Il 29 giugno scorso SOLLEVAZIONE pubblicava un intervento di Stefano D’Andrea dal titolo Quale alleanza dei sovranisti? Il giorno dopo gli rispondeva Ernesto Pertini: Perché allearsi ora. Diamo adesso la parola a Moreno Pasquinelli.

Se Stefano D’Andrea si è sentito in obbligo di precisare il suo pensiero sul tema dell’alleanza dei cosiddetti “sovranisti” dev’essere perché anche lui avverte che in giro, tra le migliaia e migliaia di cittadini che in questi anni si sono “risvegliati” — che hanno preso coscienza sulle cause della tragedia storica che incombe sul nostro Paese —, una delle ragioni che impediscono a questi “risvegliati” (prendo in prestito questo concetto dall’amico Sandro Arcais) di scegliere l’impegno politico, è appunto la divisione gruppuscolare che esiste tra i “sovranisti”.

Questo sparpagliamento, se per alcuni è in effetti un alibi per stare alla finestra e trastullarsi nell’universo virtuale internettaro (il quale per sua stessa struttura favorisce l’atomizzazione individualistica), per molti è invece un fattore di quiescenza.

Sì, noi non abbiamo alcun dubbio: se solo le formazioni “sovraniste” fossero in grado di fare fronte, di costruire una casa comune, migliaia di cittadini uscirebbero dai rifugi in cui si sentono protetti ma nei quali invece il sistema li vuole reclusi.

E’ questa convinzione, tra gli altri fattori, che ci ha spinto a dare vita alla Confederazione per la Liberazione Nazionale. Una Confederazione che non vuole essere uno sgangherato ed estemporaneo coordinamento. Noi riteniamo che in questa fase politica, e questo ci distingue dal D’Andrea, il soggetto politico che può essere realisticamente costruito non sarà un Partito con la P maiuscola, con la forma assunta nel secolo scorso. In un secolo attraversato dalla guerra civile mondiale, in un mondo segnato dalla opposizione tra i due campi contrapposti del capitalismo e del socialismo, quindi tra classi sociali antagoniste, i Partiti erano quindi obbligati a considerarsi strumenti di una delle due classi sociali fondamentali, e data l’irruzione del marxismo ad avere una visione del mondo.

Sara facile convenire che dato l’esaurimento della spinta eversiva del proletariato occidentale, crollato il “campo socialista”, dispiegata la vittoria campale del capitalismo nella sua variante neoliberista, data la proliferazione nel campo antagonista di movimenti, soggettività, correnti culturali le più disparate, siamo entrati in una fase storica nuova. Dal che noi desumiamo che va ripensata la stessa forma-partito. In concreto questo che significa? Significa che ogni tentativo di rifondare partiti alla vecchia maniera è destinato a fallimento certo; che occorre immaginare partiti nei quali, fermi gli elementi di forte coesione interna, saranno segnati da un necessario pluralismo di idee. Saranno partiti e/o movimenti instabili? Sì, lo saranno. La loro stabilità non sarà mai un dato acquisito per sempre, sarà, per parafrasare il concetto con cui Joseph Ernest Renan descriveva la nazione: “un plebiscito di tutti i giorni”.

Chi vorrà intestardirsi a rifondare i partiti nella forma classica, giocoforza, non solo non darà mai vita a partiti di massa, bensì a sette, che per tirare a campare, dovranno blindarsi dotandosi di regimi interni autoritari fondati sull’obbedienza cieca a questo o a quel capo — ciò che Gramsci chiamava “caporalismo”. Che è appunto il destino che a me pare, spero di sbagliarmi, si è scelto il Fronte Sovranista Italiano di Stefano D’Andrea.

D’Andrea si è infatti, da anni ormai, intestardito. Contesta strenuamente ogni appello all’alleanza dei “sovranisti”, non solo come scopo illusorio ma come massimamente nocivo alla causa — maligni dicono: alla causa sua propria. Non solo non raccoglie la spinta all’unità qui e ora che viene da ogni parte, la respinge come speciosa. Poi apre una fessura, concede un’eccezione. Seguiamo il suo ragionamento:
«L’alleanza si fa in vista delle elezioni. Le alleanze tra partiti sono sempre alleanze elettorali o meglio pre-elettorali e poi eventualmente (ma non è il nostro caso) di governo (le alleanze delle opposizioni durano lo spazio di un mattino). Non sono mai esistite alleanze a prescindere dalle elezioni. Un’alleanza al di fuori di una scadenza elettorale è un non senso: allearsi a che fine, se non per partecipare ad elezioni?»

