Ci hanno provato in ogni modo a silenziare i ribelli di Alitalia, ad oscurare lo sciopero indetto dalla CUB Traporti svoltosi ieri e che ha avuto l’aeroporto di Fiumicino come epicentro. Alla fine i media hanno capitolato, han dovuto ammettere che è stato un grande successo. Ne è prova incontrovertibile la cancellazione di ben 320 voli, un record, malgrado i settecento e passa comandati, obbligati a lavorare pena il licenziamento.

Per far fallire lo sciopero l’azienda le ha tentate tutte. Ha sguinzagliato capi e capetti per intimidire le maestranze, con le forze di pubblica sicurezza che, seguendo la massima “colpiscine uno per terrorizzarne cento”, non hanno esitato a minacciare pesantemente il manipolo di sindacalisti della CUB sulle cui spalle stava tutta l’organizzazione. Il tutto in un’aerostazione che oramai rassomiglia ad una base militare.

Malgrado questo clima l’adesione è stata massiccia, anzitutto tra il personale di terra, ma anche tra quello navigante. Il partecipato e combattivo corteo svoltosi in mattinata per le strade dell’aeroporto ne è stata la conferma.

Di sicuro la protesta è giunta fin nelle ovattate sale del Ministero dei Trasporti, dove a sera si svolgeva l’ennesimo round del negoziato tra Alitalia e “parti sociali”, dove per “parti sociali” sono da intendere le mafie sindacali che portano pesanti responsabilità per lo sfascio dell’ex compagnia di bandiera e che anche in questo caso finiranno per accettare un nuovo Piano che verrà spacciato per “industriale” ma che nella sostanza consisterà in un un’ulteriore demolizione di Alitalia, di cui i lavoratori pagheranno il prezzo più alto. Ovviamente con ricorso alle finanze pubbliche per ingrassare nuovamente le iene a cui verrà affidato il compito di “salvare” l’azienda.

L’importanza dello sciopero di ieri, non è solo nel fatto che rappresenta, dopo anni di catalessi ed in un settore economico e sociale strategico, un sintomo di vitalità della resistenza proletaria — come altro volete chiamare la lotta di migliaia di lavoratori iper-precarizzati e trattati come servi della gleba?

L’importanza sta anche nel fatto che alla testa di questa lotta, certo tutta difensiva, sta un gruppo di sindacalisti che ha avuto il coraggio di indicare la sola soluzione strategica possibile per l’Alitalia: la nazionalizzazione.

In questo rivendicare la “Nazionalizzazione come unica soluzione” c’è non solo un legittimo radicalismo sindacale. C’è qualcosa di molto più importante: c’è il rifiuto del paradigma neoliberista che “privato è bello”, il che è già tanto. C’è il rovesciamento del racconto, ideologico e falso, che Alitalia pubblica era solo un “carrozzone mangiasoldi”, rifugio di “maestranze scanzafatiche” —oggi la compagnia ha la metà dei dipendenti ma perde circa un milione di euro al giorno.

C’è in questa battaglia per nazionalizzare Alitalia, una cosa ancora più importante. Siamo davanti al fatto che un pezzo del mondo del lavoro inizia ad avere la consapevolezza che chi tira i fili dell’economia di questo Paese è una consorteria di parassiti, di ladroni, di banditi che mentre vogliono ridurre allo stato schiavistico chi lavora, azzannano lo Stato per papparsi le sue ricchezze. Una cosca di furfanti che si spacciano per “imprenditori”, che in nome della globalizzazione e del mercato, perseguono il disegno di smembrare lo Stato e di sfasciare la nazione. E nello svolgere questa funzione disfattista essi godono del pieno e servile appoggio della multicolore casta dei politicanti.

Non è certo già, come suggeriva Antonio Gramsci, l’evidenza che la classe proletaria si fa “classe nazionale”, che sfida l’oligarchia dominante sul terreno che decide chi debba stare alla guida del Paese. E’ solo un sintomo, un segnale, che va tuttavia raccolto perché non ci sarà salvezza per il nostro Paese se non de-globalizzando, senza cacciare dal potere l’associazione a delinquere che lo controlla.

Ecco cosa anzitutto insegna la resistenza dei lavoratori Alitalia: che ogni grande battaglia sindacale (tanto più in settori strategici che tirano in ballo l’architettura stessa di una nazione) ha oramai impatto e contenuto politico, chiede una soluzione ed una direzione politiche. I lavoratori sanno che non possono vincere senza una svolta politica generale.

È qui il punto dolente, anzi il vero e proprio disastro. La resistenza proletaria è isolata, i ribelli sono lasciati soli. Lo sciopero di ieri in Alitalia ne è stata la prova lampante. Nessun politicante ha avuto il coraggio di portare la sua solidarietà, nessuno è venuto allo scoperto condividendo la richiesta di nazionalizzazione. Non parliamo dei piddini, né degli esponenti delle destre che fanno del liberismo la loro religione. Qui parliamo dei parlamentari che si dicono di sinistra, che a chiacchiere dicono di difendere i diritti del mondo del lavoro ma quando i lavoratori fanno i fatti, si dimostrano tutti dei Ponzio Pilato.

Parliamo infine degli esponenti del Movimento 5 Stelle, che si sono ben guardati dall’aprire bocca, che si sono rifiutati di esprimere, anche solo a parole, una qualche solidarietà.

Una vera e propria vergogna per un movimento che tante speranze ha suscitato tra i lavoratori e che tanti voti ha preso. Un’indecenza, anzi, un’infamia, per un movimento che pretende di salire al potere con la promessa che tutto cambierà. Anche questo è un sintomo, che tanti politicanti che pretendono di essere “alternativi” sono prigionieri della “gabbia di ferro” ideologica neoliberista, nel caso dello sciopero di ieri che ha paralizzato Alitalia ed il trasporto aereo, che essi mettono avanti il consenso passivo ed egoistico dei sudditi-consumatori piuttosto che quello attivo dei lavoratori in lotta.

Vale per tutti loro quel che cantava Fabrizio De André:

«E se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti».

da sollevAzione