Mentre confermiamo la condanna all’offensiva della “Santa Alleanza” capeggiata dagli Stati Uniti per “liberare” Mosul, ci pare doveroso svolgere, contro l’indifferenza generale, ulteriori considerazioni.

Affermava Leone Trotsky:

«Quei “dirigenti” operai che vogliono attaccare il proletariato al carro della guerra dell’imperialismo che si copre con la maschera della “democrazia” sono oggi i peggiori nemici e traditori dei lavoratori. Dobbiamo insegnare gli operai a disprezzare e odiare gli agenti dell’imperialismo, perché questi avvelenano la coscienza dei lavoratori. (…)
Ne abbiamo un esempio semplice ed evidente. In Brasile regna oggi un regime semifascista che qualunque rivoluzionario può solo odiare. Supponiamo, però che domani l’Inghilterra entri in conflitto militare con il Brasile. Da che parte si schiererà la classe operaia in questo conflitto? In tal caso, io personalmente, starei con il Brasile “fascista” contro la “democratica” Gran Bretagna. Perché? Perché non si tratterebbe di un conflitto tra democrazia e fascismo. Se l’Inghilterra vincesse si installerebbe un altro fascista a Rio de Janeiro che incatenerebbe doppiamente il Brasile. Se al contrario trionfasse il Brasile, la coscienza nazionale e democratica di questo paese condurrebbe al rovesciamento della dittatura di Vargas. Allo stesso tempo, la sconfitta dell’Inghilterra assesterebbe un colpo all’imperialismo britannico e darebbe impulso al movimento rivoluzionario del proletariato inglese. Bisogna proprio aver la testa vuota per ridurre gli antagonismi e i conflitti militari mondiali alla lotta tra fascismo e democrazia. Bisogna imparare a saper distinguere sotto tutte le loro maschere gli sfruttatori, gli schiavisti e i ladroni!»

[Una intervista con Matteo Fossa. 23 settembre 1938. Socialist Appeal, 5 novembre 1938). Traduzione dal russo di Yurii Colombo]

Siamo in tempi in cui non solo molti pacifisti ma pure sedicenti antimperialisti, persa la bussola a causa di viscerali simpatie per Putin e/o Assad, si ritrovano intruppati nello stesso campo mondiale anti-Stato Islamico, succubi se non proprio dell’islamofobia, della campagna di hitlerizzazione dello Stato Islamico.  

La prova provata è che essi, davanti all’attacco definitivo e su larga scala sulla metropoli di Mosul, fanno come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Come se nulla di tremendo stesse accadendo. Due pesi, molte misure. Molti sono caduti nella trappola ideologica dell’imperialismo americano e dei suoi sodali, accettando il paradigma meta-politico per cui lo Stato Islamico sarebbe “nemico dell’umanità”, e quindi legittimo che questa “umanità” metta da parte i suoi dissidi interni calandosi sulla testa l’elmetto per salvare l’umanità in pericolo e quindi portando a termine la sua guerra… “umanitaria”. Altri, facendo strame dei fatti e delle evidenze, di come è nata e si è sviluppata sia la guerra di resistenza irachena e poi la guerra civile in Siria, vogliono credere alla barzelletta (sorta in ambienti complottisti ultra-reazionari made in USA) che lo Stato Islamico sia una costola della Cia.

L’assedio in atto su Mosul — la vera Dabiq dello Stato islamico — è voluto e pilotato da una “santa alleanza” imperialista capeggiata, ancora una volta, dal Pentagono, e di cui le milizie curde, quelle shiite e iraniane, costituiscono  le truppe cammellate sul terreno. Ogni guerra imperiale ha bisogno di una narrazione ideologica per camuffarsi e nascondere le sue vere finalità: allora il pretesto era di combattere il fascismo, mutatis mutandis, oggi è la liberazione di Mosul dai “fascisti” dello Stato Islamico.

Come più volte abbiamo sottolineato non abbiamo alcuna simpatia per la causa takfira di al-Baghdadi, ma ciò non ci esime dallo sbugiardare le frottole della coalizione imperiale e dei i loro ascari locali.

E’ sotto gli occhi di tutti che vista l’importanza strategica che la “Santa alleanza” da alla occupazione di Mosul, assieme alla soldataglia armata di tutto punto sostenuta, si sono mosse all’unisono le truppe salmodianti dei media di mezzo mondo. Mosul è sotto le bombe USA-NATO, martellata dalle artiglierie delle milizie curde, di quelle shiite nonché dalle divisioni blindate inviate da Baghdad — si possono solo immaginare le ferite inferte ai cittadini di Mosul —, ma la macchina imperialista di propaganda tace e ci fa solo vedere quattro disgraziati di sfollati che vengono presentati come i superstiti scampati, grazie ovviamente ai “liberatori”, alle “indicibili” persecuzioni dei combattenti al-Baghdadi, di cui non viene presentata alcuna evidenza. Il racconto mediatico sulle “atrocità” dei nuovi nazisti islamici viene arricchito ogni giorno di “sconvolgenti” dettagli: fosse comuni, fucilazioni in massa di chi scapperebbe, arruolamento di soldati bambini schiavismo sessuale, presunte spie bruciate vive, ecc. Le fonti? Mai dichiarate né confermate, se non dagli uffici del Pentagono, o da centri di comando curdi e di Baghdad.  

