Disunione europea: se Viktor Orbàn non si piega

A proposito del referendum ungherese

(Budapest – nella foto un recente corteo dei neofascisti di Jobbik)

I corifei dell’Unione europea, come spesso accade, se la cantano e se la suonano.

E’ il caso dell’editorialista Franco Venturini che sul Corriere della Sera di oggi Lunedì 3 ottobre), a commento del referendum ungherese, chiosa:
«Orbàn voleva dare uno schiaffo all’Europa, ma gli unghersi hanno dato uno schiaffo a lui: il referendum sui rifugiati non ha raggiunto ieri il 50% di partecipazione, e dunque non è valido. (…) Il nazional-populismo del Premier e il suo rifiuto di accogliere 1.300 migranti come richiesto dal piano di Bruxelles escono dalle urne con un clamoroso occhio nero al posto del trionfo che Orbàn si aspettava».

Qui di clamoroso c’è solo la faccia tosta di Venturini. È vero che ha votato poco meno del 50% ma i No al piano di distribuzione dei richiedenti asilo ha ottenuto praticamente il cento per cento. Un simile risultato, checché ne dicano certi araldi mitomani dell’europeismo a prescindere, rafforza Orbàn ed è una sonora legnata per la cricca di Bruxelles. Gli euristi, in cuor loro, lo sanno molto bene, tant’è che ora tremano all’idea che l’esempio del referendum ungherese possa essere imitato, quantomeno dagli altri paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia).

Non abbiamo alcuna simpatia per il nazional-liberista Orbàn (Venturini ci consentirà questa precisazione), siamo anzi ai suoi antipodi, ma che la piccola Ungheria non si sia piegata agli ordini degli oligarchi di Bruxelles e del gigante tedesco, è un segno dei tempi, ovvero, come andiamo dicendo e come la Brexit ha confermato, che la tendenza oggettiva dominante è alla disgregazione della Ue e, di converso degli stati nazionali a riprendersi le loro sovranità.

Questa avanzata delle spinte alla sovranità nazionale è confermata, semmai ce ne fosse stato bisogno, dalla disobbedienza al piano di distribuzione degli emigranti. E c’è poco da prendersela con Orbàn, se si considera che più di 160mila emigranti sono bloccati da un anno in Italia e Grecia e poco più di 5 mila sono stati riallocati dai paesi Ue. Nessuno stato Ue rispetta questo piano, nessuno, anche quelli in cui non ci sono “populisti” al governo.

La verità è che gli accordi di Schengen sono morti e sepolti, che i “muri” contro cui tanto si urla sono alzati dappertutto, a cominciare da governi che giurano sul loro “europeismo”, muri che sbarrano il passaggio agli esseri umani, non certo a merci e capitali. Muri che, rebus sic stantibus, non ricadranno tanto facilmente.

da sollevAzione