«Si ripropone, col nuovo corso dei Tory, una storia già vista. Quella della seconda metà dell’Ottocento, quando il partito dei Tory riuscì a deviare il patriottismo popolare e ad incapsularlo nel suo seno, per quindi affogarlo nella retorica nazionalista, colonialista e razzista».

Leggete questa chicca:
«Margaret Thatcher crediamo si rivolti nella tomba al ritmo degli acuti ascoltati alla Tory conference di Birmingham. Ci limitiamo a riportare una frase della signora neo-premier Theresa May: “Se credi di essere un cittadino del mondo non sei cittadino da nessuna parte. Semplicemente non sai che cosa significa cittadinanza».

Questo scriveva l’8 ottobre Leonardo Maisano in un editoriale de Il Sole 24 ORE.

L’editoriale accompagnava la notizia, impressa a caratteri cubitali, del “Crollo storico della sterlina” avvenuto il giorno prima sul mercato dei cambi valutari. A notizia tanto roboante (quanto effimera), in rima baciata doveva corrispondere un editoriale fragoroso quanto stolto della testa di rapa di turno.

La Thatcher si rivolta nella tomba? Il nuovo premier britannico, ben al contrario, si muove proprio nel solco tracciato dalla Thatcher e lo fa a maggior ragione proprio difendendo la Brexit e confermando l’uscita dall’Unione europea. Questo Maisano è un somaro, o mente sapendo di mentire! Non era proprio la Thatcher quella che sostenne in modo solenne “la società non esiste, esistono solo gli individui”? Sì che era lei, figuriamoci se oggi, davanti alla frase sensata, addirittura banale di Theresa Mai la Lady di ferro si “rivolterebbe nella tomba”. Con l’allegoria della tomba il somaro tenta di far credere che la Thatcher sarebbe stata contro la Brexit. Ma è universalmente noto come la Lady di ferro si opponesse alla setta degli euristi fanatici. Ecco una sua frase inequivocabile ai tempi della Comunità europea, prima che si nascesse l’Unione con Maastricht:

«L’Europa non è stata creata dal Trattato di Roma. Né l’idea europea è proprietà di alcun gruppo o istituzione… la cooperazione volontaria e attiva fra Stati sovrani indipendenti è il modo migliore per costruire una Comunità Europea di successo. Cercare di sopprimere le nazionalità e concentrare il potere al cuore di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e metterebbe a rischio gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere».

Chiaro no? La verità è che la destra britannica dei Tory, avallando la Brexit, derubrica una parentesi e torna alle sue fondamenta programmatiche e identitarie.

Un ritorno che ha quindi radici profonde, storiche, che non si può ridurre a mero tatticismo per fermare l’emoraggia di consensi verso l’UKIP. Per questo gli euristi sono tanto preoccupati, perché quella dei Tory è una scelta irrevocabile, che sferra un colpo letale al disegno della casta ierocratica che ha oggi in mano (per poco) le sorti dell’Europa. Dopo Brexit la Ue è monca, dovrebbe cambiare nome: Uec, Unione europea continentale.

Cosa rimproverano, implicitamente, gli euristi (continentali) ai Tory? Di essere “nazionalisti”, che di questi tempi in cui domina la religione mondialista, è come dare una scomunica. Chi conosce la storia britannica, inglese in particolare, sa bene che la frase incriminata è stata letteralmente copiata dalla premier. Ecco l’originale:
«”Cittadini del mondo” è un’espressione ambigua in quanto non vi è un mondo di cui si può essere cittadini. Essere cittadini implica esercitare diritti e assolvere doveri politici e sociali, e nulla di tutto questo si fa nel mondo, ma solo in comunità nazionali».

Questa frase venne scolpita nella dichiarazione della London Corrispondent Society fondata nel 1792 dai democratici e repubblicani inglesi, la sinistra del tempo, sull’onda della rivoluzione francese e per questo duramente perseguitati dal regime monarchico. I repubblicani rispondevano alla accuse di essere “antinazionali” sostenendo che sì, essi non erano nazionalisti, ma fieri patrioti inglesi, antimonarchci e anticolonialisti. Erano i tempi delle rivoluzione democratiche, quando il patriottismo era patrimonio dei rivoluzionari e dei repubblicani. Dovremo aspettare la seconda metà dell’ottocento, per vedere questo patriottismo seppellito, fagocitato dal nazionalismo becero delle destre imperialiste.

Non è un caso che i Tory si abbeverino ad una fonte rivoluzionaria, prendendo a prestito i principi del patriottismo repubblicano e popolare che tanto a fondo scavò in Inghilterra, segnando le vicende del movimento operaio a cominciare da quello Cartista. Se lo fanno è anche perché sentono che nelle urne della Brexit non sono sfociati solo retrivi e odiosi sentimenti nazionalisti, imperialisti e xenofobi. Lo fanno perché sentono che nella pancia del proletariato inglese ribolle un sentimento potente, patriottico e antimondialista, intrecciato però ai valori democratici e di eguaglianza sociale.

Stiamo dicendo che i Tory cessano di essere quel che sono, l’ala politica della borghesia imperialista inglese? Certo che no. Ma è un fatto che essi usano un linguaggio retorico, populista, egemonico, condivisibile dai proletari. Essi tentano anzi di far proprio il patriottismo inglese di marca democratica e socialista, per snaturarlo, per riciclarlo, per inglobarlo nel loro corpaccione nazional-imperialista.

Si ripropone, col nuovo corso dei Tory, una storia già vista. Quella della seconda metà dell’Ottocento, quando il partito dei Tory riuscì a deviare il patriottismo popolare e ad incapsularlo nel suo seno, per quindi affogarlo nella retorica nazionalista, colonialista e razzista.

«Gli operai sono inglesi fino al midollo. Essi rifiutano i principi del cosmopolitismo e accolgono i valori nazionali. Vogliono conservare la grandezza del regno e dell’impero, e sono fieri di essere sudditi del nostro sovrano e membri di un simile impero».

Questo affermò a Manchester, nel 1872, Disraeli, principale leader Tory, colui che riuscì a portare a termine l’identificazione del patriottismo col nazionalismo imperialista, la difesa dello spirito nazionale con quella della monarchia e della borghesia. Questo è il vero Dna dei Tory inglesi, che ci serve a capire dove va a parare davvero Theresa May. Disraeli ci riuscì anche perché la sinistra marxista nascente contrattaccò abbandonando il terreno del patriottismo in nome di un astratto cosmopolitismo internazionalista.

Non si deve commettere una terza volta (la seconda fu davanti all’avvento del fascismo) questo errore. Per questo facciamo nostro quanto i rivoluzionari inglesi fissarono nel loro Manifesto:
«”Cittadini del mondo” è un’espressione ambigua in quanto non vi è un mondo di cui si può essere cittadini. Essere cittadini implica esercitare diritti e assolvere doveri politici e sociali, e nulla di tutto questo si fa nel mondo, ma solo in comunità nazionali».