Com’è noto il mandato di Mario Draghi come Presidente della Bce scade nell’ottobre 2019. E’ noto che i banchieri tedeschi non hanno mai davvero digerito la sua politica monetaria “espansiva” (Quantitative easing), politica che senza dubbio ha evitato il crack del sistema bancario dell’Unione (checché se ne dica a Berlino quello tedesco incluso), quindi la stessa moneta unica.
Critiche a Draghi che sono state reiterate anche di recente.
Il presidente della DeutscheBundesbank Jens Weidmann [nella foto] ha ad esempio affermato a Berlino il 29 maggio scorso:
«Solo per pochi la Coca Cola può fare parte di un regime alimentare sano e la caffeina, al posto di uno stile di vita salutare, alla fine non fa che aumentare i rischi. Per lo stimolo monetario vale lo stesso: può essere usato, come la caffeina, per ‘risvegliare’ l’economia ma un consumo eccessivo porta a rischi e a effetti collaterali nel tempo…Anche la Coca-Cola, come le politiche di sostegno monetario, vengono usate come rimedi per tutti i mali: oltre al suo vero compito, che è quello di mantenere stabili i prezzi, la politica monetaria dovrebbe rafforzare la crescita, abbassare il tasso di disoccupazione, garantire la stabilità del sistema finanziario e, assieme, anche rendimenti adeguati ai cittadini».
Al netto delle analogie gastronomiche, un distillato chimico della dogmatica monetarista teutonica (stabilità dei prezzi come stella polare), un esempio del rapporto patologico che in Germania si ha col denaro. E non è un segreto che i tedeschi esigeranno che dopo Draghi, la Bce sia guidata da un loro alfiere. Non c’è da fare chissà quali divinazioni per sapere chi potrebbe essere questo alfiere: si tratta appunto dell’attuale presidente della banca centrale tedesca Jens Weidmann. Un avvicendamento, quello di Weidmann alla Bce, che esprime bene quello che non può essere altrimenti chiamato che come sovranismo tedesco, della volontà di potenza di quella grande borghesia.
Una volontà di potenza che potrebbe addirittura azzoppare l’asse carolingio con la Francia del super-europeista Macron. Alcuni segnali non vanno infatti sottovalutati. Appena eletto Macron si è recato a Berlino, indicando quanto stia a cuore alla cupola bancocratica francese il sodalizio con quello tedesco. Riguardo alle traballanti sorti della Ue Macron ha ribadito alla Merkel quel che aveva detto in campagna elettorale, riassumibile in tre punti: una politica di bilancio europea, un ministro europeo della finanze, la mutualizzazione del debito.
La Merkel gli ha sibillinamente risposto: “Ho fiducia in Macron. Egli sa quel che deve fare“. Ma poi, chi ha orecchie per intendere intenda, ha aggiunto: “Il sostegno tedesco non può rimpiazzare le riforme che si debbono fare in Francia“. Tradotto significa: “la Francia rientri presto nei parametri deficit su Pil, e compia quei tagli radicali alla sua ingente spesa pubblica. Il resto alle calende greche”.
Ci è andato ancor più duro proprio il falco Weidmann.
Il 25 giugno scorso il numero uno della BundesBank ha rilasciato una dichiarazione al giornale tedesco Welt am Sonntag in cui senza peli sulla lingua dice a Macron che di mutualizzare i debiti dei paesi dell’eurozona non se ne parla nemmeno, ed insiste anzi nel chiedere la fine del Quantitative easing e, come detto dalla Merkel, che Parigi metta a posto il suo bilancio pubblico in forte disavanzo.
Ce ne da conto anche LA STAMPA del 26 giugno che titola “Lo schiaffo di Weidmann: nessun regalo a Macron“.
Weidmann ha in particolare affermato:
«Una garanzia comune sui debiti pubblici sarebbe la strategia sbagliata, di fronte a sovranità nazionali: questo ingrandirebbe il problema dell’Europa, non lo risolverebbe. Una mutualizzazione comune può avvenire alla fine di un processo che porti a un’unione fiscale, se i diritti nazionali sulle decisioni sostanziali fossero passati a livello europeo. Io però non vedo la disponibilità a fare questo. I Paesi che vogliono la garanzia comune insistono altrettanto sulla sovranità nazionale, come tutti gli altri».
Messaggio chiarissimo: La Germania è disposta a correre in soccorso ai “paesi periferici, solo a patto che cedano (alla Germania, s’intende) gli ultimi scampoli di sovranità statuale e nazionale.
Chissà se se lo metteranno in testa i tanti sinistrati che invocano “più Europa”. Quelli che senza magari volerlo fanno da truppe cammellate al “partito tedesco” della grande borghesia italiana.