Grazie al diabolico sistema elettorale francese — non a caso quello che Renzi tentava di affibbiarci con l’Italicum — una minoranza ha espugnato in Francia la presidenza della repubblica. [1] Macron aveva infatti ottenuto, al primo turno, 8 milioni e mezzo di voti, meno di un quinto degli aventi diritto.

Ha vinto grazie al meccanismo ricattatorio del ballottaggio, superando il 65% dei consensi, ovvero quasi 21 milioni, che non fanno comunque la maggioranza, visto che i francesi aventi diritto dono 47 milioni e mezzo. Peggio è andata alla Le Pen, che con 10 milioni e mezzo di voti al secondo turno di ballottaggio, ha incassato circa un quarto dei consensi.

Tuttavia, rebus sic stantibus, Macron ha vinto di larga misura. Per questo le élite euro-liberiste, a nome e per conto della cupola finanziaria mondialista, tirano un grosso sospiro di sollievo. Ora la prova decisiva sono le elezioni parlamentari di giugno. Riuscirà Macron a vincerle? Non è detto.

Potrebbe essere costretto alla cosiddetta “coabitazione”, ovvero a fare i conti con una maggioranza parlamentare a lui ostile. Risultato molto probabile, cosa che getterebbe la Francia nella instabilità politica italian-style. Al che quella di domenica risulterebbe essere la più classica delle vittorie di Pirro. Macron potrebbe tuttavia farcela visti appunto i meccanismi elettorali truffaldini che premiano la minoranza dominante. [2]

Che Macron sia un fantoccio della potente casta finanaziario-bancaria francese ce lo conferma un insospettabile Massimo Franco sul Corriere della Sera di ieri:
«Macron è il prodotto di un esperimento tecnocratico della banca d’affari Rothschild… Figlio dell’élite tecnocratica incarna una strategia europeista e centrista che ha fatto tabula rasa sia del gollismo, sia della sinistra. Rappresenta una Francia che rifiuta le ideologie [che è il modo per dire che la sua ideologia è quella neoliberista, Ndr] e che guarda alla Germania».

L’ha detta giusta Mélenchon:
«Nasce la presidenza più deplorevole della Quinta Repubblica. Il programma del nuovo monarca è conosciuto, solo la nostra resistenza potrà essere vittoriosa».

Ecco: ha vinto la Francia che “guarda alla Germania”. Detto in altre parole: ha vinto la potente casta finanziario-bancaria d’Oltralpe legata da una irresistibile relazione simbiotica con il grande capitalismo tedesco. E’ un matrimonio d’interessi, certo, ma non per questo fragile. E’ proprio questo sodalizio il vero e più grande successo dell’euro. E’ questo il più profondo mutamento geopolitico prodottosi con l’Unione europea: l’asse strategico franco-tedesco, senza il quale la Ue sarebbe già crollata. Un asse di ferro che la Brexit, togliendo di mezzo l’ingombrante coinquilino inglese, ha rinsaldato.

Dice Sylvie Goulard, l’eurodeputata candidata in pectore a primo ministro di Macron:
«Per la Francia si apre la possibilità di essere di nuovo un ponte fra la Germania e l’Europa del Nord da un lato e il mondo mediterraneo dall’altro, perché il nostro Paese appartiene un po’ a due universi». [Corriere della Sera del 8 maggio]

E proprio qui sta il dilemma francese. Smarrita nella grande globalizzazione la sua missione universalistica (e imperialistica) la Francia soffre di una profonda crisi d’identità, non sa più cosa essa esattamente sia. A cavallo tra l’universo tedesco, quello atlantico e quello mediterraneo è destinata ad oscillare, in ogni caso in una posizione subalterna. Il destino della Francia, possiamo dirla così, non si decide a Parigi, ma altrove. Fino a quando la calamita tedesca eserciterà tutta la sua enorme potenza attrattiva la Francia resterà dov’è, in un regime di more uxorio con Berlino. Per parafrasare Dostoevskij, essa è un campo di battaglia tra grandi blocchi geopolitici, esistenti e nascenti, e la posta in palio è la sua stessa anima.

