La scissione del Pd, la folle corsa renziana, la minestra riscaldata dell’ulivismo, il paradosso Gentiloni, il mistero della data del voto. Ma c’è un convitato di pietra…
Brevi note su un evento annunciato e sulle sue probabili conseguenze
1. La scissione del Pd è ormai cosa di ieri. Fatta senza squilli di tromba, senza chiarezza e senza contenuti, ma fatta. A differenza di altri non abbiamo mai dubitato che l’evento si sarebbe alla fine compiuto. Le ragioni di questa “scissione fredda”, senza passioni e senza ideali, le abbiamo già esaminate nei giorni scorsi (leggi QUI, QUI e QUI). A quanto già detto, aggiungiamo solo una cosa, banale quanto essenziale: dirigere un partito con il primario obiettivo di rottamarne una parte è di per se rischioso. Se poi si perde la battaglia simbolica decisiva, e non si è disposti a fare un passo indietro, le conseguenze sono pressoché inevitabili. La scissione è dunque figlia del referendum e della testardaggine dello sconfitto di quel voto.
2. La folle corsa renziana dunque continua. Prima la corsa delle primarie 2013, poi quella per prendere il posto di Letta, quindi le due corse parallele della controriforma costituzionale e della nuova legge elettorale. Ora, dopo la sberla del 4 dicembre, la nuova corrida chiamata assai impropriamente “congresso”. Tutto di fretta, tutto in suo nome. Quel congresso Renzi lo avrebbe vinto a man bassa anche senza scissione, ma adesso diventa proprio un congresso farsa a tutti gli effetti. Non solo perché non ci sarà vera discussione (quella sarebbe stata sotto il minimo sindacale comunque), ma soprattutto perché non ci saranno veri avversari. Renzi lo vincerà, ma sarà la più classica vittoria di Pirro.
3. La minestra riscaldata dell’ulivismo. E’ questo il massimo che riescono a proporre gli scissionisti, che in quanto a capacità di riesame storico dell’ultimo quarto di secolo sono inferiori perfino al loro ex segretario. Certo, il vuoto a “sinistra” è talmente grande che basterà poco per raggranellare qualche voto. E poi la crisi pentastellata aiuterà di sicuro. Ma qual è la prospettiva politica? C’è forse una qualche idea di società, oltre alla stantia retorica sui vecchi valori della sinistra? Non sembrerebbe proprio. E c’è qualche idea, quantomeno accennata, su come affrontare il nodo Europa? Se c’è, non ne abbiamo notizia. E quale sarebbe poi la proposta di governo? Ma ovvio, un bel centrosinistra! Dunque di nuovo alleati con il partito di Renzi, ma siccome i voti non basteranno, ecco che si aprirà la strada ad un accordo non solo con gli irrilevanti centristi, ma perfino con i resti della vecchia Forza Italia.
3 bis. Che il ceto politico sinistrato, a partire da un bel pezzo dell’ex Sel, non veda l’ora di saltare su questo nuovo carrozzone elettorale a trazione ex diessina è cosa ovvia. Vedremo alla fine chi vi salirà subito o tra un po’, e chi invece avrà almeno la dignità di starsene fuori. Su questo l’essenziale è stato già scritto QUI: «Resta però il punto principale che bisogna ficcarsi bene in testa. Chi correrà a rafforzare l’impresa dalemiana andrà – che lo sappia o meno – a rafforzare un’operazione favorevole al sistema oligarchico». Detto questo è detto tutto.
4. Il “Paradosso Gentiloni” in ogni caso rimane. Per la prima volta nella storia delle scissioni, abbiamo che un governo totalmente incentrato sul partito che subisce la scissione gode un appoggio maggiore da chi se ne va rispetto a chi resta! Effetti mirabolanti di un politicantismo che ha perso ogni rapporto con i contenuti, ma che non potranno durare troppo a lungo. Non – non sia mai – per un ritrovato senso della decenza, quanto piuttosto per le più elementari esigenze di visibilità e di spazio politico da conquistarsi in vista della prossima campagna elettorale.
