Le lacrime di coccodrillo dell’ing. De Benedetti

Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io

Carlo De Benedetti [nella foto], uno degli esemplari più voraci dei pescecani della finanza predatoria che oltre ad aver fatto a brandelli l’industria italiana è stato uno degli strateghi del passaggio alla “Seconda Repubblica” — quindi dell’uso del Pds-Ds-Pd come principale arnese da scasso —, ha rilasciato al Corriere della Sera di ieri un’intervista che raccomandiamo di leggere attentamente e su cui quindi vale la pena di svolgere alcune riflessioni.

Il succo può essere riassunto in questa frase:
«L’Occidente è a una svolta storica: è in gioco la sopravvivenza della democrazia, anche a causa della situazione economica e finanziaria. La globalizzazione, di cui tutti noi, e mi ci metto anch’io, eravamo acriticamente entusiasti e ci siamo affrettati a raccogliere i frutti, ha creato una deflazione che ha ridotto i salari della media di tutti i lavoratori del mondo, e ha accresciuto le ingiustizie sociali sino a renderle insopportabili. Si sta verificando la previsione di Larry Summers, l’ex segretario al Tesoro di Clinton: una stagnazione secolare».

De Benedetti profetizza poi che siamo “… alla vigilia di una nuova, grave crisi economica”, rischio accentuato non solo dalle politiche di austerità adottate nell’Unione europea ma dalle tecniche delle banche centrali, compreso il Quantitative easing della Bce di Draghi:
«Le banche centrali hanno tentato di cambiare mestiere: dopo cinquant’anni in cui il grande nemico era l’inflazione, hanno combattuto la deflazione secondo le vecchie teorie, creando moneta. Ma così hanno costruito una trappola. Hanno immesso sul mercato trilioni di dollari, una cifra inimmaginabile e incalcolabile. Non ci sono più titoli da comprare. Ma questo, oltre a mettere in ginocchio il settore bancario, non ci ha fatto uscire dalla stagnazione e dalla deflazione».

Parole e giudizi che, dato il pulpito, hanno il loro peso e segnalano come, anche nei piani alti del potere economico e finanziario oltre ad un acuto senso di realtà serpeggi il panico. Il panico per l’avanzata dei “populismi di destra”, che De Benedetti cita per nome e cognome: Trump, Le Pen, i governi nazionalisti ungherese e polacco, l’avanzata dell’estrema destra in Austria, Olanda, ecc. Il Nostro è tranchant e agita il famigerato spauracchio: “una situazione da anticamera del fascismo”.

Al giornalista che gli fa notare che in Italia non una destra reazionaria e xenofoba è alle porte del governo bensì il Movimento Cinque Stelle, De Benedetti risponde facendo gli scongiuri: “Non voglio nemmeno pensare all’idea che essi vincano le elezioni”. Anche in questo De Benedetti indica la linea a tanta sinistra decotta: anatema sui Cinque Stelle in quanto “populisti”.

Infine De Benedetti conferma che al referendum del 4 dicembre voterà NO e, nel caso di sconfitta Renzi dovrebbe dimettersi. Roba da portarsi la mano sinistra sulle parti basse.

Qual è quindi la proposta del Nostro? Una alleanza tra il Pd renziano “e una parte dei voti e dell’apparato di centro destra”. Egli è anzi più preciso:
«Berlusconi aspetta col cappello in mano. Comunque finisca il referendum, ci guadagna: anche se vince il sì, Renzi avrà bisogno di lui. La scelta di Parisi si spiega così. Insieme, Renzi e Parisi si accorderanno, ridimensionando la sinistra e restituendo Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza».

E’ sorprendente, anzi quasi commovente che dopo profetiche sentenze sulle sorti del mondo e tanto aquilesco volteggiare, si razzoli nel pollaio come galline, riproponendo come soluzione politica, pensate un po’, le… “larghe intese“. Insistendo quindi con le stesse mediocri politiche di inciucio per tenere a galla il regime che, assieme alle crisi economica e sociale, ha alimentato e dato tanto slancio ai… “populismi”.

La morale qual è? E’ che ai piani alti del potere economico, finanziario e istituzionale, i settori ancora oggi dominanti, strategicamente, non sanno che pesci pigliare, che non hanno alternative se non fare tatticamente quadrato attorno ai quegli stessi politicanti di cui per primi essi conoscono la miseria.

Su una cosa De Benedetti —al netto della inquietante sviolinata per il sionismo e Israele — ha ragione:
«Il lavoro è la sola cosa che conta; il resto è sovrastruttura. Il lavoro è dignità. Un Paese in cui manca il lavoro conosce prima o poi turbe sociali e sommovimenti».

Ben detto ingegnere!
E siccome più il tecno-capitalismo procede nella sua marcia trionfale più distrugge lavoro, diritti sociali e democrazia, aspettatevi “prima o poi turbe sociali e sommovimenti”. Che poi i “populismi” siano per forza “anticamera del fascismo”, e non piuttosto apripista di uno sbocco socialista, questo non è affatto detto, e si deciderà nel fuoco della battaglia.

da sollevAzione