Che proprio questo suo essere condannata a campo di battaglia riesca a resuscitare le sue immense energie dormienti, vedremo. Se accadrà avremo lo scontro frontale tra le due anime profonde, quella giacobina rivoluzionaria e quella legittimista, versigliese. A quel punto, da campo di battaglia solo virtuale tra grandi blocchi, la Francia potrebbe nuovamente diventare punto di scontro effettivo. E’ solo passando attraverso questa porta stretta che la Francia riguadagnerà la sua sovranità perduta. Dove si collocherà a quel punto la sua grande borghesia non c’è dubbio: chiese l’aiuto del nemico tedesco per schiacciare la Comune di Parigi nel 1871, si schierò, via Pétain, con l’occupante nazista nella seconda guerra mondiale. Ubbidirà nuovamente alla sua pulsione reazionaria.

E’ qui che si deve collocare la questione del Front National di Marine Le Pen. Cos’è esso in verità? E cosa vuole diventare? La retorica repubblicana neo-gollista serve solo a nascondere la sua incertezza, la sua crisi esistenziale. Il Front vede le sue radici nella grande rivoluzione dell’89 o in chi la combatté? Il fatto è che il sovranismo, in Francia, ha due forme e due sole: o è giacobino o è bonapartista (quello di Napoleone Bonaparte non dei suoi epigoni nani come suo nipote o Charles De Gaulle). E il Front non può, non vuole essere né l’uno né l’altro.  Una terza via non c’è, ed è destinata all’irrilevanza. [3] Qui sta forse il fattore segnalato dal Mazzei: “il caso del Front National ci dimostra che il sovranismo di destra, xenofobo e nazionalista ha un limite congenito, e non potrà mai essere egemonico”. [4]

Scomparsi il Ps ed il Pcf Mèlenchon non si illuda per questo di avere il vento in poppa. Ha fatto due mosse giuste, prima con France Insoumise, quindi non cadendo nella trappola antifascista, rifiutando di sostenere Macron. Ma la strada è lunga e irta di pericolosi ostacoli. Molte pagnotte dovrà mangiare per essere all’altezza dello scontro decisivo che si approssima.

ps
Ciò che accadrà in Italia, più che in ogni altro paese, sarà determinante per capire da che parte oscillerà la Francia futura, se resterà incatenata al ceppo tedesco o se rivolgerà lo sguardo a Sud, verso il Mediterraneo, riscattando la sconfitta algerina, ma liberandosi delle sue smanie imperialistiche.

NOTE

[1] Il meccanismo elettorale delle elezioni legislative, basato sui collegi uninominali con doppio turno fu introdotto nel 1958 contestualmente all’adozione della Costituzione della famigerata Quinta repubblica. Nel 1962 De Gaulle lo estese all’elezione del Presidente.

[2] Per  capire cosa potrebbe succedere nel giugno prossimo è utile guardare a quanto accadde alle ultime del 2012. Il Partito socialista, che un mese prima con Hollande aveva vinto le presidenziali, con appena il 29,35% dei consensi ottenne ben 280 deputati sui 577 totali, arrivando alla maggioranza assoluta con i parlamentari di altri piccoli partiti di centro-sinistra alleati.

[3] Sintomatiche le mosse, di alto valore simbolico, compiute dalla Le Pen tra il primo ed il secondo turno. Ha anzitutto sfumato radicalmente la posizione anti-euro [Liberation del 29 aprile], l’apertura all’elettorato della destra fillionista, quindi l’alleanza con il gollista Nicolas Dupont-Aignan di Debout la France [le Monde del 29 aprile].

[4] Vedi il suo intervento all’assemblea della Confederazione per la Liberazione Nazionale il 25 aprile scorso a Roma.