Dice il manuale della psicosi: «Fenomeno di apprensione, timore, paura, individuale o collettiva, che assume aspetti quasi morbosi».

Il soggetto affetto da disturbi psicotici può curarsi con farmaci ad hoc o con la psicoterapia, più efficacemente utilizzando entrambi. Decisiva, dicono i medici, è una diagnosi tempestiva.

Se è difficile trovare una terapia adeguata per guarire da disturbi psicotici collettivi, ovvero di natura politico-sociale, più agevole è tracciare una diagnosi.

I sintomi di quella che chiamiamo psicosi antifascista si vanno ammucchiando, di pari passo al timor panico che dalle élite intellettuali dominanti, a cascata, scende verso il basso, verso le élite intellettuali subordinate.

La causa di questo timor panico è l’avanzata dei populismi, non in qualche esotica “repubblica delle banane” — dove queste élite immaginavano un simile e “primitivo” fenomeno politico fosse destinato a manifestarsi — ma fin nel cuore del corpaccione imperialista occidentale.

Dopo il campanello d’allarme della Brexit l’arrivo al potere di Donald Trump negli Stati Uniti è stato un autentico shock per il clero politically correct e il bel mondo neo-liberista. L’alta società, in preda ai fumi inebrianti della belle epoque 2, lievitata al settimo cielo, aveva perso ogni contatto con la realtà. Svanita in un colpo solo la storytelling sulle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione. Il risveglio, data la rovinosa caduta al suolo, è stato devastante.

Già in vista del referendum inglese l’esercito di locuste degli intellettuali glob-prog (che sta per globalisti-progressisti), sotto il comando delle due centrali mondiali dell’intossicazione ideologica, New York e Londra, era sceso sul piede di guerra lanciandosi all’attacco dei brexiters qualificati come feccia populista reazionaria, come nazionalisti retrogradi.
Il populismo essendo non solo un’accusa infamante ma un vero e proprio anatema.

Fallito miseramente l’assalto — malgrado a capeggiare le truppe fosse sceso sul campo di battaglia lo stesso Comandante in Capo — lorsignori hanno cercato la rivincita nelle elezioni presidenziali americane. Il risultato è noto: una clamorosa disfatta.

Ecco dunque che le stesse centrali imperiali della intossicazione ideologica, rivelatosi inefficace l’anatema anti-populista, hanno scatenato una ancor più scaltra e violenta offensiva comunicativa. La pubblica accusa, allo scopo di satanizzare non solo Trump, ma il composito poliverso sociale che l’ha portato alla clamorosa vittoria, ha così sganciato, tra le diverse bombe ideologiche a sua disposizione, quella più letale di tutte, quella di vera e propria distruzione di massa: con Donald Trump sarebbe arrivato il fascismo alla Casa Bianca.

Una cazzata sesquipedale, che tuttavia sta facendo presa sull’armata più numerosa di tutte, quella dei cretini, in schiacciante maggioranza tra le generazione dei millennials. Greggi di pecore belanti — eterodirette dai padroni dei cosiddetti social media, aizzati da astutissimi spin doctor e zelanti opinion makers liberali in servizio permanente effettivo — sono così scese in piazza a denunciare…”l’avanzata fascista”.

Passi per i millennials e la Erasmus generation, una generazione e mezzo cresciuta a pane, internet e nutella liberal-liberista. E passi pure per i sinistrati radical-chic che fanno della contaminazione ideologica un fattore esistenziale.

Più preoccupante è che vittime di questa psicosi antifascista siano caduti anche settori di quella che pretende essere la “sinistra antagonista”. Lanciato dalle centrali liberal-liberiste del depistaggio ideologico l’appello antifascista, la più parte dei gruppetti “comunisti” hanno risposto Presente! Anzi, per distinguersi, per darsi un contegno “rivoluzionario”, nella guerra dei paroloni, si sono messi a gridare più forte, hanno lanciato l’allarme definitivo: l’Occidente, a partire questa volta dagli USA, si starebbe velocemente fascistizzando.

