Verso un governo Franceschini-D’Alema-Berlusconi?

Lo so, il sottotitolo sembra roba da fantapolitica. Ma a volte bisogna guardare un po’ avanti. Di sicuro si sbaglierà qualche particolare, ma l’importante è cercare di cogliere le dinamiche di fondo. Comunque io ci provo, che forse a qualcosa può servire.

Il fatto politico di questi giorni è senz’altro l’annuncio della scissione d’alemiana del Pd. Ora, è vero che la rottura formale ancora non c’è, è vero che la sinistra piddina brilla più che altro per indecisione e vuoto d’idee, è vero anche che non tutti i tasselli sono già al loro posto, ma è altrettanto vero che una retromarcia al punto in cui si è arrivati sembra del tutto improbabile.

Dando perciò per sicura la scissione, proviamo a ragionare sugli effetti che essa avrà non tanto sul Pd, né sui vari pezzi della sinistra sinistrata che ne verranno risucchiati, quanto sull’intero quadro politico nazionale. Perché è questa la scommessa di D’Alema. La sua non è infatti solo una (comprensibile) vendetta nei confronti del Bomba, è anche una ben congegnata «operazione sistemica».

Cosa intendiamo per «operazione sistemica»? Intendiamo un’azione politica volta a garantire il dominio delle oligarchie, favorendo quella che nel linguaggio truffaldino del “politicamente corretto” viene chiamata “governabilità”.

Ovviamente, non sto sostenendo che il burattinaio Massimo D’Alema sia egli stesso un burattino mosso semplicemente dai grandi centri del potere economico e finanziario nazionale ed europeo. Sostengo invece che la sua operazione lì porterà: a cercare di risolvere – sia pure malamente e di certo solo provvisoriamente – la questione del governo nell’interesse dei suddetti centri. Il che, nel quadro della crisi politica che si è aperta dopo il 4 dicembre, non è poco.

Ma andiamo con ordine.

Il punto da cui partire è proprio la crisi politica che vive il nostro Paese. Crisi in atto almeno dal 2010, quando si ruppe la maggioranza di destra. Da allora è stato un susseguirsi di scossoni: il golpe bianco che portò all’insediamento di Monti nel 2011, il grande successo di M5S alle elezioni del 2013, il rinnovo del mandato a Napolitano, la parentesi del governo Letta, la dichiarazione di incostituzionalità del Porcellum, fino all’arrivo di Renzi nel febbraio 2014.

Lì era parso, ma non a noi, che il sistema avesse alla fine partorito un quadro più stabile. In realtà, pur di rimanere in sella, il fiorentino è stato costretto ad una forzatura dopo l’altra, avviandosi così su un percorso che alla fine l’ha portato a rompersi l’osso del collo.

Adesso la crisi politica, che altro non è che la conseguenza dell’impossibilità di uscire dalla crisi economica restando nella gabbia dell’euro, è diventata più grave. Il quadro politico è diviso grosso modo in due schieramenti: da un lato il blocco sistemico (Pd, centristi, Forza Italia), dall’altro quello che il sistema stesso considera come “blocco populista” (M5S, Lega, FdI).

Noterete che da questo schema resta fuori per ora la cosiddetta “sinistra”. Assenza che non è una dimenticanza. E’ che è proprio su questo settore che va ad esercitarsi una forte pressione per riportarlo, almeno in buona parte (ed in posizione subalterna), nel campo delle forze sistemiche “abilitate” a governare.

Veniamo al dunque. Presto l’Italia andrà alle urne. Quasi sicuramente entro giugno (vedremo poi il perché), ma anche se si arrivasse al febbraio 2018 i termini del problema non cambierebbero.

Abbiamo scritto in un recente articolo che il piano A dei dominanti è quello di un rilancio del bipolarismo, ma che quasi certamente essi dovranno attivare il meno irrealistico piano B, cioè le “larghe intese”. Il che vuol dire una coalizione di governo dal Pd a Forza Italia. Ma, domanda decisiva, avrebbero queste forze il 50%+1 dei seggi? Probabilmente no. Il partito di Renzi è attorno al 30%, Forza Italia naviga sul 10%, i centristi sul 3%. Certo, l’effetto bipolarizzante del premio al 40% premierebbe il Pd, ma al tempo stesso prosciugherebbe i consensi dei naturali alleati. Un bel problema, che solo l’«operazione sistemica» di Massimo D’Alema sembra in grado di risolvere.

Questo per tre precisi motivi.

Il primo è che la somma dei voti del Pd e del Pdd (Partito di D’Alema, per ora chiamiamolo così), sarà certamente maggiore dei voti conquistabili dal solo Pd unito. Questo per il banale motivo che due soggetti, anziché uno, possono andare ad intercettare fasce di elettorato diverse (in questo caso molto diverse) e non rappresentabili da un unico soggetto.

