Qual è la natura sociale e politica del Movimento 5 Stelle? E data questa natura qual è il suo destino? Cosa quindi tenderà a fare ove avesse in mano il potere?
Attorno a questi enigmi — a cui i Cinque Stelle sono i primi a non dare risposte — si accapigliano sociologi e politologi, si interrogano le classi dominanti e i movimenti di opposizione.
A noi pare chiaro, e ce lo conferma per ultimo il recente convegno svoltosi ad Ivrea — luogo simbolico che ci riporta ad Adriano Olivetti ed alla sua utopia comunitarista, e però nemmeno una parola a SUM#01 gli è stata dedicata… non è un caso — che M5S sia un contenitore di cose alquanto disparate. Ma se parliamo di “natura”, nel senso di “essenza”, non ce n’è una soltanto, ma due principali. Un’anima liberista e una anti-liberista.
In questo senso, per capire M5S, occorre prendere a prestito la formulazione teologica del Concilio di Nicea. Di contro alla setta ariana la quale postulava che Gesù avesse una differente (e subordinata) natura rispetto a quella del Padre, il Concilio rispose che Cristo era della stessa sostanza (ousia) del Padre, che Gesù era pienamente uomo e pienamente divino, e queste due nature coesistevano in lui in perfetta armonia.
Il fatto è che queste due anime, essendo M5S un’entità profana e per nulla divina, ben lungi dal coabitare armonicamente, sono come il diavolo e l’acqua santa, confliggenti, destinate a separarsi. Se fino ad oggi questo conflitto non è deflagrato, prima ancora che per il carisma di Beppe Grillo, ciò dipende dal posizionamento politico all’opposizione. Fino a che M5S resterà all’opposizione sarà relativamente facile tenere buoni i propri demoni interni, puntarli contro i nemici esterni evitando che si azzannino l’uno con l’altro.
Non a caso chi comanda in M5S ha voluto dare al convegno di Ivrea la forma di un simposio di futurologia, a metà tra un meeting di Scientology e ad una soporifera seduta di un club di capitalisti rampanti. In quanto a politica vera, a visione sociale, zero pressoché assoluto. Il “futuro” risulta così un alibi per giustificare la fuga, la diserzione dal presente, dal drammatico presente che vive il nostro paese.
Ma futuro per futuro, alla fin fine quale versione ci è stata esibita? Né più e né meno che quella propugnata dagli stregoni delle élite oggi dominanti: magnifiche sorti e progressive attenderebbero l’umanità grazie alla illimitata e provvidenziale potenza della rivoluzione tecnologica. Una narrazione abusata, sciatta, teoricamente dozzinale.
Non è nostro il pessimismo antropologico di Massimo Fini, ma il suo intervento ha almeno avuto il pregio di mettere in guardia i presenti dai rischi del “progresso”….
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