5. Il “mistero” della data del voto è nelle mani di Renzi. La nuova corsa del fiorentino non ha come ultima meta il congresso. Quella sarà solo una tappa, poi verranno le elezioni. Già, ma quando? Premesso che giugno o settembre poco cambia, chi scrive pensa che quella di giugno sia la data più probabile. In Italia a settembre non si è mai votato, ed è inutile dire quanto sia immaginabile una campagna elettorale che inizia a Ferragosto. I giornali parlano dell’abbinamento con le elezioni tedesche del 24 settembre, ma questo produrrebbe una stretta post-elettorale quasi ingestibile, con Bruxelles che vuole la Legge di bilancio (e che Legge di bilancio!) entro il 15 ottobre. Ma ci sono ragioni più immediate che spingono Renzi alla scelta di giugno: perché non approfittare di una lunga campagna elettorale che egli inizierà a marzo con il congresso e le primarie del Pd? Perché dare più tempo all’organizzazione delle forze scissioniste? E perché darlo alle altre forze politiche, oggi tutte in difficoltà per i più diversi motivi? E’ vero, l’ex segretario del Pd adesso non sembra avere fretta, ma pensate che sia difficile congegnare una qualche trappola parlamentare, ad esempio un voto di fiducia invotabile dagli scissionisti, per arrivare allo scioglimento delle camere dandone la responsabilità a Bersani e soci?
Fin qui abbiamo cercato di fissare le questioni più immediate, ma nelle discussioni di questi giorni c’è un convitato di pietra che nessuno ha osato nominare: l’Unione Europea, la sua crisi, le scelte dell’Italia rispetto alla stretta che si annuncia.
E’ un silenzio incredibile di una classe politica irresponsabile. Che è poi quella classe politica che, proprio con i governi del centrosinistra (incluse le sue propaggini di sinistra), ha portato il Paese nella gabbia dell’euro, quella che sta lentamente uccidendo l’economia italiana.
Inutile lamentarsi del dramma sociale in atto, della disoccupazione, della precarietà e della povertà senza vederne le cause. Peggio: offensivo ed intollerabile che se ne parli soltanto in maniera retorica, solo in vista delle elezioni, senza peraltro dire un’acca sul da farsi.
In ogni caso, almeno dal punto di vista elettorale, la linea di Renzi è chiara. Egli vuol fare del Pd una sorta di diga “antipopulista”, attraendo verso di se tutte le forze conservatrici, ed ottenendo così un rinnovato appoggio dall’èlite dominante. In mancanza di alternative è un disegno che ha una sua forza nell’immediato. Che ce l’abbia anche nel medio periodo non lo pensiamo affatto, ma di certo l’alternativa non potrà venire dai tardo-ulivisti di questa scissione fredda né da chi si aggregherà al loro carro.
PS – Alcuni nostri amici ci chiedono quale interesse avrebbe Renzi a correre velocemente verso le urne, visti i consensi in calo ed una scissione da digerire. E’ presto detto: Renzi sa bene che il 40% è un miraggio, ma sa anche che tra un anno sarebbe peggio, dato che sotto la legge di bilancio 2018 qualcuno la firma la dovrà pur mettere. Meglio allora, dal suo punto di vista, una campagna elettorale alla svelta, nella quale porsi populisticamente come unico alfiere della lotta al… populismo. Un compito che sarebbe ben più difficile da svolgere dopo aver accettato un nuovo ciclo di austerità.
PPS – Qualcun altro ci chiede invece se prima non si vorrà mandare in porto una legge elettorale ancor più maggioritaria. Personalmente, direi proprio che non ce ne sono le condizioni. Se il parlamento è stato paralizzato fino ad oggi, come pensare che le cose si muovano dopo la spaccatura del Pd? Al massimo ci sarà qualche aggiustamento, di quelli che si possono varare in una settimana.