Molti ci chiedono cosa accadrà adesso con la legge elettorale. Sul tema la confusione è pari soltanto alla chiacchiera in politichese che gli ruota attorno. Conviene perciò provare a fare chiarezza, anche al fine di sostenere l’unica linea efficace contro l’attuale tentativo di surplace delle èlite: andare subito alle elezioni.

Prima di spostarsi sul “tecnico” è necessaria una breve premessa per afferrare bene la portata della questione. Dietro ad ogni legge elettorale c’è una precisa visione della democrazia, potremmo dire un diverso tasso di democrazia, generalmente in stretta relazione con i rapporti di forza nella società.

Venendo all’attualità, non abbiamo mai avuto dubbi che nel disegno autoritario di Renzi l’Italicum fosse in un certo senso ancora più importante della stessa modifica della Costituzione. Con quella legge si cambiava infatti la costituzione materiale a tutto vantaggio delle oligarchie dominanti, nonché (ma questo è fin troppo ovvio) a favore del ristretto gruppo di potere renziano.

Con la straordinaria vittoria del NO – di cui noi non abbiamo mai dubitato – i nodi stanno venendo al pettine. Così come la morte della Prima Repubblica fu decretata dal referendum del 18 aprile 1993 che spianò la strada al sistema maggioritario, la fine della Seconda è ben rappresentata dalla sonora sconfitta del blocco dominante di domenica scorsa.

Di certo c’è che l’Italicum è morto anche se non è ancora sepolto. E’ morto politicamente, in quanto non applicabile ad un sistema bicamerale – e noi l’abbiamo sempre detto che sarebbe stato il referendum  costituzionale ad abbatterlo – ma non è ancora sepolto formalmente, dato che se si votasse domani mattina sarebbe quella la legge con la quale si voterebbe per la Camera. Ma siccome domani mattina non si voterà comunque, l’Italicum nella sua struttura attuale è solo una legge in attesa di (rapido) decesso.

Il vero problema è un altro: quale legge ne prenderà il posto? E chi la farà, il parlamento o la Corte Costituzionale?

Entriamo dunque nel merito, cercando di chiarire cinque cose: 1. il funzionamento delle due leggi attualmente in vigore (Italicum per la Camera e Consultellum per il Senato); 2. chi cambierà a breve l’Italicum; 3. come lo potrà modificare la Consulta; 4. come lo potrebbe cambiare invece l’attuale parlamento; 5. perché l’unica parola d’ordine giusta è quella delle elezioni subito.

Nell’affrontare il tema, seguendo questo elementare ordine logico, dirò cose che appariranno scontate a buona parte dei nostri lettori. Me ne scuso in anticipo, ma so per esperienza quanto sia ostico per molti il tema delle leggi elettorali.

1. Le due leggi attualmente in vigore

Dal primo luglio di quest’anno è in vigore l’Italicum, una legge valida per la sola Camera dei deputati. Il Bomba fiorentino aveva infatti dato per certa l’abolizione del Senato elettivo, ma domenica gli è andata piuttosto male. Il Senato rimane elettivo, e per eleggerlo una legge già c’è. Si tratta di quella uscita dalla sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale con la quale la legge precedente (il cosiddetto Porcellum) era stata dichiarata incostituzionale. Questa legge di risulta è stata definita Consultellum, proprio perché scaturita dalla Consulta.

Come funzionano queste due leggi?

L’Italicum è un sistema a base proporzionale, con sbarramento al 3% a livello nazionale, che prevede un premio di maggioranza del 54% dei seggi alla lista che raggiunga eventualmente il 40% dei voti. Se nessuna lista raggiunge tale soglia si va al ballottaggio. Chi lo vince ottiene anche in questo caso il 54% dei seggi.

Il Consultellum è sempre un sistema a base proporzionale, ma senza premi di maggioranza e senza ballottaggio. Le soglie di sbarramento (qui da calcolarsi a livello regionale) sono due: del 3% per le liste inserite in coalizioni che superano il 20%, dell’8% per le liste non coalizzate o inserite in coalizioni che non raggiungono il 20%.

