Ieri in Parlamento si sarebbe dovuto discutere della proposta di legge M5S sul dimezzamento delle indennità lorde mensili dei deputati — da 10mila e passa euro ai 5mila.

Lo sciame dei pennivendoli sul libro paga dei padroni dei media si sono scatenati contro la proposta dei grillini: “demagogica”, “populista”. Non vogliamo immaginare gli strali che avrebbero rivolto a Comunardi e bolscevichi, per i quali un deputato del popolo doveva avere lo stesso stipendio dell’operaio.

Ne citiamo, di questi artiglieri di regime, uno su tutti, l’editorialista Stefano Folli che sul Corriere della Sera di ieri, con la sua usuale supponenza sacerdotale scrive che “occorre selezionare i parlamentari in base alle competenze” e conclude:
«E’ tutto da dimostrare che parlamentari pagati la metà lavorerebbero meglio. Al contrario, c’è l’evidente rischio che sarebbero sostituiti alla prima occasione da altri, dequalificati e meno preparati, ma proprio per questo disposti ad accettare un compenso economico più modesto».

Un distillato chimico del pensiero élitista e tecnocratico. La funzione del parlamentare, precipuamente politica, ridotta a mansione tecnicistica, specialistica.

Come se non bastasse la riproposizione del paradigma liberista-tecnocratico che va per la maggiore (in guardia Cinque stelle che voi non ne siete affatto immuni!) Folli stabilisce una connessione causale tra alta remunerazione e competenza tecnico-specialistica. “Più soldi dai ad un parlamentare più sarà efficiente”. Quanto sia falso questo assioma lo si è visto e lo si vede, ed anche i pennivendoli liberali lo sanno molto bene. Ma oggi che debbono dare una mano al populista di destra Renzi contro il populista di sinistra Grillo, fan finta di dimenticarlo. Perché lo fanno? ma per difendere il fondamento etico perverso su cui si regge ogni società classista: chi comanda, chiunque si trovi a svolgere funzioni pubbliche apicali, deve essere ben pagato perché solo così può sentirsi parte di una qualche casta dominante.

Tra questi pennivendoli scatenati ce n’era uno che ieri sera, per radio — mi pare a Bianco e Nero — davanti ad ascoltatori che per telefono rivolgevano loro obiezioni simili a quelle di cui sopra, che ha lapidariamente affermato che “Ogni popolo ha il governo che si merita. E’ sempre stato così”. Quindi la colpa se abbiamo una classe politica pietosa e di venduti è colpa dei cittadini che l’hanno votata.

Un’altro distillato chimico di pensiero reazionario a buon mercato, sempre assolutorio verso chi sta in alto, e che nessuno meglio di Confucio espresse: “Si può indurre il popolo a seguire una causa, ma non far sì che la capisca”. Popolo bue insomma.

Obiettiamo a questi camerieri di chi comanda che la qualità della classe politica dirigente di un paese dipende dai dispositivi classisti di selezione sociale delle élite, nonché dai meccanismi istituzionali e dal tipo di procedure elettorali con cui si consente ai cittadini, ogni tanto, di scegliere i propri rappresentanti.

Quando non hai democrazia economica, quando non hai democrazia politica reale, quando i canali informativi sono monopolizzati dalla classe dominante, quando possono sperare di essere eletti solo coloro che hanno solidi patrimoni per fare campagna, nonché sostegni di chi sta in alto, quando hai sistemi elettorali maggioritari e truffaldini, ai cittadini non resta che votare per quel “che passa il convento” o non recarsi alle urne.

Ora chi sta in alto lancia l’anatema contro i populismi in crescita, dove questi populismi sono il segno del rigetto, anzi del divorzio tra i cittadini e le élite politiche che il sistema offre loro.

I membri dell’élite rammentino quello che un reazionario come loro, ma di ben altra statura, Cavour per la precisione, disse:
«Per poter conoscere l’indole dei popoli non conviene paragonarli nei momenti normali ma quando, sciolti da ogni freno, si trovano in assoluta balia del loro istinto».

da sollevAzione