Brevi note su una Legge di Bilancio elettoralistica e confindustriale

«Eppure ieri perfino il serioso Padoan l’ha sparata grossa: o ci danno quel decimale o l’UE rischia la fine. La fine? Interessante Ma non era l’UE il nostro indiscutibile destino? Ecco, la sparata è finalizzata al 4 dicembre, ma che per far ciccia si sia infranto un simile tabù ci conferma comunque due cose che pensiamo da tempo: che il referendum è davvero decisivo, che il tabù non è più tale neppure negli austeri templi della religione eurista. Prendiamone nota».

Elettoralistica. Se guardata con un minimo di onestà intellettuale, è questa la prima e decisiva definizione che viene a chiunque provi ad esaminare la finanziaria 2017, alias Legge di Bilancio. In palio c’è la vittoria al referendum del 4 dicembre, ed ogni mezzuccio è ritenuto lecito per raggranellare voti qua e là alla causa del ducetto “democratico” (nel senso di piddino).

Si lascino dunque da parte, in questo caso, i ragionamenti di più largo respiro. Come abbiamo già scritto, analizzando i numeri della Nota di aggiornamento del DEF (il documento che prepara la legge vera e propria), sull’economia del Paese «l’impatto sarà molto, ma molto vicino a zero. Non c’è infatti alcun vero intervento in grado di rilanciare in maniera significativa la domanda interna. Idem per quel che concerne gli investimenti. Da questo punto di vista la manovra che si annuncia è la più piatta delle manovricchie che si potessero immaginare».

Scordiamoci dunque un qualche impatto sui principali indicatori macro-economici, che ben altro richiederebbe. Scordiamoci un qualcosa che assomigli ad una ripresa del pil e dell’occupazione. Ma scordiamoci pure, scusate l’ovvietà, uno scontro tra Roma e Bruxelles che non sia solo una modesta sceneggiata il cui unico fine è quello di accreditare il signor Renzi come uno che “sa battere i pugni sul tavolo” del signor Juncker.

Entro la giornata di oggi, o al massimo in quella di domani, arriverà a Roma la letterina dei tecnocrati della capitale eurista, i quali diranno la loro su un deficit ritenuto eccessivo, sull’incertezza di alcune coperture, sulle troppe una tantum.

Al popolo verrà venduto l’epico scontro su un decimale di pil. Uno 0,1 percento! Come se un decimale facesse la differenza tra una politica recessiva ed una espansiva, roba da far ridere anche dal dentista.

Eppure ieri perfino il serioso Padoan l’ha sparata grossa: o ci danno quel decimale o l’UE rischia la fine. La fine? Interessante Ma non era l’UE il nostro indiscutibile destino? Ecco, la sparata è finalizzata al 4 dicembre, ma che per far ciccia si sia infranto un simile tabù ci conferma comunque due cose che pensiamo da tempo: che il referendum è davvero decisivo, che il tabù non è più tale neppure negli austeri templi della religione eurista. Prendiamone nota.

Il fatto che quella in corso con l’UE sia una sceneggiata finalizzata al responso delle urne, non significa che non vi sia sullo sfondo un serio conflitto di interessi sempre più pesante tra l’Italia e l’Unione (la Germania in particolare). Chi ci segue sa quel che pensiamo: questo scontro è un dato di fatto sempre più incombente, ma nel caso di questa Legge di Bilancio, avendo il governo Renzi e la signora Merkel il comune interesse ad una vittoria del SI’, i due non sacrificheranno il loro obiettivo di vedere piegato il popolo italiano a qualche decimale di deficit. E’ per questo, solo per questo, che parliamo di una sceneggiata.

Ma andiamo avanti. Il fatto che sul piano macro-economico non vi sia alcuna svolta non significa che la Legge di Bilancio non abbia altri significati se non quello di recuperare qualche voto. Quel che va detto con chiarezza è che si tratta di una finanziaria di classe, con quell’inconfondibile marchio confindustriale che spiega assai bene le sperticate lodi dei padroni del vapore.

