Unesco: Israele rispetti status quo Spianata delle Moschee

L’Agenzia dell’Onu ha approvato in via definitiva la risoluzione contestata dal governo Netanyahu

Via libera definitivo dei 58 Paesi membri del Consiglio esecutivo dell’Unesco, riuniti ieri a Parigi, alla risoluzione su Gerusalemme Est e lo status della Spianata delle Moschee presentata dai palestinesi e da alcuni Paesi arabi (Egitto, Algeria, Marocco, Libano, Oman, Qatar e Sudan) e fortemente osteggiata da Israele che ha sospeso le relazioni con l’agenzia dell’Onu per l’istruzione, la cultura e la tutela del patrimonio storico-archeologico nel mondo.

Rispetto al voto della scorsa settimana sul testo preliminare – 24 paesi si dissero favorevoli e 6 contrari (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda. L’Italia si era astenuta) – ieri il Messico ha cambiato idea e si è unito al gruppo degli astenuti. Questa decisione però non ha avuto alcun impatto sulla adozione definitiva della risoluzione.

Forti le reazioni di Israele che, come la scorsa settimana, accusa l’Unesco di non riconoscere i legami tra gli ebrei e il Monte del Tempio che secondo la tradizione ebraica corrisponde al sito della Spianata delle Moschee (Haram al Sharif in arabo). Lo Stato ebraico ribadisce che il testo della risoluzione usa sempre la terminologia araba per definire luoghi che vengono chiamati in modo diverso da musulmani ed ebrei e non affronta la questione se il Muro del Pianto sia un luogo sacro per gli ebrei oppure no. Il premier Netanyahu nei giorni scorsi aveva definito «assurda» la posizione dell’Unesco che, spiegava, equivale a dire che «la Cina non ha legami con la Grande Muraglia o l’Egitto con le Piramidi».

Il paragone non regge ma le proteste di Israele stanno raccogliendo larghi consensi in giro per il mondo, anche tra i parlamentari ed esponenti politici italiani. E questo spingerà il governo Netanyahu ad intensificare le accuse contro la decisione presa dall’Unesco che, ad una lettura più attenta, ha finalità politiche e non religiose. In sintesi non mira ad affermare i diritti dei musulmani e a negare, come afferma Israele, quelli degli ebrei. Piuttosto vuole condannare le violazioni avvenute sulla Spianata delle Moschee e richiamare lo Stato ebraico al rispetto assoluto dello status quo del luogo santo che formalmente è ancora sotto giurisdizione giordana.

La risoluzione si sofferma su due aspetti. Il primo riguarda il fatto che attivisti della destra ebraica – che Israele descrive come “turisti” – sempre più spesso vanno alla Spianata delle mosche rivendicando il diritto a pregare al sito del Tempio che sorgeva in quel luogo prima di essere distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo.

L’Unesco perciò condanna queste presunte visite di preghiera che, peraltro, fanno salire la tensione tra ebrei e musulmani, e chiede a Israele, potenza occupante, di adottare misure per prevenire provocazioni che violano l’integrità delle moschee. Il secondo punto riguarda la denuncia degli scavi fatti e le infrastrutture costruite unilateralmente dalle autorità israeliane nell’area che riguarda anche la Spianata delle Moschee nonché «il crescendo di aggressioni e di misure illegali contro la libertà di preghiera dei musulmani nei loro luoghi santi».

L’Unesco in sintesi invoca il rispetto dello status quo concordato tra Israele e la Giordania dopo la guerra del ’67 e l’occupazione di Gerusalemme Est che, comunque, garantisce agli ebrei la possibilità di visitare il luogo santo ma non di pregarvi e riserva questo diritto ai musulmani. Status quo che nel settembre 2000, occorre ricordare, fu messo in discussione dalla famosa “passeggiata” dell’ex premier israeliano Ariel Sharon sulla Spianata che con 16 anni di anticipo rivendicava il diritto degli ebrei a pregare sul Monte del Tempio. Un gesto che innescò la seconda Intifada palestinese. Infine il documento approvato ieri dall’Unesco ribadisce che Israele è la potenza occupante a Gerusalemme est. Il testo perciò è in linea con il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu 242 e 338 votate dopo la Guerra dei Sei Giorni.

Al di là delle polemiche sorte intorno al tono della risoluzione denunciato con forza da Israele, il governo Netanyahu prova ad erodere, poco alla volta, lo status quo del luogo santo, facendo leva sui sentimenti religiosi dei cittadini ebrei e sulla solidarietà che riceve dai Paesi occidentali. L’obiettivo sembra essere quello di ottenere in futuro il controllo, anche solo parziale, della Spianata nel quadro di un accordo internazionale che dovrebbe prendere il posto di quello bilaterale con la Giordania.

È difficile che Amman accetti questa possibilità, visto che la monarchia hashemita si considera custode di Haram al Sharif. Più di tutto questo progetto è pericoloso in una città dove gli equilibri religiosi sono sempre molto delicati e le “visite” degli attivisti della destra israeliana sulla Spianata delle Moschee rischiano di innescare un incendio disastroso.


articolo pubblicato su il Manifesto