Siccome Marx è morto e non li può sentire, in suo nome, c’è chi ci spiega come in effetti il fascismo sia alle porte. Lo sarebbe «… in quanto rappresenta un effetto, in qualche modo necessario, della crisi strutturale del modo di produzione capitalistico».

Ecco il teorema per cui, data la causa (la crisi economica che impoverisce la piccola borghesia e spinge nel pauperismo i “ceti medi”), necessariamente viene  l’effetto: il fascismo. E quindi?

Quindi, seguendo il medesimo semplicismo:
«… l’unica reale alternativa all’affermazione di forze filo fasciste è la realizzazione della Repubblica socialista dei consigli…. l’affermazione del socialismo a livello internazionale».

A parte la patetica retorica dottrinaria, l’articolo è degno di nota per l’uso sconsiderato e superficiale della categoria “fascismo”: da concetto teso ad esprimere uno specifico fenomeno storico, diventa una nozione talmente generica e onnicomprensiva. Così, invece di individualizzare un problema per meglio comprenderlo, lo si dissolve nell’apeiron, nel totalmente indeterminato. Di notte tutte le vacche sono nere, avrebbe detto Hegel…

Non è un caso che l’articolista usi come sinonimi di fascismo, andiamo con ordine: filo-fascismo, totalitarismo, sciovinismo, bonapartismo, razzismo, protezionismo, populismo, nazionalismo, sovranismo, militarismo. Il fascismo diventa, per tale “scuola di pensiero”, una discarica in cui finiscono Trump e Putin, Peron e Videla, il sionismo e lo Stato Islamico, il Front National francese e Berlusconi, il Movimento 5 Stelle e Forza nuova, ovviamente la Lega Nord.

Ma quali sarebbero i criteri, ovvero i cliché di questa classificazione? Sono le figure tanto odiate dalla cultura glob-prog: il nazionalismo, il sessismo, l’omofobia, il sovranismo, l’odio per i nemici, il sicuritarismo, il linguaggio populista, il razzismo, un certo oscurantismo religioso, il disprezzo per i diritti civili.

Ma sono davvero questi i segni distintivi del fascismo? la risposta è no. Questi tratti, in quanto comuni alle più diverse correnti reazionarie, conservatrici e tradizionaliste — correnti che come sosteneva il filosofo cattolico Augusto Del Noce sarebbe bene invece tenere distinte — non ci aiutano affatto a comprendere cosa davvero caratterizzi il fenomeno fascista.

Come ogni grande movimento politico, in esso confluirono istanze sociali e visioni ideologiche le più disparate, spesso anche antitetiche tra loro. C’erano i morti di fame ed i grandi capitalisti, i futuristi e gli anti-modernisti, i clericali e gli anticlericali, i liberisti e gli statalisti, gli spiritualisti ed i materialisti, i libertini e i timorati di Dio.  Davanti a questo guazzabuglio non è certo sulla scala assiologica dei valori che si può trovare ciò che è peculiare e caratterizza il fenomeno fascista.

Per mettere ordine nel discorso chiediamo aiuto ad un gigante del novecento:

