Come previsto: macché Consulta, macché parlamento, la sorte dell’Italicum verrà decisa dal referendum

Dunque l’equinozio d’autunno non ha portato alcuna tempesta politica. Alla Camera la mozione di Sinistra Italiana, votata anche da M5S che ha poi raccolto 74 voti a sostegno della sua proposta di legge, non ha avuto alcun effetto. Mentre anche la destra ha ottenuto la miseria di 43 voti su un testo alquanto generico, la mozione di maggioranza è passata con 293 voti contro 157.

Questa mozione non dice assolutamente nulla, limitandosi ad una disponibilità a «consentire ai diversi gruppi parlamentari di esplicitare le proprie eventuali proposte di modifica della legge elettorale attualmente vigente e valutare la possibile convergenza sulle proposte». Eccola qui la famosa “apertura” di Renzi! E che ci voleva una risoluzione parlamentare per affermare una simile banalità? Siamo dunque di fronte al nulla circondato dal niente. Come previsto Renzi va dritto sulla sua strada.

Che in parlamento non sarebbe successo nulla di importante già si sapeva. Diverso il discorso sulla Corte Costituzionale. Quest’ultima, lunedì scorso, ha annunciato la scelta di rinviare il proprio giudizio sull’Italicum – originariamente previsto per il 4 ottobre – a data da destinarsi, cioè a dopo il referendum. Una decisione che merita qualche commento.

In primo luogo l’annuncio del rinvio è certo il frutto di uno scontro interno. In secondo luogo, è chiaro che non si è voluto mettere in difficoltà Renzi. In terzo luogo, rimandando la decisione la Corte si riserva di fatto un probabile ruolo di decisore d’ultima istanza della nuova legge elettorale.

Se la prima osservazione è fin troppo ovvia, evidenziando un opportunismo certo non nuovo dalle parti del Palazzo della Consulta, è sulle altre due questioni che bisogna spendere qualche parola.

Dalle parti del governo si ringrazia comprensibilmente la Corte per aver disinnescato una mina assai sgradita a Renzi. Una eventuale bocciatura dell’Italicum avrebbe infatti finito per bollare come incostituzionale l’intera controriforma renziana, basata proprio sul famoso combinato disposto Italicum-legge costituzionale.

E tuttavia, proprio la motivazione del rinvio, incentrata sul fatto di non voler interferire con il voto referendario, dimostra quanto il legame tra referendum e legge elettorale sia di fatto inscindibile. Su questo abbiamo scritto innumerevoli volte e non ci torniamo sopra. Quel che conta è che questo dato di fatto sia oggi riconosciuto anche formalmente, al di là dei patetici tentativi del capo del governo di negare l’evidenza.

Non tutto il male viene dunque per nuocere. Il rinvio della Consulta impedisce il depotenziamento degli effetti politici del referendum, e questo è un bene, anche se ciò vale sia nel caso dell’auspicata vittoria del no, come in quello di un’affermazione del sì.   

Ma abbiamo segnalato una terza questione, per certi aspetti la più importante: il ruolo di supplenza, nei confronti del parlamento, che la Corte si auto-assegna con la decisione di lunedì scorso. Perché annunciare a maggio una decisione ad ottobre, per poi rinviarla a due settimane dalla data indicata? Curioso, no? Eppure è proprio quel che ha fatto il presidente Paolo Grossi. E’ chiaro che una simile giravolta deve avere motivi più profondi di quelli sin qui esaminati.

Quali possano essere questi motivi è presto detto. Con la vittoria del no l’intero sistema politico italiano – che già si regge su una maggioranza che non è tale nel Paese – rischia di andare completamente in tilt. L’Italicum decadrebbe di fatto non essendo applicabile ad un sistema bicamerale, ma come modificarlo in tempi rapidi? Sarebbe capace l’attuale parlamento di trovare un accordo per farlo? Lo stesso sparpagliamento nel voto di ieri alla Camera fa pensare il contrario. Ecco che allora la Corte Costituzionale potrebbe entrare in gioco, togliendo così le castagne dal fuoco ad un sistema politico imballato.

Ovvio che una decisione ad ottobre avrebbe pregiudicato quella che potrà essere presa magari a gennaio in base a quel che uscirà dalle urne. Non entriamo qui nel merito di quale potrebbe essere questa decisione. Basti sapere che la modifica dell’Italicum può avere varie gradazioni, con effetti sulla legge assai diversi tra loro. Si potrà avere una vera modifica radicale solo con la cancellazione del premio di maggioranza oltreché del ballottaggio. Si avrebbe invece una modifica assai fiacca (e mirata soltanto a colpire M5S) con la cancellazione del solo ballottaggio. Si avrebbe infine un’autentica presa in giro se la modifica si limitasse al ripristino delle coalizioni e del voto di preferenza.

Come si vede, la Consulta ha in mano le chiavi del ridisegno del sistema politico. Ed ha deciso di tenersele ben strette. E’ un bene od un male tutto ciò? Di certo è una conseguenza del pasticciaccio renziano, l’aver voluto fare una legge per un sistema mono-camerale, quando questo sistema deve ancora passare al vaglio del referendum. Ma c’è di più. C’è che quella legge, fatta per garantire una maggioranza spropositata al Pd, potrebbe ora mandare al governo il Movimento Cinque Stelle. Da qui la pittoresca retromarcia di molti estimatori della prim’ora.

Adesso questi pentiti di quel che hanno votato hanno idee assai diverse su come venirne fuori. Ecco perché potrebbe toccare ad una sentenza della Corte la scrittura de facto della nuova legge. Segno di una crisi politica ormai giunta al suo stadio terminale.

Ma non possiamo sapere ora quel che accadrà. Sappiamo invece cosa ci consegna questo quadro. Siccome la futura decisione della Consulta avrà necessariamente una natura politica, così come l’ha avuta quella del rinvio, essa non potrà prescindere più di tanto dal responso delle urne. Diventa quindi ancora più importante vincere il referendum e vincerlo bene. Solo una valanga di no seppellirà veramente l’Italicum. Diamoci tutti da fare.