Si è concluso ieri il secondo congresso nazionale di Podemos. E ora?

Il nostro blog, più di ogni altro sito italiano, ha seguito passo dopo passo l’approssimarsi di questo evento, segnato dalla disputa tra i due fondatori Iñigo Errejón e Pablo Iglesias. Il primo fautore di una posizione più moderata, il secondo più radicale.

Sorvoliamo sulle complesse modalità adottate per andare alla conta e stabilire la composizione del nuovo gruppo dirigente. Sta di fatto che il documento di Pablo Iglesias ha ottenuto un successo rotondo, al di la di ogni aspettativa. L’ha strappato malgrado una campagna sfrontata da parte dei media spagnoli a favore di Iñigo Errejón, tutta tesa a presentare quest’ultimo come un politico “realista” e Iglesias come un “estremista” che avrebbe spinto Podemos ai margini della vita politica.

Ci sono rimasti male i commentatori di regime, non si aspettavano che il loro beniamino Errejón subisse una sconfitta di tali proporzioni — vedi la tabella sotto.

Meglio così dunque. Meglio che abbia vinto Pablo Iglesias.

Detto questo vale la pena andare un po’ più a fondo, capire quale fosse l’oggetto del contendere. Meglio non farsi troppe illusioni.

Qual è infatti il punto centrale della contesa tra le due correnti (oramai è chiaro infatti che Podemos si è strutturato in correnti)?

La cosa va sotto la rubrica “alleanze”. Errejón propone che Podemos punti ad un patto di governo con il PSOE — che non dimentichiamolo è stato uno dei due perni su cui si è appoggiato il regime eurista e che ora sostiene dall’esterno il governo delle destre di Rajoy — mentre Iglesias ha difeso la scelta di fare una lista comune con Izquierda Unida (Unidos Podemos) malgrado alle ultime elezioni abbia portato a magri risultati.

L’analogia con quanto accade nella italiana sinistra cosiddetta “radicale” è evidente. Lì tutto ruota attorno alla questione del rapporto con il PSOE, qui da noi il fulcro delle disputa è il rapporto con il Partito democratico. Le questioni dell’Unione europea, dell’euro, del vincolo esterno, della sovranità, restano del tutto assenti in questa disputa.

Ne risulta un dibattito tutto politicista e schiacciato sulla tattica. Zero o quasi strategia, zero o quasi progetto futuro di Spagna sovrana, zero assoluto “discorso profetico” — per usare un concetto tanto caro a Julio Anguita, e a noi.

Difficile dunque dare torto a chi, di contro al carattere duro della contesa interna in Podemos, ha affermato che il “pablismo” è solo un “errejónismo di sinistra”.

Il congresso si è concluso in mezzo al grido “Unidad! Unidad! Unidad!”.

Sotto la pressione dei presenti a Vista Alegre II, in effetti, i due principali sfidanti hanno chiuso i lavori abbracciandosi, promettendo in futuro di lavorare gomito a gomito. Che questo accadrà davvero vedremo. C’è già che malignamente parla di “pace finta”, che le ostilità continueranno, che la minoranza errejónista si metterà di traverso alla nuova direzione pablista.

Manolo Monereo alle spalle di Iglesias ed Errejon

Vedremo se la corrente pablista, nei prossimi mesi, si limiterà a ribadire la sua linea o se, come ci auguriamo, proverà a liberarsi del tabù dell’europeismo, poggiando quindi il suo radicalismo sociale su basi politiche e strategiche solide, ovvero ponendo il problema della rottura con euro, Unione europea e globalizzazione.

L’avere visto il compagno e amico Manolo Monereo in tribuna, alle spalle dei due, con quella postura guardinga ed il suo volto severo, ci consola.

da sollevAzione