Noi stiamo ai fatti.

L’attacco in corso per strappare il controllo di Mosul è il secondo tentativo ma su più ampia scala, dopo quello fallito del gennaio 2015. Allora, a sostenere gli ascari peshmerga curdi di Masoud Barzani, intervennero massicciamente le aviazioni nord-americana, inglese, canadese, giordana e marocchina. Chi avesse voluto già allora poteva informarsi riguardo, non solo al decisivo ruolo di comando e logistico degli americani, ma su quanti furono i raid aerei della coalizione.

La differenza con la prima offensiva è che oggi il blocco anti-Stato Islamico è molto più ampio: vede la partecipazione sul terreno, oltre a quella dell’esercito di Baghdad, quindi dell’esercito turco.

Molto più numerose le milizie confessionali o etniche: si va da quelle shiite, a quelle cristiano-assire, da quelle yazide, a quelle curde filo-PKK (Alleanza del Sinjar), ad alcune tribù sunnite.

Tutta questa soldataglia mercenaria non andrebbe da nessuna parte se non fosse teleguidata dal Pentagono. Né si potrebbe anche solo pensare di espugnare Mosul se dall’aria non ci fosse l’appoggio determinante dell’aviazione imperialista. Rispetto alla prima offensiva si sono aggiunte l’aviazione francese, australiana e danese. Il tutto con il ruolo ausiliario dell’esercito italiano e, beninteso, con l’avallo della Russia putiniana che si considera, ed a ragione, sulla scia di Bisanzio e dell’ortodossia cattolica, il nemico più deciso e irriducibile del salafismo islamista combattente.

La “Santa alleanza” si fa forte del sostegno di alcuni capi tribù sunniti nell’offensiva su Mosul. Non è chiara quale sia l’effettiva consistenza di queste milizie sunnite. Gli americani hanno resuscitato la loro tattica sperimentata già in Iraq dal 2005 in poi, quando assoldarono e armarono circa 54mila giovani sunniti (il cosiddetto Awakening) per schiacciare la Resistenza in al-Anbar, caduta sotto il controllo di al-Qaeda in Mesopotamia, al tempo guidata da al-Zarkawi. I comandi americani non nascondono la loro preoccupazione che “liberare” Mosul sarà arduo compito, a meno che non accadano le auspicate diserzioni in massa tra le file dello Stato Islamico.

Ci sono ragioni per dubitare che questi mercenari sunniti siano molti. Ogni sunnita sa cosa è successo ai correligionari dopo la “liberazione” di Ramadi, Tikrit e Falluja. Una sistematica vendetta da parte delle milizie shiite si è abbattuta su di essi, al punto che è lecito parlare di una vera e propria pulizia etnica, per essere precisi confessionale. D’altra parte i takfiri compiono gli stessi crimini, spingendo le diverse minoranze religiose e nazionali sotto il loro controllo a fare armi e bagagli. Come del resto fanno le forze armate fedeli ad Assad in Siria, cercando di espellere i sunniti dalla fascia occidentale che puntano a trasformare in una zona “etnicamente” omogenea, cacciando i sunniti all’interno, nel deserto.

Ciò getta una sinistro ma abbagliante fascio di luce su quel che sta accadendo nella regione che gli arabi chiamano del Mashrek, altrimenti Grande Siria (Bilad al-Sham), in buona sostanza Iraq e Siria.

E’ in corso quella che gli islamici chiamano Fitna, una sanguinosa resa dei conti tra l’universo sunnita e quello shiita (e suoi satelliti come l’alawita ed il cristiano), dove, con le armi, si decide chi debba avere l’egemonia d’ora in avanti sul turbolento poliverso islamico.

Questa è la chiave di volta per capire davvero i fenomeni in corso, tutto il resto, anche le pesanti interferenze esterne, lèggi imperialiste, sono delle subordinate. Non si tratta solo della percezione che ne ha al-Baghdadi (vedi l’ultimo suo radio discorso, in cui fa appello alla jihad contro tutti i miscredenti, tutte le sette islamiche e i sunniti venduti al nemico, inclusi sauditi e turchi).

Come abbiamo già scritto, ad un takfirismo tradizionale, lo Stato islamico aggiunge aperte venature apocalittiche ed escatologiche che sono una novità nel pur variegato panorama del puritanesimo combattente islamista. (Vedi lo storico discorso di al-Baghdadi del dicembre 2015.

Lo stesso fronte filo-iraniano ammette che siamo entrati in un’islamica “Guerra dei trent’anni”, quella che dilaniò l’Europa e annichilì la Germania tra il 1618 ed il 1648 e dalla quale nacquero, a grosse linee, con la Pace di Westaflia, gli equilibri stato-nazionali dell’Europa moderna.

Il fronte anti-Stato islamico è più sgangherato che mai. Eventualmente battuti i combattenti di al-Baghadi (ciò che non significa affatto che non possano risorgere) esso andrà in pezzi. Ognuno ha le sue proprie mire, ognuno vuole la sua fetta di torta, ognuno vuole ottenere sul campo il diritto a sedersi al tavolo che ridisegnerà la configurazione della Grande Siria. L’eventuale sconfitta del comune nemico dello IS non porrà fine alla guerra, ma solo al suo attuale capitolo. Quello successivo sarà ancora più sanguinoso.