Sprezzanti del senso del ridicolo l’hanno chiamata «nazionalizzazione temporanea». In questo il governo francese non è stato il primo, visto che la stessa formula l’aveva adoperata otto mesi fa Palazzo Chigi per Mps. Quel che è interessante, però, è che nel caso dei cantieri Stx, Parigi ha apertamente rivendicato l’interesse strategico nazionale.

E qui i giornaloni  nostrani cadono dal pero. Ma come, ma Macron non era un’europeista a tutto tondo? Il fatto è che il piccolo napoleone (con la enne rigorosamente minuscola, s’intende) non è solo neanche su questo. In quanto a protezionismo anche Berlino infatti non scherza, e la scorsa settimana la Germania ha adottato una normativa che consente al governo di bloccare acquisizioni di società tedesche oltre il 25%, in settori giudicati strategici. La differenza è che la normativa tedesca si riferisce ad acquirenti extra-UE, mentre la decisione francese su Stx colpisce un’azienda di un altro paese dell’Unione come Fincantieri.

I più comici nel rispondere allo schiaffo francese sono stati i ministri Padoan e Calenda, che hanno parlato di “decisione incomprensibile”. Incomprensibile? Forse per loro, imbevuti come sono dell’ideologia neoliberista, non certo per i comuni cittadini che hanno ben compreso almeno due cose. La prima, che nella mitica Europa ci sono sempre più palesemente due pesi e due misure; più precisamente ci sono i paesi che comandano e quelli che eseguono. La seconda, che le nazionalizzazioni si possono fare eccome.  

A mostrare lo squilibrio tra Italia e Francia bastano alcuni dati. Se la Francia ha da ridire sull’acquisto del 66,7% della piccola Stx, che in termini monetari vale la miseria di 80 milioni di euro, a quanto ammontano le acquisizioni francesi nel nostro Paese? E’ presto detto. Negli ultimi vent’anni, da quando cioè oltre che “europei” siamo anche diventati eurizzati, lo shopping francese in Italia è stato pari a 101,5 miliardi (miliardi, non milioni) di euro.   

Facciamo solo alcuni esempi, quelli più macroscopici. Nel settore bancario Bnl è interamente posseduta da Bnp Paribas, così come il fondo Pioneer è passato interamente nelle mani di Amundi. Diversi prestigiosi marchi dell’agroalimentare, come Parmalat ed Eridania, sono controllati al 100% da Lactalis e Cristal Union. Poi c’è la grande distribuzione con il ruolo pigliatutto di Carrefour. Per non parlare della moda, dove grandi nomi del made in Italy – come Fendi, Bulgari, Loro Piana, Gucci, Pomellato e molti altri – sono posseduti (dall’80 al 100%) dai due giganti d’oltralpe Lvmh e Kering. Quindi l’energia (e qui arriviamo a settori davvero strategici), dove Edf controlla il 100% di Edison e Suez il 23% di Acea. Poi la logistica con Alstom che ha il 100% di Fiat Ferroviaria. Ed infine le telecomunicazioni, dove Vivendi ha il 28,8% di Mediaset e soprattutto il 23,9% di Telecom (oggi Tim), una percentuale che gli assicura di fatto il controllo dell’azienda.

Un elenco impressionante che non ha bisogno di particolari commenti. Un commento che va invece fatto sull’attuale governo e sull’intera classe politica dell’ultimo quarto di secolo. Costoro, anziché scandalizzarsi di quel Macron che pure, non più tardi di quaranta giorni fa, avevano salutato come il Salvatore d’Europa, farebbero meglio a fare mea culpa sulla loro subalternità – teorica e pratica – all’ideologia mercatista. E’ questa subalternità dell’intera classe dirigente italiana ai dogmi neoliberisti, ed alle oligarchie euriste posizionate lungo l’asse carolingio, il vero cancro da rimuovere.

Inutile dire che il mea culpa dovrebbe estendersi ai loro servitori dei media. I quali hanno fatto tutto il possibile per far credere ai cittadini la panzana del libero mercato. Hanno fatto di tutto per far diventare la parola “nazionalizzazione” una bestemmia, ed ora non sanno come trattare le decisioni farncesi. Ma la storia, pian piano, si vendica e si vendicherà di questi miserabili. Lo diciamo da tempo: la crisi della globalizzazione, che è per noi benvenuta, conduce inevitabilmente ad una rinazionalizzazione della politica, anche e soprattutto la politica economica. In quale direzione si svilupperà questo processo è da vedersi, ma le scelte di Macron (come pure quelle tedesche) confermano come sia questo il corso delle cose. Prenderne atto, per agire di conseguenza, costruendo cioè un sovranismo democratico e costituzionale, è l’unica risposta all’altezza della situazione.

In ogni caso le decisioni di Macron su Stx una cosa la dicono chiaramente: nazionalizzare si può, basta volerlo. Perché – settore strategico per settore strategico – non porsi allora l’obiettivo di rinazionalizzare intanto le telecomunicazioni e dunque Tim, togliendola così di mano al signor Bolloré?

Di questo bisognerebbe discutere anche in vista delle prossime elezioni politiche, altro che i toni lamentosi degli editorialisti sedotti ed abbandonati dal loro Macron.