Una manovricchia per non scontentare nessuno (meno che mai l’UE)
Cosa ci dicono i numeri della Nota di aggiornamento al DEF che preparano la nuova Legge di bilancio

Un tempo si chiamava “finanziaria”, ma gli italiani la traducevano correttamente in “sacrifici”. Così il “politicamente corretto” eurista decise di denominarla “legge di stabilità”. Bella la “stabilità” del disoccupato, del pensionato al minimo, del precario a vita… Insomma, anche quel nome pareva una beffa. Ma sicuramente non è per questo che si è infine arrivati a chiamarla “legge di bilancio”, una terminologia più asettica che non cambia la sostanza delle cose.

Cose che, da un quarto di secolo, ci rimandano a regole, trattati, accordi e diktat europei. E così sarà anche questa volta. La base di previsione macroeconomica sulla quale si fondano i vincoli esterni della legge di bilancio (ormai bisogna chiamarla così) è rappresentata dal DEF (Documento di economia e finanza, che viene varato ad aprile di ogni anno) e dalla Nota di aggiornamento dello stesso documento, che viene redatta a settembre.

In altre parole, gli aggiustamenti di settembre preludono alle concrete misure di ottobre, quando il governo dovrà presentarle al parlamento e a… Bruxelles.

Vediamo dunque cosa bolle in pentola, valutando il tutto in tre direzioni: l’impatto sulla situazione economica attuale, i rapporti con l’UE, le ricadute propagandistiche sul referendum del 4 dicembre.

Diciamo subito che la Nota di aggiornamento prende atto, e non poteva fare diversamente, della negatività degli ultimi dati sull’economia nazionale. Sul fatto che i numeri del DEF di aprile fossero sovrastimati e perciò da rivedere in peggio eravamo stati facili profeti. La crescita del pil nel 2016, prevista un anno fa al +1,6%, era stimata ad aprile all’1,2, mentre oggi ci si accontenta di un pur sempre sovrastimato +0,8%. Insomma, ben che vada la famosa crescita di Renzi, quella che ci imponeva di “allacciare le cinture di sicurezza” tanto era lo slancio, si è semplicemente dimezzata… Anche per questo il debito 2016, previsto al 131,4 lo scorso anno ed al 132,4 ad aprile, viene ora stimato al 132,8% a fine anno.

E per il 2017? Anche qui stime al ribasso. Se ad aprile si prevedeva una crescita del pil dell’1,4%, adesso si è scesi al +1,0%, che pare come (al solito) sovrastimato rispetto alla tendenza reale dell’economia. Il debito per il prossimo anno è ora previsto al 132,5%, quando solo cinque mesi fa si azzardava un 130,9. La differenza è di circa 26 miliardi, non proprio noccioline. In parte questo scostamento è dovuto alla diversa dinamica del deficit, che dall’1,8% del precedente impegno con l’UE si prevede di portare al 2,4%, esattamente come quello dell’anno in corso.

Attenzione! E’ esattamente su questi ultimi numerini relativi al deficit che si giocherà la classica partita con Bruxelles. Lo schema del duo Renzi-Padoan è il seguente: siccome la Commissione Europea ha già chiarito che l’Italia non potrà più giovarsi della famosa “flessibilità” perché ne ha goduto fin troppo, quest’anno ci si accontenta di strappare un residuo 0,2% (3,2 miliardi), mentre l’ulteriore scostamento dello 0,4% (6,4 miliardi) sarà motivato dalle “circostanze eccezionali”: il terremoto di agosto e le spese per l’accoglienza dei migranti.

Questi i paletti della manovra di metà ottobre. Come si vede, numeri modesti che non consentiranno alcuna svolta reale. Con i 9,6 miliardi di extradeficit aggiuntivo (altri 3,6 miliardi di flessibilità erano già stati “concessi” dall’UE la scorsa primavera) Renzi punta essenzialmente a due obiettivi politici immediati: 1) raggranellare un po’ di consenso in vista del referendum, 2) consolidare l’appoggio di cui già gode da parte di Confindustria e affini.