Non si dica dunque che non si può andare a votare perché non c’è la legge. La legge, anzi le leggi, ci sono eccome. Si dice però che si tratta di due leggi diverse. Vero, ma non è questo il punto. I sistemi elettorali di Camera e Senato sono sempre stati diversi. Lo erano nella Prima Repubblica, quando lo stesso sistema proporzionale era applicato in maniera diversa alle due camere (su base nazionale alla Camera, su base regionale e con collegi uninominali al Senato). Lo erano con il Mattarellum, che prevedeva una quota proporzionale del 25% alla Camera ma non al Senato. Lo erano con il Porcellum, che assegnava un premio di maggioranza su base nazionale alla Camera ed uno regione per regione al Senato.

Il problema dell’incompatibilità delle due attuali leggi elettorali non è dunque in una generica “diversità”, che a Costituzione vigente non potrà non esservi anche in futuro, visto quanto scritto nell’articolo 57 che così recita: «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero». E’ chiaro che questa «base regionale» implica giocoforza un sistema elettorale diverso da quello della Camera, a meno che non si voglia adottare l’aberrante ed antidemocratico maggioritario dei collegi uninominali secchi all’inglese.

L’incompatibilità – sostanziale, non formale – risiede invece nella norma che il piccolo Bonaparte fiorentino aveva ben pensato di disegnare per sé e per i suoi fidi: il ballottaggio. Che senso avrebbe infatti il ballottaggio per una sola camera? E, d’altronde, si potrebbe mai fare un doppio ballottaggio per la Camera e per il Senato? Ovvio che no, ed è questa la ragione per la quale abbiamo sempre detto che il NO al referendum avrebbe rappresentato la fine dell’Italicum.


2. Chi cambierà a breve l’Italicum (la prossima sentenza della Corte Costituzionale)

Da quanto detto sin qui ben si comprenderà come se c’è un punto dell’Italicum che verrà sicuramente cancellato questo è il ballottaggio, che di quella legge era l’aspetto peculiare e decisivo. L’arma di ultima istanza che Renzi si era riservato per costruirsi un potere personale senza pari in Europa. E’ vero che negli ultimi tempi, ed in maniera assai netta dopo la sconfitta del Pd nelle amministrative del giugno scorso, questa sicumera piddina stava già venendo meno. In ogni caso il referendum ha chiarito la questione: il ballottaggio non ci sarà.

Da ieri sappiamo anche la data di questa cancellazione. Il prossimo 24 gennaio la Corte Costituzionale si riunirà per esprimersi sui ricorsi di incostituzionalità dell’Italicum ed a questo punto – al di là degli aspetti squisitamente giuridici – è chiaro che il ballottaggio verrà cassato.

Spero si capisca dunque il perché gli allarmi su “un voto con l’Italicum”, che girano in diversi ambienti, siano o demenziali o fin troppo interessati. I tempi della crisi di governo, e quelli previsti per la convocazione delle elezioni anticipate, non consentono di certo di arrivare al voto prima del 24 gennaio. Dunque non si voterà in nessun caso con l’Italicum nella sua struttura originaria.

Se il ballottaggio verrà dunque sepolto, il vero nodo resta quello del premio di maggioranza al 40%. Verrà cancellato anche quello, oppure no?


3. Cosa farà la Corte Costituzionale?

Entriamo così nel merito del punto più delicato della decisione della Corte Costituzionale. Con la già citata sentenza 1/2014 la Corte aveva bocciato il premio di maggioranza previsto dal Porcellum. Logica vorrebbe dunque un’identica bocciatura anche dell’attuale premio. Sul punto non c’è tuttavia certezza. In primo luogo perché la composizione della Corte è nel frattempo cambiata. In secondo luogo perché l’appiglio giuridico per una sentenza diversa sta nella fissazione di una soglia minima (il 40%) per l’assegnazione del premio, soglia invece non esistente nel Porcellum.

Se le ragioni del diritto non dovrebbero lasciare spazi al mantenimento di quella norma, dato che con il premio di maggioranza lo stravolgimento dei principi di rappresentanza e di uguaglianza del voto (richiamati tre anni fa dalla Consulta) rimarrebbe comunque, la ragion politica potrebbe suggerire invece soluzioni diverse.

E chi scrive ha pochi dubbi sul fatto che a prevalere sarà proprio la ragion politica. E, tuttavia, anche questa convinzione non ci dà ancora la soluzione del problema. Sempre per ragioni politiche, la Corte potrebbe cancellare il premio di maggioranza per aprire la strada alle elezioni anticipate; così come con il suo mantenimento fornirebbe invece al parlamento (e dunque al nuovo governo) un formidabile assist per continuare a vivacchiare rimaneggiando la legge in modo da danneggiare il più possibile il Movimento Cinque Stelle.

