ad una politica di bilancio non troppo rigida. In ballo c’è l’esito del referendum. Di conseguenza il futuro suo personale e del gruppo di potere che gli si raccoglie attorno.

Messa così la questione potrebbe far pensare ad un mero gioco delle parti: i due fingono di litigare per ingraziarsi le rispettive opinioni pubbliche. Non sarebbe una novità, né sarebbe l’ultima volta di simili sceneggiate. Specie da quando la politica è immagine, e la comunicazione ha i ritmi frenetici del “tempo reale”, la storia è piena di simili episodi. E che lo strappo di Bratislava abbia le caratteristiche della sceneggiata non c’è dubbio.

Questo significa che si tratti di solo fumo? Non è il mio parere. E, mi pare, neanche quello di Fubini. Certo, Renzi ci ha abituati a momenti di scontro verbale molto forte, come nel gennaio scorso, seguiti da ben pochi atti concreti. La sua politica è stata quella di tirare la corda per ottenere un posto a tavola, cioè nella cosiddetta “cabina di regia” europea. Obiettivo che sembrava raggiunto dopa la Brexit, ma rimesso in discussione ora.

L’incontro di Atene dei leader del Sud Europa, tenutosi il 9 settembre scorso, aveva fatto indispettire i tedeschi. «Hollande ora è con noi e possiamo finalmente contare e mettere la Merkel sotto pressione», aveva improvvidamente detto Renzi. La risposta della cancelliera è stata chiara ed anche efficace: ripristino dell’asse Berlino-Parigi, che Hollande ha subito accettato (anche lui ha la sua agenda), emarginazione dell’Italia e calcio negli stinchi alle aspirazioni dell’Europa mediterranea.

Fin qui i giochi e gli equilibri di potere dentro la sempre più incasinata Unione (si fa per dire) Europea. Ma c’è dell’altro. Se il fumo di una propaganda puntata alle rispettive scadenze elettorali è prevalente, questo non vuol dire che non vi sia anche un po’ di arrosto. Un arrosto che non è rappresentato solo dai nodi dell’immigrazione e delle immediate politiche di bilancio. Sullo sfondo rimane, pesante come un macigno, la questione bancaria. Questione ben lungi dall’essere risolta, e che potrebbe tornare a scoppiare a breve sui mercati finanziari.

Insomma, dietro al nervosismo di Renzi, alla sua necessità di smarcarsi, ci sono anche corposi interessi materiali. E’ pensabile che le classi dominanti accettino all’unanimità e per sempre il dissanguamento del paese, il dissesto del suo sistema bancario, la calata dei predatori nord-europei sulle spoglie del sistema economico e produttivo nazionale? Certo, l’interessata integrazione dei grandi potentati economici italiani nei meccanismi del neoliberismo europeo è piuttosto evidente. Ma a tutto c’è un limite. Non scordiamolo.

Dopo la conclusione del vertice di Bratislava, Renzi ha tirato in ballo non solo le politiche sull’immigrazione, non solo la mitica “flessibilità”, ma anche il surplus commerciale tedesco e l’impossibilità di applicare il fiscal compact, denunciando poi un’Unione che non sembra ancora aver capito cosa significhi l’uscita della Gran Bretagna. Non proprio robetta da poco.

Certo, nel tira e molla mediatico al quale assisteremo nelle prossime settimane, molto continuerà ad essere il fumo, mentre l’arrosto verrà tenuto ben nascosto. Il che non vuol dire, però, che non ci sia. Ricordarselo non è solo un’esigenza analitica, è anche una necessità politica rispetto alla corretta impostazione della campagna referendaria, che ha da essere non solo contro Renzi (che della controriforma costituzionale è l’autore), ma anche contro l’Unione Europea che ne è per molti versi l’ispiratrice.

Chiudiamo con un altro aspetto della questione.
Ammesso e non concesso che si tratti di solo fumo, che dire di un’UE i cui leader principali, capi di governo dei tre più importanti paesi, hanno bisogno di una simile sceneggiata? Due osservazioni si impongono. La prima: che questi leader, e questi paesi, abbiano agende e priorità completamente diverse è la più plateale dimostrazione del fallimento del progetto politico europeista. La seconda: il fatto che per vincere le rispettive elezioni nazionali (incluso il referendum italiano) ognuno abbia bisogno di litigare con i partner è la dimostrazione di quale sia il sentimento prevalente dei popoli europei.

Altro che rafforzamento del progetto unionista, come risposta e conseguenza della Brexit, di cui qualcuno vaneggia!