Vedremo come verrà perseguito il primo obiettivo. Di certo ci sarà l’estensione della platea dei pensionati dei livelli più bassi a cui andrà la cosiddetta “quattordicesima”. Il nome non tragga in inganno: si tratta infatti di un modesto aumento (tra i 25 e i 40 euro su base mensile) di cui oggi usufruiscono 2,1 milioni di pensionati, che potrebbero diventare 3,3 milioni. Se l’impegno finanziario su questo fronte sarà comunque limitato (dell’ordine di alcune centinaia di milioni) ben più pesante quello a favore delle aziende, per le quali si prevede un’ulteriore riduzione fiscale, la prosecuzione della decontribuzione, l’aumento del superammortamento sugli investimenti.

Inutile ora proseguire in questa disamina su misure che sono sì annunciate, ma non ancora definite nei particolari. Più utile adesso formulare una valutazione rispetto alle tre questioni di cui abbiamo già parlato.

1. Impatto della manovra sulla situazione economica
Qui la valutazione si risolve in poche parole: l’impatto sarà molto, ma molto vicino a zero. Non c’è infatti alcun vero intervento in grado di rilanciare in maniera significativa la domanda interna. Idem per quel che concerne gli investimenti. Da questo punto di vista la manovra che si annuncia è la più piatta delle manovricchie che si potessero immaginare.

Il fatto è che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Tirare la corda con l’Europa può servire a ritagliarsi qualche spazio per misure elettorali ed a favore dei soliti noti, ma senza una scelta di rottura ogni svolta di politica economica – in primo luogo un rilancio degli investimenti pubblici – è semplicemente impensabile.

2. La partita con l’UE
Chi scrive è convinto che uno scontro tra gli interessi dell’Italia e quelli dominanti in Europa sia ormai un dato di fatto. Dopo Bratislava abbiamo detto che dietro alle scintille post-vertice c’era sì molto fumo, ma anche un evidente arrosto. Questo in termini generali. Nello specifico della legge di bilancio il discorso è diverso. Ed è diverso a causa dell’imminente voto referendario.

Da un lato la Germania ed i vertici UE non possono permettersi una disfatta del governo italiano, che sarebbe anche una loro sconfitta. Dall’altro Renzi non ha tirato troppo la corda, accontentandosi di qualche modesto zerovirgola. Ne consegue che su questa partita non vi sarà – salvo il solito e prevedibile gioco delle parti – un vero scontro tra Roma e Bruxelles.

La prova provata di questo accordo di fatto sta nella sostanziale rinuncia di Renzi nel giocarsi sul serio la carta di un vero programma di ristrutturazione antisismica del Paese. Il terremoto di Amatrice gli aveva dato questa occasione. Chi avrebbe mai potuto opporsi ad una forzatura con Bruxelles su questo tema? Il Bomba ha invece preferito fare marcia indietro. Un vero piano antisismico richiederebbe infatti investimenti per 10-20 miliardi all’anno per molti anni, mentre ora ci si limita a chiedere un po’ di spiccioli. Segno evidente che non si vuole incrinare i rapporti con la signora Merkel nel momento in cui si ha bisogno del suo appoggio per portare a compimento lo stupro della Costituzione repubblicana.

3. Le ricadute propagandistiche sul referendum

Abbiamo già accennato a questo aspetto. E’ da mesi che andiamo dicendo che Renzi avrebbe giocato la legge di bilancio in funzione del referendum, e così sta accadendo. Tuttavia, l’esigenza di non strappare con l’UE consegna al governo margini di manovra piuttosto stretti. Dunque, una ricaduta certamente vi sarà, ma in misura piuttosto limitata. E’ ben difficile che l’opposizione sociale, l’antipatia diffusa che Renzi ha saputo guadagnarsi sul campo in questi anni, possa venire scalfita da interventi così blandi e smaccatamente elettoralistici.

Una valutazione più precisa sarà possibile solo a fronte dei provvedimenti concreti inseriti nella legge di bilancio, ma non sembra proprio che Renzi possa fare il botto.

In conclusione sembra dunque annunciarsi un’autentica manovricchia. Del tutto inutile sul piano strutturale, mentre la crisi va avanti ed una nuova recessione si annuncia. Del tutto fiacca nei confronti delle politiche austeritarie dell’Europa, che di fatto si continua ad accettare al di là dei proclami. Del tutto propagandistica rispetto al referendum, ma di una propaganda debole e scontata che ben poco sposterà nel responso delle urne.  

Il Bomba, si sa, vorrebbe volare alto. Ma nella pratica, e nel disperato tentativo di vincere il 4 dicembre, più che quello dell’aquila deve imitare il volo del fagiano. Finirà così impallinato? Ce lo auguriamo di tutto cuore.