Nel primo caso la Corte avocherebbe di fatto a se la riscrittura della legge, nel secondo (eccezion fatta per il ballottaggio) la demanderebbe invece al parlamento.

Perché affermiamo questo con tanta nettezza? E’ presto detto, perché la cancellazione del premio di maggioranza stroncherebbe sul nascere ogni possibilità di nuovi trucchetti (vedi il Provincellum proposto dal renziano Parrini), come ogni riproposizione di un premio assegnato alle coalizioni anziché alle singole liste. Viceversa, la non cancellazione aprirebbe la strada a nuove porcate di un parlamento da sempre illegittimo, ma reso ancor più abusivo dalla sonora bocciatura della sua riforma costituzionale.


4. Cosa potrebbe invece tentare l’attuale parlamento

Con questo credo di avere spiegato il perché la parola a questo parlamento di fuorilegge – se ci pensate bene è questa la definizione più giusta – la potrebbe ridare solo una sentenza complice della Consulta.

Naturalmente noi non possiamo sapere cosa accadrà il 24 gennaio. Ma sappiamo invece, se questa complicità si concretizzasse, cosa si metterebbero a fare i fuorilegge di cui sopra il giorno dopo: una legge ancora una volta maggioritaria e dunque truffaldina. Di più, e qui la truffa raddoppierebbe: una legge pensata anche, se non soprattutto, in funzione anti-M5S.

Abbiamo già accennato alla proposta Parrini (quella che prevede collegi uninominali pensati per far pesare al massimo i boss della politica locale), come possibile sbocco del disperato tentativo di una casta politica sconfitta nelle urne del 4 dicembre per restare in sella. Ma c’è di più: sarebbe questo l’estremo tentativo delle oligarchie per mantenere il controllo del sistema politico, bloccando le istanze di cambiamento che sono state il vero motore della vittoria del NO.


5. Perché diciamo: “elezioni subito”

Spero che a questo punto si sia capito perché diciamo “elezioni subito”.
Subito non significa domani mattina. Dunque dire subito non vuol dire votare con l’Italicum così come Renzi ce l’ha consegnato. Questo, vista l’imminenza del pronunciamento della Consulta, non potrà avvenire in nessun caso.

Ma dopo quella sentenza, qualunque essa sia, si dovrà andare al voto subito.

Nel caso della cancellazione del premio di maggioranza avremmo infatti una legge sostanzialmente proporzionale. Dunque, perché non andare immediatamente alle urne?

Nel caso invece il premio di maggioranza restasse, questo sarebbe il segnale che sul punto le oligarchie non mollano, il via libera al parlamento per confezionare l’ennesima porcata. Perché allora glielo dovremmo consentire?

Per primi abbiamo detto “elezioni subito”. Oggi lo dice M5S, ed a destra lo dicono la Lega e Fratelli d’Italia. Ma ancor di più dovrebbe dirlo l’intero popolo del NO.

Agli sfasciatori della Costituzione, ai congiurati contro la democrazia, agli svenditori della sovranità nazionale e popolare non deve essere concesso altro tempo.

Magari non si voterà con la miglior legge elettorale – noi vorremmo il proporzionale puro senza sbarramenti – ma di certo si voterà con una legge più democratica di quella che verrebbe confezionata da un nuovo inciucio parlamentare.

C’è qualcuno che può far finta di non vederlo? Noi crediamo proprio di no.

PS – Vedo che la data del 24 gennaio fissata dalla Consulta pare a molti un inaccettabile prender tempo. In effetti, vista la situazione d’emergenza prodotta dagli azzardi del fiorentino, i giudici della Corte Costituzionale se la prendono un po’ troppo comoda. Il che, visto da chi sgobba tutti i giorni per mandare avanti la baracca, è del tutto insopportabile.

Ma davvero il gioco vincente sarà quello di mettere in campo una lunga sequenza di passaggi al rallentatore pur di spostare le elezioni il più avanti possibile? Difficile dirlo in questo momento. Nel blocco dominante è in atto uno scontro tra il gruppo renziano, che molti vorrebbero ormai mollare, ed i fautori più convinti di un piano B che prevede un governicchio purchessia per arrivare al 2018.

Forse l’odierna direzione del Pd ci dirà qualcosa di più sull’effettivo controllo del partito da parte di Renzi dopo la scoppola del referendum. In ogni caso non bisogna lasciare tempo alle trame di lorsignori: elezioni subito!