Sono tanti quelli che dicono di non capirci nulla nelle attuali vicende del Pd. Mi dispiace per loro, ma le cose non sono poi così complicate. Il fatto è che il 4 dicembre non è passato invano, come invece pensavano quelli del “tanto non cambia niente”.

I cambiamenti, si sa, non sono mai dal bianco al nero, essendo tante le tonalità del grigio delle situazioni reali. Né avvengono necessariamente in maniera istantanea. Così accade magari nella vita delle persone, in alcuni eventi naturali, talvolta anche in politica, perché per fortuna la possibilità della rivoluzione non la può cancellare nessuno: neppure il “politicamente corretto” od i censori di Google, che pure ci provano. Più frequentemente, però, i processi politici e ancor più quelli sociali abbisognano di tempi più lunghi.

Veniamo allora al dunque. L’attuale sconquasso del Pd non è frutto solo delle peculiari caratteristiche del leader, e neppure della straordinaria capacità nel non decidere della minoranza interna. Cose che pesano, ovviamente. Come pesa l’infimo livello politico-culturale dell’intero gruppo dirigente. Ma piuttosto che elencare tutte queste “virtù” dei notabili che reggono Piddinia – chi avesse dei dubbi si guardi una loro riunione in streaming e vedrete che gli passano -, mi pare più utile domandarsi di che cosa sono figlie.  

Abbiamo detto che la data decisiva da tenere a mente è il 4 dicembre. Chi scrive non ha mai avuto dubbi sul fatto che la vittoria del NO avrebbe avuto l’effetto di una bomba, non solo su Renzi ma sull’intero Partito democratico. E così è avvenuto, a dispetto di quel “tutto va bene, Madama la Marchesa” che ha portato a quel curioso oggetto ben identificato che è il governo Gentiloni. Dopo la sberla referendaria non solo il Pd, ma l’intero sistema oligarchico ha fatto come quel pugile che dopo aver perso il match per KO esce dal ring dicendo che lui è sempre il più forte. Forse proprio per questo hanno messo lì Gentiloni, che se non portasse gli occhiali del pugile suonato avrebbe senz’altro lo sguardo.

Il problema è che i segni delle botte si notano, eccome! Ed a quasi tre mesi di distanza si vedono ancor meglio. Il Pd perciò barcolla. Ma se il referendum è stato lo snodo decisivo, quello che ha denudato il Re come nella fiaba di Andersen, il tema è un altro: com’è che si è arrivati a questo a dieci anni dalla nascita del Pd e ad oltre venti dai primi vagiti dell’Ulivo?

Tema intrigante che né Renzi né Bersani hanno interesse ad affrontare. Quest’ultimo si lamenta del fatto che il Pd è diventato un “partito personale”. E come dargli torto? Ma questa evoluzione è così strana? Davvero Renzi è una specie di alieno sbucato fuori, non si sa come, a rovinare l’altrimenti magnifica creatura figlia di un altrettanto splendido ventennio? A noi che il mostriciattolo in divenire – il “serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd” lo chiamava il compianto Costanzo Preve – lo abbiamo sempre combattuto, non sembra proprio sia così.

Se il problema è l’estrema personalizzazione di Renzi, come non vedere che questa è la logica conseguenza di quell’americanizzazione della politica che si è perseguita fin dai primi anni ’90 con il referendum Occhetto-Segni?

E’ lì, in quel passaggio, che si sono affermate tre cose: primo, che non si trattava più di cambiare la società (neppure in senso meramente socialdemocratico), ma solo di gestirla così come un amministratore delegato dirige un’azienda. Secondo, che perciò il partito doveva divenire “leggero”, non nel senso (ipotizzato solo dai gonzi) di una sua sburocratizzazione, bensì in quello di una sua deideologizzazione, intesa come pura omologazione alla cultura dominante. Terzo, che in tale partito la selezione della classe politica l’avrebbero fatta le lobby ad ogni livello; il notabilato locale nelle amministrazioni comunali, i grandi centri del potere economico sul piano nazionale.

Chi si occupa per mestiere o per diletto degli attuali drammi di Piddinia da questo dovrebbe partire. Se i piddini sono riusciti a celare in parte le loro decisive responsabilità nel degrado politico nazionale, scaricandole sul Buffone di Arcore, adesso questo giochino non è più possibile.

«Non stravolgiamo il Pd per le velleità di una persona sola», queste le parole di apparente buon senso scritte ieri da Bersani. Buon senso solo apparente proprio perché non fanno i conti con i processi profondi che hanno portato al renzismo. Processi di cui i Bersani, come i D’Alema e i Cuperlo sono stati tra i primi attori.

Del resto, sarà un caso che costoro chiedano sì di discutere, ma niente dicono sugli effetti delle scelte politiche da loro compiute quando si trovarono al governo? Alla fine del secolo scorso, se il governo D’Alema varò le più importanti privatizzazioni, Bersani fu il re delle liberalizzazioni, mentre l’Ulivo prodiano fu la coalizione di governo che ci portò nel Paradiso dell’Euro.

Come si fa, allora, a scaricare tutte le colpe su Renzi? E, venendo all’oggi, come giustificare l’assordante silenzio sull’Europa? La verità è che la minoranza del Pd ha ben poco da dire agli italiani, ed al popolo lavoratore in particolare.

C’è una frase della già citata lettera di Bersani che tutto rivela: «Il Pd non può essere collocato nell’establishment ma la sua forza la deve trovare in chi si sente escluso e non si piega alle nuove demagogie».

Tra le righe di questa frase c’è tutto, ma proprio tutto quel che spiega il caos che regna in Piddinia.

