«L’unica buona notizia è che ora, data l’amara disillusione del popolo greco, emergono soluzioni alternative impensabili fino a poco tempo fa, come l’uscita dalla UEM».

(nella foto Costas Lapavitsas)

Negli ultimi mesi, a causa del terzo piano di salvataggio firmato nell’agosto del 2015, la Grecia si è trovata nuovamente ad affrontare gravi problemi. Tra i vari termini dell’accordo è previsto che il Paese debba raggiungere un avanzo primario dello 0,5% del PIL nel 2016, dell’1,75% nel 2017 e del 3,5% nel 2018 e tutti gli anni successivi.

Tali richieste sono apparse talmente irrealistiche che il Fondo monetario internazionale si è rifiutato di agire da creditore nel nuovo programma. Il Fondo non solo aveva chiesto soglie ben più basse – 1,5% nel 2018 e negli anni successivi – ma aveva anche proposto un’immediata riduzione del debito, in modo che quest’ultimo fosse sostenibile per la Grecia. Inoltre, aveva aggiunto che se l’obiettivo di avanzo primario per il 2018 fosse rimasto al 3,5%, sarebbero state necessarie misure fiscali supplementari pari al 2% del PIL.

Pur senza rompere con la rovinosa logica dell’austerità e il ben noto catalogo di aggiustamenti neoliberisti, l’FMI aveva almeno mostrato qualche segno di pensiero logico. Il motivo è principalmente la perdita di credibilità accusata dal Fondo dopo il fallimento del programma di bailout del 2010. In particolare era emerso dagli stessi rapporti interni del FMI che il management aveva preso le distanze,  proprio nel momento in cui la Grecia era esposta a una forte pressione politica da parte dei creditori e agli effetti di un programma concordato senza alcun raziocinio. La conseguenza è che il FMI si trova oggi ad essere garante della Grecia con oltre 30 miliardi di euro.

Nessun ulteriore finanziamento per la Grecia

In seguito all’attuale analisi della situazione del Paese, per l’FMI era diventato impossibile stanziare dei nuovi finanziamenti per il risanamento della Grecia.

Il Fondo monetario ha addirittura evitato di portare a termine la relazione sul programma in corso, e questo è anche il motivo per il peggioramento della crisi greca nelle ultime settimane. Finché il rapporto non sarà completato, i fondi di salvataggio non saranno assegnati e, cosa ancora più grave, le banche greche non saranno in grado di partecipare al programma di QE della BCE. La Grecia si troverà nuovamente ad affrontare un’acuta crisi di liquidità, e l’economia del paese potrebbe scivolare ancora di più in recessione.

Il problema della Grecia è – ovviamente – l’atteggiamento dei creditori, in particolare della Germania e della stessa élite greca. Ma se si va oltre nel ragionamento, l’assurdità di tutto questo sta nel fatto che la Grecia persiste a rimanere nella zona euro, con tutti i limiti che questa appartenenza comporta per l’economia, la società e la sovranità nazionale. Il governo sa che in merito agli obiettivi di avanzo primario l’FMI ha ragione, pertanto sta cercando di negoziare anche un alleggerimento del debito che sia efficace. Ma i creditori non sono così facili da convincere.

D’altra parte, il governo sa anche che una sua decisione che comporti il raggiungimento dell’obiettivo del 3,5% contemplato dalle nuove misure comporterebbe un suicidio politico. Per poter respirare un po’ il governo si accontenta quindi di comportarsi come se il FMI stesse tenendo un atteggiamento eccessivamente duro e, allo stesso tempo, lo sollecita a completare il rapporto sul salvataggio nel minor tempo possibile. Dopodiché staremo a vedere…

I creditori sono più cinici rispetto al governo greco. Principalmente perché sanno che l’avanzo primario previsto non potrà mai essere raggiunto. Inoltre, non vogliono in alcun modo accettare un alleggerimento del debito, consci che ciò avrebbe delle ripercussioni politiche nei loro paesi. Allo stesso tempo, se il FMI si ritirasse dal programma di salvataggio, ciò comporterebbe complicazioni politiche gravi per Germania, Paesi Bassi e altre nazioni. In definitiva, si tratta di un problema non facilmente risolvibile, per questo i creditori cercano di rimandarlo. Dopodiché staremo a vedere…

