Un anno fa, il 4 novembre, veniva a mancare, dopo atroce malattia, Valerio Bruschini.
E’ stato un compagno con cui abbiamo condiviso, gomito a gomito, dagli anni ’80 in qua, tante battaglie, sociali, politiche, culturali. Decenni.

Valerio era un comunista, nel senso pieno della parola. Era un militante generoso, instancabile. Lo trovavi sempre sulla prima linea ovunque ci fosse una lotta da condurre — a partire dalla scuola di Todi in cui insegnava come attivista dei COBAS —, una riunione in cui stabilire il da farsi, un evento in cui fossero al centro la teoria ed il pensiero. Era quello che Gramsci avrebbe detto un “intellettuale organico”, organico ai “semplici”, agli umili, a chiunque subisse un’ingiustizia.

La sua ostinazione rivoluzionaria era pari al suo senso di realtà: aveva chiaro, e non mancava di ripeterlo, che con il 1989 si chiudeva una fase storica, che eravamo entrati in un periodo lungo di ritirata strategica, che avrebbe definitivamente fatto a pezzi il vecchio movimento operaio, travolgendo le sue organizzazioni e rappresentanze politiche. Un senso di realtà, il tenere assieme radicalità ideale e linea di massa, che gli veniva anche dalla sua militanza giovanile nel PCI. Di qui il suo impegno recente, assieme alla sua compagna Nicoletta, a fianco del Movimento 5 Stelle, i cui limiti aveva chiarissimi ma considerava il suo campo, il campo di chi sta sotto e cerca una via per il riscatto sociale e morale.

Valerio, l’amico e compagno Valerio, con la sua insaziabile curiosità intellettuale, che lo portò a scoprire, con noi, pensatori controcorrente come Costanzo Preve e Bontempelli, di cui aveva letto e divorato migliaia di pagine. Non ostentava tuttavia, mai, la sua profonda cultura. La modestia, ecco un altro tratto che lo distingueva.

Ateo e anticlericale irriducibile e caparbio. Ma un ateo umbro, con un animo inquieto quanto profondamente cristiano. L’Umbria, si sa, è terra di santi e di mistici, ma anche di temibili soldati di ventura. Valerio era le due cose in una: soldato e guerriero, ma col dono, non stupitevi, della santità. Un’aura di cristiana santità che egli aveva addirittura appiccicata addosso, non come vestito, era la sua stessa pelle, nel suo sguardo mite.

Figlio della sua terra, e forse proprio per questo, Valerio aveva animo da viandante e spirito universalistico. Di qui le battaglie di prima linea con il Campo Antimperialista, dalla difesa della Iugoslavia al sostegno alla Resistenza irachena. Era della stessa pasta di conterranei come Capitini, Paolo Vinti, dei Dino Frisullo, e di quest’ultimo Valerio ha seguito le orme, dedicandosi anima e corpo, negli ultimi tempi della sua vita, alla causa del popolo curdo. Era già malato nell’estate dell’anno scorso ma, invece di mettere avanti la cura del suo corpo, volle intraprendere ugualmente un faticoso e rischioso viaggio in Kurdistan.

Un santo, un apostolo, un testimone, Valerio, che non aveva tuttavia nelle sue corde la trascendenza. Non accettava l’idea che sopra avessimo un demiurgo. La sua fede era nell’uomo, il suo Dio era il popolo, e per questi disposto ad ogni sacrificio. Non credeva, Valerio, in alcun al di là, che potesse dare un senso alle pene della vita terrena. La morte se l’è portato via. Il senso della sua vita siamo noi, tenuti con l’esempio a tener fede ai suoi ideali, obbligati a continuare la sua battaglia.

* Sabato 26 novembre, a Terni, gli amici di Civiltà Laica, ricorderanno Valerio