Il partito tedesco contro quello americano

Giorni addietro avevo scritto, con particolare riferimento all’antirenzismo di ceffi come D’Alema, che certi appoggi è meglio perderli che guadagnarli. Ora un’altra tegola si abbatte sul fronte del NO, si chiama Mario Monti.

La decisione di votare NO Monti la comunica in un’intervista a cura di Federico Fubini rilasciata proprio oggi al Corriere della Sera. Intervista che va letta per capire perché mai Monti abbia deciso di scendere in campo e mettersi di traverso alla marcia di Renzi verso la sua poco probabile incoronazione.

I fattori che spiegano questo riposizionamento tattico montiano sono diversi, non ultimo quello, meschino, di una vendetta sua e della sua congrega (Letta ad esempio) che Renzi ha effettivamente emarginato dalla stanza dei bottoni.

Ce n’è un secondo, più di sostanza: il NO resta in vantaggio in ogni sondaggio, e Monti e la sua cricca, fiutando la débâcle renziana, vogliono salire sul cavallo vincente, per giocare la partita del dopo-Renzi, di un governo di “larghe intese”.

Non si banalizzi, non è solo una squallida lotta di potere, una guerra per bande. Monti spiega bene perché voterà NO. Non è il carattere pasticciato della “riforma” la ragione principale per cui vuole mandare a casa il governo Renzi, sono le sue politiche “populiste” di cattura del consenso elettorale a spese di una rigorosa e austeritaria politica di bilancio. la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è, per Monti, la recente “finanziaria”:
«Fubini: Insomma, è il modo con cui il premier cerca consenso attorno al sì che la spinge al no? Monti: “Esatto. Non avrebbe senso darsi una costituzione nuova, se essa deve segnare il trionfo di tecniche di generazione del consenso che più vecchie non si può. Peraltro trovo fortemente negativo avere tenuto in piedi con l’uso del denaro pubblico queste deformazioni del rapporto degli italiani con la classe politica. Questo problema rischia solo di essere accresciuto portando alla ribalta la classe politica regionale nel nuovo senato”».

Fubini poi chiede se una vittoria del NO, non accentui l’instabilità politica e quindi la crisi dell’Unione europea.

La risposta di Monti è significativa. Se Renzi va a casa avremo un nuovo governo, con la stessa maggioranza, che attuerà con più rigore le direttive della Ue, quindi a Bruxelles e Francoforte non hanno nulla da temere, ma tutto da guadagnare a defenestrare un “populista” megalomane come Renzi. E Monti non esita a sbeffeggiare quella stessa borghesia italiana (Confindustria) che sostiene Renzi nella sua polemica con i diktat austeritari euro-tedeschi.

Monti fa infine la sua mossa per evitare che una vittoria del NO possa essere letta (come sarebbe logico) come un atto anti-oligarchico e anti-Ue.

Più al fondo, siamo ad un’altra puntata della lotta tra il “partito tedesco e quello amerikano” in seno alla classe dominante italiana. Fino ad ora questa battaglia era strisciante ora è conclamata, giunta sembra alla resa dei conti.

Esattamente due anni fa, Pasquinelli, su questo sito, segnalava questa lotta [Il Partito Tedesco], e indicava nel quotidiano la repubblica (oggi anche il Corrierone) ed in Eugenio Scalfari la prima linea del partito tedesco, e citava l’articolo di Scalfari in cui questo invocava la Troika dopo la parentesi renziana. Un’invocazione del protettorato tedesco sostenuta anche da certa sinistra apparentemente insospettabile.

Il referendum, può piacere o meno, sta diventando una sfida decisiva tra il partito tedesco e quello amerikano rappresentato da Renzi e il suo blocco di potere — non a caso il “bomba” è in questi giorni da Obama, a ostentare l’endorsement della Casa Bianca.

Quali conseguenze potrà avere la scesa in campo di Monti — anticipata dal recente sfilarsi dal fronte pro-Renzi dello stesso Napolitano e ubliquamente dello stesso Mattarella?

Ne parleremo nei prossimi giorni.