«I comunisti italiani, costretti da tempo ad occuparsi della questione fascismo, hanno spesso protestato contro l’abuso frequentissimo dell’uso della nozione di fascismo. All’epoca del VI Congresso e dell’ IC, Ercoli [Togliatti, Ndr] sviluppava ancora sul fascismo dei punti di vista che attualmente sono considerati come dei punti di vista “trotskisti”.
Definendo il fascismo come un sistema di reazione conseguente e completo, Ercoli spiegava: “Questa affermazione poggia non già sugli atti di terrore selvaggio o sul numero elevato di contadini e di operai assassinati, o sulla atrocità delle differenti specie di supplizi largamente applicati o sulla severità delle condanne: questa affermazione è motivata dalla distruzione sistematica di tutte le forme di organizzazione indipendenti delle masse”.
Ercoli ha in ciò perfettamente ragione: l’essenza e la funzione del fascismo consiste nell’abolire completamente le organizzazioni operaie e nell’impedire che si ristabiliscano. In una società capitalistica sviluppata, questo scopo non può essere raggiunto soltanto con dei mezzi di polizia. La sola via per questo scopo è di opporre all’attacco del proletariato, nel momento del suo indebolimento, l’attacco delle masse piccolo-borghesi infuriate. È precisamente questo sistema particolare di reazione capitalista che è entrato nella storia sotto il nome di fascismo.
“La questione dei rapporti esistenti tra fascismo e socialdemocrazia, ha scritto Ercoli, fa parte dello stesso campo (inconciliabilità del fascismo con le organizzazioni operaie). Sotto questo rapporto, il fascismo differisce nettamente da tutti gli altri regimi reazionari che si sono affermati fino ad oggi nel mondo capitalista contemporaneo. Esso respinge ogni compromesso con la socialdemocrazia, l’ha ferocemente perseguitata, l’ha privata di ogni possibilità legale di esistenza, l’ha costretta ad emigrare”».
Lev Trotsky, “Democrazia e fascismo” (1932)

Di contro agli abusi lessicali e semantici cosa abbiamo? Che il fascismo “differisce nettamente da tutti gli altri regimi reazionari che si sono affermati fino ad oggi nel mondo capitalista contemporaneo”; che “esso è quel sistema di reazione conseguente e completo che distrugge sistematicamente tutte le forme di organizzazione indipendenti delle masse proletarie”; per cui l’essenza del fascismo “consiste nell’annientamento delle organizzazioni operaie”, e per far questo deve non solo “respingere ogni compromesso con la  socialdemocrazia” ma liquidare la stessa democrazia rappresentativa liberale. Infine, ciò che è altrettanto importante, dato che gli strumenti repressivi ordinari non sono sufficienti a fermare l’avanzata proletaria, distingue il fascismo la sua capacità di mobilitare contro il movimento proletario la sua base sociale popolare sul terreno extraparlamentare, violento e illegale.

“È precisamente questo sistema particolare di reazione capitalista che è entrato nella storia sotto il nome di fascismo».

Il fascismo consistette quindi, in ultima istanza, in un contesto storico segnato dalla tensione estrema dei conflitti sociali e di classe e dallo “Stato d’eccezione”, in una controrivoluzione armata preventiva, nel più potente fattore di sbarramento di contro al bolscevismo avanzante.

Non ci pare esistano oggi in Occidente le condizioni e le premesse sociali e politiche che possano giustificare l’insorgenza di movimenti di massa fascisti, il pericolo del passaggio a regimi fascisti. Ciò non vuol dire che non stiano crescendo, in seno alle società, pulsioni reazionarie e autoritarie, che vanno certamente combattute, con modalità adeguate. E’ autoevidente che se  il fascismo fosse davvero alle porte alle forze socialiste e democratiche non resterebbe che prepararsi alla resistenza armata. Lasciamo ai lettori stabilire se questa sia oggi la situazione in cui ci troviamo.

Il pericolo più grosso che oggi vediamo non è tanto il fascismo alle porte, ma la psicosi anti-fascista, e per due ragioni. La prima è che col pretesto del nemico immaginario futuro impedisce di vedere quale sia il nemico principale che abbiamo dentro casa: l’oligarchia neoliberista e mondialista, che qui da noi s’incarna nelle frazioni decisive della classe dominante e nel sistema chiamato Unione europea, e la cui ideologia è il progressismo sinistroide. La seconda ragione è che, a forza di gridare al lupo! ad ogni stormir di fronde, si finisce per farsi sorprendere e restare disarmati al momento in cui il lupo sopraggiunge davvero.