Questo atteggiamento dei creditori ha determinato la lungaggine della seconda relazione sul programma di salvataggio per la Grecia; in particolare la Germania, l’Olanda e la Francia non hanno alcun interesse a velocizzare le operazioni. In questi paesi nel 2017 ci saranno le elezioni e l’ultima cosa che vogliono – anche in vista della crescente popolarità dei partiti di destra nella zona euro – è quella di dare l’impressione che stiano facendo concessioni di qualsiasi tipo alla Grecia. La pressione è stata quindi lasciata in eredità al governo Tsipras, che ora fa di tutto affinché il secondo rapporto venga completato, in modo che possa continuare a raccontare a casa propria che “le cose stanno andando bene”.

Il prezzo dell’appartenenza all’UEM

L’accordo provvisorio che è stato concluso il 20 febbraio nell’Eurogruppo riflette questa pressione politica. La Grecia è stata costretta a prevedere  ulteriori misure di austerità anche dopo il 2018, in modo che il Paese possa raggiungere l’assurdo obiettivo del 3,5%. Ciò rischia di tradursi in un ulteriore aumento delle tasse e in tagli alle pensioni. Non è ancora del tutto chiaro come sarà applicato questo accordo, anche perché finora nulla di definitivo è stato concordato. Il governo Tsipras ha guadagnato un po’ di tempo, in quanto i creditori e il FMI hanno accettato di tornare con un team di esperti ad Atene per raggiungere un accordo. C’è da aspettarsi delle svolte sorprendenti prima che la relazione sia completata nei prossimi mesi.

Mentre si andava allegramente avanti con i litigi politici, la situazione “alla base” non ha mostrato nessun segno di progresso, come era auspicato dal governo ellenico. Il massiccio aumento delle imposte e la riduzione della spesa nel 2016 hanno, infatti, portato a un enorme avanzo primario, ma le conseguenze si stanno facendo sentire nel settore del commercio al dettaglio. Tutti gli altri indicatori economici – come gli investimenti, il commercio estero, il credito bancario, la competitività – sono appena sufficienti a indicare un minimo grado di stabilità dell’economia greca.

Il PIL nel 2016 sembra essere cresciuto un po’ – forse dello 0,3% – ma ciò è dovuto solo allo scarso rendimento economico del 2015 e, in parte, anche ai buoni risultati nel turismo del terzo trimestre dell’anno passato. Non ci sono però segni di una vera e propria ripresa, in quanto la deflazione interna ha portato l’economia a una fase di stallo. Questo è il prezzo a lungo termine dell’adesione stabile all’Unione monetaria europea.

La disperazione in gran parte della popolazione è visibile a occhio nudo. Allo stesso modo il rifiuto della politica finisce per trasformarsi in assoluto disprezzo per l’attuale sistema.

Kyriakos Mitsotakis, presidente dell’opposizione “Nuova Democrazia”, viaggia per tutto il paese promettendo di ridurre l’obiettivo di avanzo primario al 2%, cosa che probabilmente pensa di ottenere riducendo la spesa pubblica e l’imposizione fiscale. Vuole anche approvare riforme che portino a una forte crescita, senza però violare le condizioni dell’accordo di bailout. In breve: lo stesso presidente dell’opposizione manca totalmente di serietà per ciò che concerne la politica economica. Sette anni dopo il primo programma di salvataggio il sistema politico in Grecia, come una volta i Borboni, mostra non solo di non aver imparato nulla, ma anche di non aver dimenticato nulla.

L’unica buona notizia è che ora, data l’amara disillusione del popolo greco, emergono soluzioni alternative impensabili fino a poco tempo fa, come l’uscita dalla UEM. A molti sta diventando chiaro che non esistono prospettive di una rapida ripresa economica senza il recupero del controllo degli strumenti di politica economica, che è necessariamente accompagnato dal ripristino della sovranità statale. Ci sono forze che stanno delineando soluzioni alternative per la Grecia. I prossimi mesi si prospettano colmi di sviluppi, politici e sociali.

da Voci dall’estero
fonte: Makroscop
traduzione di Stefano Solaro