Le alleanze sono sempre alleanze elettorali”? Ma che minchiata è mai questa? E che nella lotta sociale e politica ci sono solo le scadenze elettorali? Che forse le diverse forze partigiane si unirono nel CLN in vista delle elezioni? certo che no! Anzi essi si sciolsero proprio alle porte delle elezioni  del 1946 per l’Assemblea Costituente. Ma è solo un esempio, tra i più eclatanti. Potremmo farne qualche dozzina, per dire che sono esistite alleanze dei più svariati tipi, che di solito coalizzano forze diverse contro un nemico comune, o per sventare una mossa determinata del comune nemico. Dato che D’Andrea ha tanta nostalgia nel ‘900 sarà bene ricordargli che il terreno elettorale era allora l’esatto opposto di quel che sostiene: alle elezioni, quasi sempre, ogni partito andava col suo simbolo e non confondeva le sue insegne con quelle di altri partiti, pur se affini per ideali. E se c’era tra questo o quel partito un’alleanza sul terreno sociale, questa veniva sospesa alle porte delle elezioni. L’Italia è un caso da manuale. Non so a voi, ma al sottoscritto, la minchiata di D’Andrea rivela quello che noi, nel ‘900, avremmo denunciato come “cretinismo elettorale”.

Ma seguiamo il discorso del D’Andrea. Ad un certo punto leggiamo:
«L’alleanza tra le forze sovraniste si presenterà alle elezioni nazionali del 2023. Per non restare buggerati da elezioni anticipate, conviene ipotizzare che si voti un anno prima, nel febbraio 2022. Ciò significa che tutto (simbolo e nome dell’alleanza, candidati, progetto di azione, organizzazione e comitato direttivo dell’alleanza) dovrà essere pronto (almeno) un anno prima, quindi nel febbraio del 2021: un nuovo soggetto politico ha bisogno di almeno un anno di “campagna elettorale” e non può presentarsi alle elezioni nazionali senza prima essersi fatto conoscere a sufficienza. Se le elezioni non saranno anticipate, l’alleanza sovranista potrà svolgere due anni di “campagna elettorale”. Pertanto, nel febbraio del 2020 bisognerà cominciare a costruire l’alleanza (un anno di lavoro appare necessario)».

Arci-minchia!

Con una sicumera degna di uno che si crede Napoleone, indica con precisione chirurgica non solo il momento in cui i “sovranisti” si uniranno (le elezioni del 2023), ma pure che l’alleanza (elettorale s’intende) dovrà essere pronta un anno prima. Anzi,  no, nel 2020, perché potrebbero esserci elezioni anticipate nel 2022.

Confesso che ho trasecolato. Al netto del cretinismo elettorale: ma come cazzo fa il D’Andrea a dare per certo che la legislatura che inizierà la primavera prossima durerà cinque anni? Come fa quindi a pronosticare che se ci saranno elezioni anticipate sarà nel 2022 e non nel 2021 o nel 2019? Nel ‘900 avremmo detto: ma D’Andrea che si fuma?

Il Nostro misura tutto, com’è evidente leggendo tutto il pistolotto, attorno a se stesso. Infatti, tenetevi forte, tutto sembra dipendere, intendiamo l’alleanza “sovranista”, dal banco di prova delle elezioni regionali abruzzesi del 2019. E perché mai, vi chiederete, non dalle europee dello stesso anno, o da altre elezioni regionali (tipo quelle in Sicilia del prossimo 5 novembre)? Semplice, perché il FSI ha deciso che in Abruzzo scenderà in campo. Ergo: tutto dipende dalle mosse del FSI, ovvero dalla candidatura a presiedente dell’Abruzzo di D’Andrea.

Un simile modo di ragionare non ha per niente la forma della profezia, ma quella più modesta del ragioniere affetto da egocentrismo. Il Nostro, com’è noto, è un giurista, e come ogni giurista è abituato a pensare che nel diritto la forma è sostanza, pensa che in politica funzioni alla stessa maniera. Errore! E vorrei dare a questo errore un nome: “formalismo giuridico”, che consiste nel pensare che sia il diritto, col suo normativismo, a determinare i processi sociali e a dotarli di senso. Nel ‘900 avremmo detto di questo atteggiamento “voler mettere le braghe alla storia”.

E’ vero esattamente il contrario. Sono i processi sociali il motore del mutamento, e le regole o norme giuridiche, come la nottola filosofica hegeliana che si alzava solo al crepuscolo, vengono sempre ex post, a babbo morto.

Intanto vorrei sommessamente ricordare che qui in Italia si vota nella prossima primavera. Che facciamo? Nulla, è ovvio, poiché la campagna di proselitismo del D’Andrea non ha ancora dato i suoi frutti.