Della danza dei morti di sinistra che camminano, in particolare di certi volteggi screanzati dopo il referendum costituzionale, ci eravamo occupati il 1° gennaio. Fece allora capolino la Anna Falcone. Non era una sortita estemporanea. La spaccatura (di destra) del Pd era nell’aria e noi non fummo indulgenti…
Infatti ecco che, nella febbre delle elezioni imminenti, esce immancabile l’appello alla resurrezione della sinistra, ovviamente “dal basso”, “civicamente”, in perfetto stile da anime belle. Firmatari Anna Falcone e Tomaso Montanari. Tossica minestra riscaldata, abbiamo scritto.
Di questo mesto fenomeno si occupa Ferdinando Pastore. Socialista come la Falcone, ma per nulla indulgente verso l’operazione a cui si presta.
Da qualche mese si susseguono assemblee, manifestazioni, convention di partiti, di movimenti che avrebbero l’ardire di unire la sinistra, tutte uguali a se stesse. Esse sono condite da continui appelli nei quali si descrive una società ansiosa di vivere in un luogo più gentile e sobrio e che non vede l’ora di vedere all’opera, in Parlamento, dirigenti come D’Alema, Bersani, Fratoianni, Vendola, descritti come dei missionari dediti ad una nuova evangelizzazione civilizzatrice. Inoltre, dal referendum Costituzionale in poi, il richiamo è indirizzato al popolo del NO, quello che ha sconfitto il PD Renziano. Secondo il parere di chi annuncia la grande Riunione, quella è la vittoria che apre la strada alla formazione di una lista nazionale dove tanti micro-“partiti” potranno concorrere alla salvezza dei propri gruppi dirigenti.
Ma questa analisi è del tutto mistificatoria. In realtà la sinistra ha contribuito in minima parte alla vittoria del NO e gli stessi comitati del NO, occupati, in gran parte, da ceto politico/amministrativo in attesa di riciclaggio, non hanno avuto la capacità di egemonizzare l’opposizione alla “Riforma”. Anzi gli stessi burocrati di sinistra sono stati i protagonisti del messaggio più consolatorio ed edulcorante riguardo il risultato referendario, dato che lo hanno assimilato ad una vigorosa reazione del popolo italiano contro il governo Renzi.
Si può dire che la sinistra sia stata del tutto ininfluente nell’indirizzare il voto referendario e che, inoltre, non ne abbia compreso il significato più profondo: la linea di continuità del No alla “Riforma” con i risultati dei precedenti referendum svoltisi in Europa negli ultimi anni, da quello greco alla Brexit. In tutti questi referendum il basso, contrapposto al potere oligarchico dell’establishment neo-liberista, ha iniziato a rifiutarsi di partecipare attivamente a scelte che lo continuano a vedere schiacciato, impoverito, spoliticizzato e senza rappresentanza.
In realtà chi paga la crisi, quel blocco sociale composito e composto da salariati, disoccupati, piccoli e medi imprenditori, artigiani, agricoltori, liberi professionisti e categorie in lotta contro le liberalizzazioni, reagisce con scioperi e lotte sociali e che quando diserta le elezioni o vota M5S contesta un modello incompatibile con il nostro sistema Costituzionale: quello dei trattati europei che impongono scelte indirizzate ad un’unica dimensione, quella liberista, e che riducono la sovranità a legittimazione economica, al fine di proteggere l’elemento costitutivo della società ordo-liberale: la concorrenza.
Gli appelli all’unità della sinistra, quindi, servono esclusivamente a ricomporre gruppi dirigenti, ormai sconfitti dalla Storia, e dato che i loro messaggi non suscitano sufficienti vibrazioni, anzi sono pressoché ignorati dalle masse, sono ripuliti con l’aiuto di personaggi spendibili, presi in prestito, o dalla “presunta” e auto-nominata società civile o dalla società dello spettacolo. Questo è il caso dell’ultimo, in ordine cronologico, di questi appelli, quello di Anna Falcone e di Tommaso Montanari che si aggiunge al corteggiamento effettuato dal mainstream nei confronti di Roberto Saviano.
Ma oltre al problema della sopravvivenza di un ceto politico senza popolo, la debolezza del messaggio – sempre incentrato su una astratta capacità da parte della sinistra di trasformare il mondo in un luogo più civile, più buono, più tollerante e più verde, e silente sulle enormi contraddizioni socio-economiche presenti nella società e su una prospettiva di scontro sociale che compensi l’egemonia del pensiero unico liberale – è frutto di una precisa impostazione ideologica che ha visto la sinistra allontanarsi dalle masse popolari poiché non più in grado di comprendere i meccanismi di sfruttamento dell’essere umano nella nostra epoca.
La sinistra ha accettato, attraverso le rivisitazioni della globalizzazione come fenomeno ineluttabile e foriero di grandi possibilità per tutti gli esseri umani, i quali si sarebbero dovuti trasformare in lavoratori della conoscenza, i pilastri dell’ideologia neo-liberista: la riduzione dello Stato a mero esecutore delle direttive sovranazionali che devono garantire la libera concorrenza, l’annullamento dei corpi intermedi che mediavano l’azione dell’esecutivo, la verticalizzazione del sistema politico attraverso l’indebolimento delle assemblee legislative, la trasformazione dell’individuo in imprenditore di sé stesso e la cancellazione del diritto al lavoro e dei diritti sociali, ai quali l’essere umano, appunto, deve pensare per conto proprio.