Il Pd, e Pierluigi Bersani dovrebbe esserne informato, è nato proprio per rappresentare al meglio l’establishment, altro che contestare la semplice appartenenza al sistema! Ed al Pd gli hanno spianato la strada i suoi predecessori pidiessini, diessini, ulivisti e margheritini. Per cui, possiamo tranquillamente dire che quella roba che dal 2007 si chiama Pd ha iniziato il suo percorso un quarto di secolo fa.

Ora, un quarto di secolo non è uno scherzo, ed un bilancio storico si imporrebbe davvero. Ma non è questo lo scopo di questo articolo. Limitiamoci dunque ad una veloce considerazione utile a spiegarci l’attuale stato confusionale del maggiore partito italiano.

C’è stato un tempo in cui essere il partito delle èlite era almeno in parte compatibile con un discreto consenso popolare. L’esistenza del Cavaliere Nero aiutava a nascondere l’identica politica liberista, ma soprattutto le èlite erano ancora capaci di esprimere un’egemonia culturale su un blocco sociale piuttosto ampio. Un quadro nel quale il Pd (e quel che l’ha preceduto) trovava il modo di coniugare un certo volto “sociale” con l’assoluta fedeltà sistemica.

Piccolo particolare: quel tempo non c’è più, se l’è portato via la crisi e tanto presto non tornerà. Dunque – Bersani se ne faccia una ragione – o stai con l’establishment (la vera ragione sociale del Pd) o stai con gli “esclusi” (la terminologia è appunto bersaniana) che – magari confusamente – lo vogliono rovesciare. Nella frasetta rivelatrice prima citata si comprende, invece, come egli vorrebbe tanto che esistessero “esclusi” che ancora non disdegnano le oligarchie, ma purtroppo per lui in giro ce ne sono sempre meno.

Dunque bisogna scegliere. E Renzi ha scelto: sta con l’oligarchia, nazionale ed internazionale. Ma la minoranza del Pd sta forse da un’altra parte? Non sembrerebbe proprio, vedi la posizione sull’Europa, l’assenza di ogni autocritica sulle politiche di un venticinquennio, l’insistenza ossessiva sulla “governabilità” che li porta addirittura a tifare per un governo come quello di Gentiloni.

E qual è poi la prospettiva politica degli scissionisti, se non quella di allearsi dopo le elezioni proprio con il Pd di Renzi e con tutto il pattume centrista e berlusconiano che sarà necessario mettere insieme in alternativa al “populismo”?

Lo smarrimento regna in Piddinia anche perché il disegno del “partito a vocazione maggioritaria” tanto voluto da Veltroni, e poi ripreso da Renzi, è fragorosamente fallito. Era un disegno insostenibile già prima del 4 dicembre, ma il 60% di NO l’ha seppellito per sempre. Il corpaccione piddino, che ancora si affida alla propria insostituibilità come perno del sistema, ha qualche difficoltà a metabolizzare la realtà, ma quest’ultima esiste indipendentemente dai processi fisiologici di costoro. Amen.

Attenzione! Quanto scritto finora non significa affatto che il Pd sia già morto. E neppure che gli scissionisti non possano avere un certo successo. Nell’immediato sia il Pd renziano che questi ultimi potrebbero raggiungere i loro scopi. Ma non mi stupirei proprio se quel che seguirà alle prossime elezioni dovesse portare ad una sostanziale fine di quel mondo.

Provo a spiegarmi.

Su Renzi il discorso è semplice. Mutatis mutandis, sceglie di fare del Pd l’equivalente della vecchia Dc. Se questa doveva la sua forza al porsi come diga anticomunista, morendo infatti in parallelo alla fine del blocco sovietico (Cossiga docet), il Pd gioca tutto sul presentarsi come diga antipopulista. Non che sia una gran trincea, ma sicuramente quanto basta per raccogliere attorno a se un consenso sufficiente per essere la prima forza della futura coalizione governativa.

E gli scissionisti? Sulla natura sistemica della loro operazione ho già scritto QUI. Personalmente non mi stupirei se conquistassero davvero un 10%, perché anche se la loro proposta politica è il nulla, la concorrenza è scarsa quanto mai e Renzi è giustamente il più odiato a sinistra.

Vissero allora tutti felici e contenti? Non penso proprio. Se dal punto di vista tattico-elettorale la separazione potrebbe pure convenire ad entrambe le parti, diverso è il discorso nel medio periodo. Medio, non lungo, che in quello come disse Keynes “saremo tutti morti”.

Il fatto è che siamo dentro ad un gigantesco cambio d’epoca. E nulla è più vecchio dell’ambiente di Piddinia. Sono vecchie le mura, gli edifici, le torri di quella cittadella di un potere che si pensava quasi eterno. Vecchi sono gli abitanti che la popolano. Non in senso anagrafico, che non c’entra proprio nulla – chi è più vecchio di certi giovani del Pd? – ma per quella che è la loro visione del mondo. Una visione ultra-conservatrice dell’esistente che si vorrebbe nuova solo perché twitta anziché argomentare ed usa le slide anziché ragionare.

Comico che siano proprio costoro ad irridere il popolo perché “ignorante”, unica spiegazione che sanno darsi del cosiddetto “populismo”.

In realtà i veri barbari, i negatori di ogni civiltà fondata sulla cultura e sulla conoscenza, sostituite dal credo mercatista e dagli algoritmi della finanza, sono proprio loro. Accecati come sono, pur nella loro crisi, dal ritenersi gli unici abilitati a governare.

Sto forse esagerando? L’ho già detto e lo ripeto: guardatevi una loro riunione in streaming e vi accorgerete che non c’è esagerazione alcuna. Comunque chi vivrà vedrà. Questo articolo aveva il solo scopo di andare un po’ più a fondo sulle ragioni dello smarrimento che regna in Piddinia. Ragioni che vanno ben oltre i modestissimi protagonisti della telenovela in corso.