Il secondo è che parecchi frammenti delle forze più o meno organizzate a sinistra del Pd (si pensi alla nascitura e già moritura Sinistra Italianaleggi QUI), verranno irresistibilmente attratti ed imbarcati dal bastimento dalemiano.

Il terzo è che, anche a causa dell’incredibile imperizia pentastellata (ma questi al governo vogliono andarci oppure no?), pure una parte dell’elettorato di M5S finirà nella rete del Pdd, specie se il suo leader pubblico sarà Michele Emiliano. Costui non ha carisma e non è un leader politico in senso stretto. Ma proprio per questo secondo aspetto potrebbe piacere all’elettorato “grillino”. Un elettorato più consistente proprio in quel Meridione del quale Emiliano intende accreditarsi come autorevole rappresentante.

Io non so se il 10% vantato dai dalemiani sia davvero realistico. Personalmente non lo vedo però impossibile. E se così fosse, si tratterebbe di un 10% decisivo.

Come si collocherebbe infatti il Pdd nello scenario post-elettorale? E’ ovvio che, pur considerandosi in forte competizione con il Pd, il Pdd non sceglierebbe affatto la strada dell’opposizione, bensì quella del governo insieme agli ex compagni di merende, ed ora rivali, del Pd. Naturalmente, però, le cose non sono così semplici. Per avere la maggioranza non solo bisognerà imbarcare i dentoni di Alfano, ma pure lo scalpo da tempo ricapellizzato del Berluska, con tanto di assicurazioni sul futuro di Mediaset.

Fatta la coalizione bisognerà stabilirne il condottiero, che ovviamente non potrà più essere Renzi. E qui la vendetta (che, come detto, comprendiamo) si compirà del tutto. Ma chi prenderà il posto del fiorentino? Al momento non lo possiamo sapere, ma Renzi ha già fatto tre nomi: Gentiloni, Del Rio, Franceschini. Ora, se il primo non sembra proprio avere il fisico per reggere la prova, il secondo è troppo renziano per essere accettato dagli altri partner dell’allegra combriccola. Rimane dunque il terzo: una nullità ricca di molti appoggi, cui non manca l’ambizione né l’attitudine all’intrigo di palazzo.

Avete capito coma mai parlare di un futuro governo Franceschini-D’Alema-Berlusconi non è pura fantapolitica?

Ovviamente posso sempre sbagliarmi, ma spero si sia capito il perché della definizione dell’operazione dalemiana come «sistemica». Senza di essa il sistema oligarchico rischierebbe di andare a sbattere in maniera clamorosa. Con D’Alema quel rischio se non è azzerato è pero ridotto di molto.

Naturalmente l’ambizione dalemiana è anche un’altra: quella di conquistare una forza sufficiente per soffiare il posto al Pd come forza centrale di quello che loro ancora chiamano “centrosinistra”. Inutile dire che un simile disegno ha però bisogno di tempo, e che il tempo della crisi che ha logorato Renzi finirà sicuramente per consumare anche questa ennesima illusione “ulivista”.

Qualcuno penserà che forse certi giochi non siano ancora fatti. Non è la mia opinione. Questo per il semplice motivo che a meno di imprevedibili cataclismi il voto è vicino. Perché questa quasi certezza? Ma perché andare a febbraio 2018 significherebbe votare in un quadro quanto mai difficile per le èlite. Un quadro che ammette solo due variabili: o l’inizio del pieno disfacimento della costruzione eurista (cosa ci diranno in proposito le elezioni francesi?), o – nel caso di una sua provvisoria tenuta – una Legge di bilancio lacrime e sangue imposta da un’Unione che cercherebbe di rilanciarsi restaurando innanzitutto ordine e disciplina.  

Mi aspetto adesso un’ultima obiezione: ma Renzi queste cose non le sa? Certo che le sa, e molto meglio del sottoscritto. Ma allora perché vuol correre alle elezioni? Come disse una volta Craxi, anche le volpi, prima o poi, finiscono in pellicceria. E non sempre ci finiscono perché catturate dal cacciatore. A volte ci finiscono anche perché vivere solo di “furbate” – non proprio un segno di grande intelligenza – lì le conduce. E l’arroganza, poi, porta spesso in quei vicoli ciechi dove si può sì correre, ma solo per restarne ancor più imprigionati.

Se guardiamo alle ultime sortite del Bomba è chiara poi un’altra cosa: il nostro sa in quali guai si è cacciato, ma sa anche che il rinvio del voto lo porterebbe in una situazione anche peggiore. E poi, come ci dice la saggezza popolare chi nasce tondo non può morire quadrato.

Detto questo è detto quasi tutto.
Resta però il punto principale che bisogna ficcarsi bene in testa. Chi correrà a rafforzare l’impresa dalemiana andrà – che lo sappia o meno – a rafforzare un’operazione favorevole al sistema oligarchico.

Vedremo così in questo passaggio chi, a sinistra, potrà essere davvero utile alla prossima lotta di liberazione che ci attende, e chi invece è ormai irrecuperabile a questa causa. Non tutto il male vien per nuocere.