Dunque, dopo 9 mesi di assedio, Mosul è caduta. Ma, come abbiamo già scritto, non sarà questo episodio – per quanto importante – a decretare la fine della Grande Guerra Mediorientale. Guerra che ha al centro, insieme ad altri fattori, lo scontro tra sciiti e sunniti.

Pubblichiamo di seguito un breve articolo, uscito sul Manifesto di ieri, che mette in luce quel che era facilmente prevedibile: la violenza che si sta ora abbattendo sui sunniti, accusati di aver collaborato con l’Isis, che in quella comunità è sempre stato ben radicato.


Iraq. Esecuzioni a Mosul, aperta un’inchiesta

di Chiara Cruciati

Dopo i video che mostrano soldati iracheni giustiziare sospetti miliziani dell’Isis, Baghdad corre ai ripari. Le denunce di abusi sulla comunità sunnita aumentano

Sarà pari a 99 milioni di euro il prestito che l’Italia farà al governo di Baghdad per proseguire i lavori di ristrutturazione della diga di Mosul, a cui lavora l’italiana Trevi dopo la vittoria dell’appalto lo scorso anno (273 milioni di euro in 18 mesi più l’invio di 500 soldati a difesa dell’impianto).

Soldi prestati per finire nelle casse di Trevi, su cui si sono accordati giovedì l’ambasciatore italiano Carnelos e il premier iracheno al-Abadi che ha definito la diga «vitale per fornire acqua e energia elettrica ai cittadini». A poca distanza, nel cuore di Mosul, proseguono le operazioni di «pulizia»: lo sminamento, ma anche l’arresto di sospetti miliziani dell’Isis ancora vivi.

Nei giorni scorsi alcuni video hanno mostrato l’esecuzione da parte dell’esercito iracheno di giovani islamisti o sospetti tali, una violazione che ha costretto Baghdad ad intervenire per evitare ulteriori tensioni: è stata aperta un’inchiesta sull’accaduto. Perché quei miliziani non sono solo foreign fighters.

Tanti di loro sono iracheni, giovani di Mosul e della provincia, ex baathisti ben radicati nella comunità sunnita irachena che si sono uniti allo Stato Islamico, spesso come spirito di rivalsa per la marginalizzazione politica e economica subita dopo il 2003 dal nuovo governo sciita.

A quei video si aggiunge la denuncia di Human Rights Watch: 160 famiglie della provincia sunnita di Nineve sarebbero state costrette a lasciare le loro case dalle forze irachene perché accusate di collaborazionismo con l’Isis.

Una punizione collettiva, abusi che non fanno che ampliare i settarismi interni e impedire un’effettiva riconciliazione. Soprattutto alla luce dei primi ritorni a Mosul: circa 200mila sfollati (sui 920mila fuggiti da ottobre 2016) sono rientrati in città, devastata e quasi del tutto rasa al suolo. Si tratta di famiglie che abitano nella zona orientale, meno residenziale e meno danneggiata dalla battaglia.