Gli uomini di al-Asad sarebbero in possesso del 98% della parte orientale della megalopoli situata nel nord della Siria. Ma Damasco è stata costretta ieri a ritirarsi a est dall’antica città liberata a marzo. Mosca accusa: “La cooperazione con gli Usa avrebbe evitato gli attacchi dei terroristi”
Sembra essere ormai giunta alla fine l’offensiva per la conquista di Aleppo est iniziata dal presidente al-Asad lo scorso 26 novembre: il governo siriano ha detto stamane di essere in controllo del 98% della parte orientale della megalopoli siriana. La notizia è stata confermata anche da Bassam Haj Mustafa, un alto ufficiale del gruppo radicale islamico Nour ad-Din al-Zinki, che ha definito “terrificante” la caduta della città.
L’esercito siriano, aiutato da milizie sciite provenienti da Libano, Iraq e Iran, è avanzato oggi a Sheikh Saeed infliggendo una dura sconfitta ai ribelli. La partita, però, non è ancora chiusa perché i combattimenti proseguono nelle aree non ancora abbandonate dai gruppi di opposizione (per lo più di stampo islamista). L’aviazione di Damasco ha colpito oggi anche l’area di Bustan al-Qasr (vicino alla parte occidentale governata dal governo) e il distretto di al-Fardous prima che quest’ultimo fosse definitivamente occupato dai lealisti di al-Asad.
E’ incerto il numero dei civili ancora presenti nelle aree dove si stanno registrando gli ultimi scontri. Sebbene decine di migliaia di cittadini siano fuggiti nelle aree della città sotto il controllo del regime, c’è il fondato sospetto che diverse migliaia di abitanti della zona orientale di Aleppo siano ancora intrappolati nei distretti dove le armi non stanno tacendo.
La gioia comprensibile del governo siriano per la riconquista ormai imminente di Aleppo, la “capitale” del nord del Paese, giunge nelle stesse ore in cui gli uomini di al-Asad sono stati costretti a ritirarsi da Palmira (a est). L’antica città siriana infatti, “liberata” lo scorso marzo, è ritornata ieri nelle mani dei jihadisti dello Stato Islamico (Is). Una notizia che ha stizzito profondamente Mosca che, con il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, ha attribuito le responsabilità della sconfitta alla mancata volontà degli Usa di collaborare con Mosca. “La cooperazione con gli Stati Uniti – ha detto oggi ai giornalisti Dmitry Peskov – ci avrebbe permesso di evitare gli attacchi dei terroristi”.
Secondo il portavoce russo, molti dei jihadisti tornati a Palmira hanno recentemente lasciato l’irachena Mosul da dove da quasi due mesi prosegue in chiave anti-Is un’offensiva congiunta irachena-americana. Se le parole di Peskov fossero confermate, è lecito pensare che l’Is, vistosi ormai accerchiato in Iraq, voglia giocarsi le ultime cartucce rimaste in Siria dove, nonostante le difficoltà, continua a mantenere una presenza significativa. Una presenza che è resa possibile soprattutto a causa delle differenti agende politiche di coloro che, almeno a parole, dichiarano di essere tutte anti-califfato.
Da tempo Damasco mira a riprendere definitivamente il controllo di Aleppo ed è comprensibile che il grande sforzo in termini militari e di uomini possa avere avuto degli effetti negativi in altre aree del Paese dove le forze di opposizione continuano a rappresentare una concreta minaccia. Tuttavia, il ritorno dei jihadisti a Palmira – la cui liberazione lo scorso marzo fu salutata con gioia da Damasco e finanche dai suoi detrattori in Occidente – è emblematico della fluidità della situazione politica siriana. Sebbene viva una fase positiva dal punto di vista militare, il governo siriano si dimostra ancora fragile in alcune aree riconquistate, ma non del tutto domate. Di questo il governo ne è fin troppo consapevole. In una intervista rilasciata la scorsa settimana al quotidiano al-Watan, lo stesso presidente al-Asad ha dichiarato che la “liberazione” di Aleppo, per quanto importante, non rappresenterà la vittoria della guerra. Il ritorno degli uomini di al-Baghdadi nell’antica città di Palmira glielo ha violentemente ricordato.
da Nena News