Costoro in genere non parlano a vanvera. E con Renzi ottengono da anni esattamente quel che vogliono, basti pensare al jobs act. Che sia questo il prezzo del loro sostegno al caro leader  alla guida del governo? Sicuramente c’è anche questo, ma c’è pure qualcosa di più e di più grave: la piena adesione del suddetto alla visione neoliberista tanto adorata in tutti i centri del potere economico.

Sta di fatto che con la finanziaria renziana le tasse vengono ridotte solo alle aziende, che il condono fiscale farà felici solo i grandi evasori, che i soldi pubblici andranno tutti a lorsignori con il “superammortamento”,  mentre ai pensionati al minimo andranno sì e no 10 euro al mese!

Vogliamo i numeri? Dal 2017 le aziende risparmieranno 4 miliardi all’anno per la riduzione dell’Ires, mentre 13 miliardi arriveranno in alcuni anni grazie ad una serie di misure denominate Industria 4.0. Tra queste spiccano i benefici fiscali del già citato superammortamento, che vale da solo 7,6 miliardi.

Mentre quella che pomposamente viene chiamata “chiusura di Equitalia” si risolverà in un cambiamento di nome e poco più; mentre i beneficiari della “rottamazione delle cartelle”, per non parlare della voluntary disclosure (tutta a beneficio di chi detiene illecitamente grandi somme in contanti) saranno i soliti noti; alle classi popolari arriveranno solo slogan, promesse e miraggi di miglioramenti che non ci sono.

Il caso delle pensioni è paradigmatico. Della miseria concessa a quelle più basse si è già detto. Si dirà, meglio di niente. Tante grazie. Se dovessimo ragionare così, anche l’aumento di un centesimo di euro dovrebbe essere considerato positivo. Non scherziamo! L’infamia di pensioni così misere per milioni di persone grida davvero vendetta. Pensare di affrontarla con  misure tanto modeste è del tutto inqualificabile. Ed è spregevole che lo si faccia solo perché a dicembre si vota.

Come è spregevole che si venda come una conquista il fatto di poter anticipare la pensione solo se si sono passati i 63 anni e si è disoccupati o disabili (Ape social),  oppure accettando una perdita del 4,6% del valore della pensione (per vent’anni) per ogni anno di anticipo (Ape volontaria).  Su quest’ultima porcheria si legga l’articolo dello scorso aprile «Andare in pensione o andare in banca?»

Ma a volte i numeri valgono più di tante chiacchiere. Sapete quanto vale in soldoni l’intera partita delle pensioni, dagli aumenti di quelle più basse ai costi delle varie forme di uscita anticipata?  Il costo totale per lo stato sarà nel 2017 di 1,9 miliardi, la metà di quanto l’erario perderà con la riduzione dell’Ires!

C’è un altro dato che ci aiuta a capire quanto questa cifra sia misera. Sapete quanto guadagna annualmente lo stato a seguito delle varie controriforme (da Dini a Fornero) che hanno devastato il sistema previdenziale? Trenta miliardi (30)! Ogni anno le casse dello stato sottraggono ai diritti pensionistici conquistati nei decenni precedenti 30 miliardi di euro. Adesso gli autori di questa rapina ne restituiscono due. Nelle loro intenzioni dovrebbero servirgli per vincere il referendum e costruire un regime ancor più sfavorevole per le classi popolari. Un regime che magari – passata la festa, gabbato lo santo – un domani gli toglierà di nuovo le poche briciole oggi concesse.

Questo è il renzismo. Bisogna saperlo ed agire di conseguenza. Smontando le balle del Bomba ed intensificando  la campagna per il NO. Una campagna che va riempita di contenuti sociali e di classe. Dunque, innanzitutto, una campagna dal basso, che sappia parlare agli strati più umili della popolazione. Quelli che tutti i giorni più che con la costituzione formale debbono fare i conti con quella materiale. E che non ne possono più di un’esistenza rovinata dal dominio dell’oligarchia che governa il nostro tempo, quello di un capitalismo casinò che sta portando l’umanità alla deriva.