Questa trasformazione genetica della sinistra ha preso due strade differenti, la prima è quella del rigore ordo-liberista ed è diretta conseguenza delle politiche del PCI, nel momento in cui, dopo la caduta del muro, il suo gruppo dirigente si doveva affrancare nei confronti del nuovo ordine e, attraverso l’alibi della moralizzazione del sistema politico, ha iniziato a contestare la spesa pubblica, il ruolo dei partiti, le prerogative dello Stato sovrano; la seconda è quella post-lavorista, diretta emanazione del movimentismo anarco/libertario, nel quale il soggetto, e non più la classe, è diventato il protagonista della rottura del contratto sociale, aderendo, di fatto, all’idea individualista neo-liberale.
Come ha ben descritto Formenti, “la sostituzione dei soggetti collettivi con i soggetti individuali, ha spostato l’asse dei conflitti dal terreno della lotta per i diritti sociali a quello della lotta per i diritti civili…e la retorica dei diritti è così diventata l’unico discorso caratterizzante di quella sinistra che si pretende post-ideologica”. Gli appelli, appunto, che si richiamano a una reazione della società civile sono tutti indirizzati verso queste due impostazioni che non hanno vie d’uscita per le classi deboli, una paventata moralizzazione della società e la retorica dei diritti civili.
Con due evidenti contraddizioni. La prima è che nella sinistra non c’è nulla da unire. Quello che si sta manifestando in Europa, la nascita di nuovi movimenti che si richiamano al socialismo, sono del tutto incompatibili sia con la sinistra ordo-liberista che con quella del soggetto desiderante. In Spagna, Francia e ora in Inghilterra, con Corbyn, ci si richiama a concezioni solide e stataliste, a politiche di spesa pubbica, alla costruzione di un welfare sviluppato, a politiche di piena occupazione. In Inghilterra lo si può fare in autonomia dopo la Brexit, in Francia e in Spagna queste tematiche sono strettamente connesse al tema dei trattati europei e al superamento dei sistemi di Maastricht e di Lisbona.
L’appello all’unità della sinistra, poi, è totalmente incompatibile con il richiamo alla vittoria del NO al Referendum Costituzionale. E’ stata, in Italia, proprio la sinistra a esautorare la Costituzione, attraverso le riforme elettorali, le modifiche del mercato del lavoro, le politiche di austerità e l’accettazione supina dei vincoli esterni che non permettono di applicare la prima parte della Carta. Parte della sinistra italiana rivendica ancora con orgoglio quelle scelte, che hanno contribuito all’impoverimento della classe media, alla perdita del potere contrattuale dei lavoratori, alla dilagante disoccupazione e alla de-industrializzazione del Paese.
Si può affermare quindi che il richiamo all’unità della sinistra è un mezzo per superare il risultato del Referendum Costituzionale e per normalizzare il dissenso sociale. La dimostrazione sta nel fatto che seppur sia presente il richiamo al Referendum, non venga mai toccata la questione dell’incompatibilità dei trattati con il nostro dettato costituzionale. Anzi la critica è indirizzata solo nei confronti delle leggi elettorali. Quest’ impostazione serve a normalizzare il dissenso, incanalarlo verso orizzonti compatibili con il Potere neo-liberista, renderlo innocuo e impolitico.
Inoltre non si fa cenno alcuno alle lotte dei lavoratori di questi mesi; Alitalia, TIM, Almaviva sono solo degli esempi paradigmatici di quanto le classi deboli siano lontane da un messaggio consolatorio che richiama genericamente uno spazio, quello della sinistra, nel quale queste contraddizioni non vengono mai affrontate. La lontananza di questi lavoratori dai Sindacati Confederali, ad esempio, dimostra che il problema del lavoro, oggi, è problema da inserire all’interno di un discorso più ampio e che rappresenta una vera e propria questione nazionale: la crisi di tutto il sistema produttivo italiano e la conseguente de-industrializzazione avvenuta a seguito del nostro ingresso nel sistema euro.
Significativi sono i metodi utilizzati in questi anni. Non si tenta mai di costruire un partito, o almeno una Confederazione di partiti, che possa poggiare le basi su una struttura solida, che possa elaborare una visione alternativa della società, con un’organizzazione stabile, bensì ci si richiama alla nascita di una lista che ripropone un’unità liquida, flessibile, che si affida al marketing, alla ricezione dei gusti, delle inclinazioni del singolo, e che fa della ricerca di mercato il fulcro della propria azione. Per fare questo viene utilizzato un linguaggio aziendale – con dirigenti che si trasformano in manager – incentrato sulla prospettiva dell’efficienza e che ha a cuore una felicità individuale totalmente acritica, sottomessa alle regole del mercato.
Per questo vanno di moda i tavoli tematici, le primarie delle idee, strumenti attraverso i quali si intende lanciare un messaggio di natura pubblicitaria, piegato nella descrizione di un sistema modificabile con un po’ di buona volontà e nel quale solo i meritevoli, i giusti, i propositivi hanno la possibilità di essere considerati protagonisti politici, al fine di sincronizzare, definitivamente, i propositi dello Stato/Azienda con quelli del cittadino/consumatore e ammorbidire, in questo modo, le pressanti istanze sociali.
da sollevAzione