«C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti e, perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Occorrono un linguaggio e pratiche che sappiano stabilire connessioni emotive e sentimentali con il popolo sofferente, che sappiano rivolgersi al suo cuore e alla sua pancia; che riescano a trasformare in energia creativa le pulsioni annidate nei recessi inconsci della comunità. Se questo è populismo, noi siamo fermamente populisti».
Col referendum del 4 dicembre 2016 la maggioranza dei cittadini non ha solo respinto la pretesa dell’oligarchia capitalista di governare il Paese senza il consenso popolare, ha sconfitto il tentativo di seppellire una Costituzione per sua natura incompatibile col neoliberismo e ogni ipotesi di cessione della sovranità nazionale. Nessuno s’illuda tuttavia: chi sta sopra tornerà all’attacco, forte di grandi sostegni esterni e del fatto che il regime oligarchico, per quanto traballante, resta in piedi.
La divisione del Paese in due campi contrapposti manifestatasi col referendum annuncia l’imminente rotta di collisione tra il blocco sociale della conservazione — capeggiato dalla grande borghesia oligarchica, globalista per interessi e vocazione anti-nazionale —, e il blocco popolare e populista — temporaneamente rappresentato da M5S e Lega Nord — che al contrario, per interessi e aspirazioni, chiede più sovranità nazionale, più Stato, più comunità, più democrazia, più sicurezza. La battaglia decisiva tra questi due blocchi si approssima e occorre esservi preparati. Chi pensa di vincere e rovesciare il regime oligarchico senza mobilitare il popolo, senza una rivoluzione democratica, conduce il popolo dritto alla sconfitta. La posta in palio immediata è il governo del Paese, in prospettiva c’è il destino dell’Italia.
Qui serve svolgere un telegrafico ragionamento su quella che per convenzione semantica è chiamata “sinistra”. La spaccatura già esistente tra la corrente globalista e quella sovranista, diventerà lotta aperta, frontale, irriducibile. La sinistra sovranista, potrà giocare un ruolo in futuro se, dopo aver tagliato il cordone ombelicale con quella globalista (anche rinunciando all’uso dello sputtanato sostantivo “sinistra”), saprà attrezzarsi alla battaglia che verrà — e potrà farlo con successo se e solo se oggi decide di collocarsi nel campo del populismo, oggi presidiato anzitutto da M5S e Lega Nord. Ma questa battaglia non è affatto un mesto commiato, un abbandono del terreno, al contrario. La sinistra è un deposito grande di intelligenze e risorse indispensabili per il futuro dell’Italia, non le lasceremo seppellire dai suoi becchini.
Poi ci sono i problemi del piano strategico e della tattica (qui siamo avanti), del gruppo dirigente (un nucleo c’è già), dei mezzi e delle risorse per lanciare la sfida dell’egemonia (qui siamo tanto indietro) — sfida che va lanciata anzitutto proprio nel campo populista, dato che esso contiene e paralizza indispensabili energie per vincere la guerra. Una guerra, per stare alla metafora militare, che è al contempo rivoluzione democratica interna e guerra di liberazione nazionale. E’ impensabile pensare di vincere disponendosi sul terreno della guerra campale o di posizione (piano su cui il nemico ha già schierate preponderanti truppe), mentre bisogna prepararsi ad una guerra popolare di movimento, ciò che implica raggruppare sin da oggi le disperse bande partigiane già oggi operanti per farne un vero e proprio esercito. In questa prospettiva si colloca il tentativo confederativo che vede P101 tra i protagonisti.
Torniamo all’oggi. Chi sta sopra ha messo nel conto che con le prossime elezioni il governo potrebbe passare nelle mani delle due principali forze oggi all’opposizione: M5S e la Lega Nord. Ove i tentativi già in atto di addomesticare e dividere entrambi si rivelassero inefficaci, le forze oligarchico-globaliste metteranno in atto ogni forma di sabotaggio per far fallire il nuovo governo e tornare al potere, anche portando all’estremo le tensioni economiche, politiche e sociali — la Grecia insegna. Dipenderà dalle decisioni e dagli atti concreti che questo governo eventuale adotterà, se vorrà resistere e contrattaccare o se, invece, farà come Syriza, se esso meriterà di essere sostenuto o meno. Vano sarebbe oggi perdersi in congetture su alleanze o fronti unitari con M5S e Lega: un’alleanza implica un piano di battaglia, obbiettivi comuni da raggiungere; avere un nemico comune, è fattore necessario ma non sufficiente per fare fronte.
Il fallimento di un governo a guida M5S è altamente probabile, ciò che rischia di avere un effetto boomerang letale per il movimento popolare. M5S e Lega non possiedono un progetto sociale davvero alternativo a quello neoliberista, né un serio programma d’emergenza per mettere in sicurezza il Paese. La ragione è che Movimento 5 Stelle e Lega Nord, il primo occupando una posizione centrista e la seconda collocandosi al su fianco destro (al netto dei rischi sempre in agguato di trasformismo) non vogliono una rottura radicale con la cupola oligarchica poiché gareggiano a chi meglio incarna, in prima istanza, gli interessi di quegli strati di borghesia (media e grande prima ancora di quella piccola proletarizzata) falcidiata sì dalla recessione e dalle politiche neoliberiste ma che non ha nelle sue corde alcuna vocazione democratico-rivoluzionaria. Nessuno dei due attuali dominus del campo populista rappresenta davvero gli interessi e le aspirazioni del popolo lavoratore e precario, degli esclusi, degli emarginati.
Questo ampio spazio sociale è scoperto, urge per questo la costituzione di una nuova forza politica nazionale popolare la quale, indicato nel blocco oligarchico il nemico principale, sia alternativa a M5S e Lega Nord. Una forza patriottica a vocazione socialista che sappia dare voce, organizzare e mobilitare questi corpi sociali, per farne la forza motrice di un’ampia alleanza di blocco costituzionale. Una forza che si liberi dell’illusione fatale che il sociale, dal basso, possa trasmutarsi in soggettività e progetto politici. Al contrario, è il soggetto politico che da forma e finalità alla sfera sociale, ovvero costruisce e plasma il Popolo facendone il protagonista del mutamento sociale. Per questo non basta avare programma e strategia, fare appello alla ragione calcolante. C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti e, perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Occorrono un linguaggio e pratiche che sappiano stabilire connessioni emotive e sentimentali con il popolo sofferente, che sappiano rivolgersi al suo cuore e alla sua pancia; che riescano a trasformare in energia creativa le pulsioni annidate nei recessi inconsci della comunità. Se questo è populismo, noi siamo fermamente populisti.
Ps
Una raccomandazione mi pare necessaria. Occorre evitare di farsi prendere dalle fregole, dalle smanie soggettiviste e dalla fretta. Il 4 dicembre ha sì aperto una fase ed una partita nuove, ma questa avrà diversi tempi. Non abbiamo alcuna possibilità di entrare in gioco nel primo tempo che è appena cominciato. Prepariamoci a scendere in campo almeno nel secondo tempo.