Come noto, Hamas ha accettato di cedere il governo di Gaza all’ANP. Dieci anni di assedio israeliano (ma pure egiziano) hanno dato i loro frutti. Il formale passaggio dei poteri è stato sancito ieri con l’arrivo del premier palestinese Rami Hamdallah nella Striscia. Ufficialmente si parla di una “riconciliazione” tra le fazioni palestinesi, che dovrebbe portare fra l’altro a nuove elezioni generali. Ma si può davvero parlare di riconciliazione, o non siamo piuttosto di fronte ad una capitolazione di Hamas imposta dall’assedio, dalle pressioni egiziane, dalle difficoltà dei tradizionali alleati nel mondo arabo?

Potete leggere una critica alle mosse di Hamas nell’articolo che segue.

Dove ha sbagliato Hamas al Cairo?

di Ahmad Al-Hilah (Middle East Monitor)

Hamas ha annunciato domenica 17 settembre che è disposta ad accettare il suggerimento dell’agenzia di intelligence generale dell’Egitto di sciogliere il Comitato amministrativo nella Striscia di Gaza e quindi consentire al governo nazionale di riconciliazione di svolgere i propri doveri e di assumersi la responsabilità  dell’enclave assediata. Ciò apre la strada alle elezioni generali, ma le elezioni specifiche presidenziali, legislative e del Consiglio nazionale o tutt’e tre insieme – non sono state menzionate, e ciò ha soddisfatto le condizioni di Fatah.

Questa posizione è stata accolta favorevolmente dalle fazioni palestinesi e dal movimento Fatah, come ha affermato Azzam Al-Ahmad, che sta dirigendo il fascicolo nazionale di riconciliazione. Ha sottolineato la possibilità di tenere un incontro bilaterale tra Hamas e Fatah nel corso dell’anno, seguito da un incontro con tutte le fazioni palestinesi che hanno firmato l’accordo di riconciliazione nel 2011. Queste saranno le misure pratiche iniziali per attuare tutti i termini dell’operazione.

Ciò ha diffuso un po’ di conforto nei circoli palestinesi, ma l’incertezza e il dubbio continuano a dominare la scena, basandosi su esperienze amare e ripetitive che non hanno portato ad alcuna vera e propria evoluzione.

Cosa c’è di nuovo in questa “occasione”? Possiamo davvero essere ottimisti sulla possibilità di colmare le distanze, portando insieme Fatah e Hamas e, infine, sollevando l’assedio imposto a Gaza?

La presenza di una delegazione di spicco di Hamas al Cairo, guidata da Isma’il Haniyeh, il nuovo presidente dell’Ufficio politico del movimento, e composta da numerosi leader che lo rappresentano sia all’interno che all’esterno della Palestina, ha avuto esito positivo. Ha dato l’impressione che ci saranno importanti cambiamenti e sviluppi che possono portare ad alleviare il blocco a Gaza come prezzo o ricompensa per l’impegno di Hamas per la protezione del confine congiunto e impedire che la città divenga un “paradiso” per gruppi armati che combattono il governo egiziano nel Sinai.

Tuttavia, l’unica “realizzazione” finora, se possiamo anche definirla tale, è il fatto che Hamas ha annunciato la dissoluzione del comitato amministrativo, istituito per colmare il vuoto creato dall’assenza del governo nazionale di riconciliazione. Hamas ha sciolto la commissione per eliminare le giustificazioni usate da Mahmoud Abbas e Fatah: la dissoluzione del comitato amministrativo è stata una condizione preliminare per il dialogo con Hamas.

Se, tuttavia, Hamas ha risposto a questa condizione, perché la delegazione di Fatah al Cairo, guidata da Al-Ahmad, rifiuta di sedersi con il gruppo di Hamas e comunica solo attraverso il mediatore egiziano? Inoltre, se la dissoluzione del comitato amministrativo è un grande successo nazionale per Fatah, perché è stato annunciato solo in una dichiarazione rilasciata da Hamas? Perché non l’abbiamo sentito attraverso una dichiarazione congiunta di Fatah e Hamas, sotto il patrocinio egiziano o in una conferenza stampa tenutasi al Cairo, come è accaduto in passato?

Si può solo capire da questo che il divario tra Fatah e Hamas rimane molto ampio e che la dissoluzione del comitato amministrativo è stata concordata sotto la pressione dell’Egitto, insieme al desiderio di Hamas di dimostrare le sue buone intenzioni. Hamas credeva che questo avrebbe rafforzato la sua posizione agli occhi del Cairo di fronte alla testardaggine di Abbas e Fatah.

Potremmo anche dire che l’Egitto e Fatah hanno avuto successo nel tirare il braccio di Hamas, utilizzando l’assedio e le misure punitive imposte dall’Autorità Palestinese controllata da Fatah per forzare il movimento a conformarsi alle condizioni, senza tuttavia impegnarsi a offrire in cambio qualcosa di tangibile. Il minimo che gli Egiziani avrebbero potuto fare sarebbe stato quello di sfruttare le loro ripetute promesse per aprire il valico di Rafah. Abbas avrebbe potuto mantenere la sua promessa, fatta a New York, di invitare la leadership palestinese a incontrarsi e discutere di misure future.

Questo gli avrebbe garantito la legittimità come rappresentante e leader del popolo palestinese agli occhi degli americani e del mondo, nonostante le misure punitive adottate contro i suoi colleghi palestinesi a Gaza, misure considerate come punizioni collettive per conseguire obiettivi politici. Questo lo avrebbe anche qualificato a sedersi al tavolo delle trattative con gli occupanti israeliani dopo aver affrontato un duro colpo dal suo grande avversario Mohammed Dahlan, che è anche sponsor dell’Egitto.

A prescindere dal dibattito sulla serietà e il livello di impegno di Abbas nei confronti delle condizioni e delle disposizioni del Cairo del 2011 e dell’accordo di riconciliazione – interrotti ogni volta con varie scuse, pretesti, dettagli e infinite condizioni procedurali e politiche -, credo che Hamas abbia “dialogato” con Fatah attraverso il “mediatore” egiziano.

Ebbene, all’inizio, il movimento ha sbagliato, quando ha messo insieme l’incontro con i funzionari egiziani e la volontà di incontrare la delegazione del Fatah al Cairo senza alcuna preparazione. Questo potrebbe essere il motivo per cui Fatah ha rifiutato di incontrarsi con la delegazione di Hamas.

Poi abbiamo l’annuncio di Hamas sulla dissoluzione del comitato senza che l’ANP avesse posto fine alle misure punitive imposte in risposta alla creazione del comitato, all’inizio di quest’anno. Questo è senza dubbio un grande colpo per Hamas, che ha basato la sua decisione sul principio della buona volontà e sulle promesse verbali degli egiziani, che sono in ogni caso prevenuti verso l’ANP e la sua agenda politica. Inoltre, l’accordo di Hamas di dissolvere il comitato incondizionatamente e senza nulla in cambio viene inteso come una dimostrazione di debolezza e di crisi. E’ come se fosse stato messo con le spalle al muro.

Ciò suggerirà all’Egitto e all’ANP ulteriori condizioni e restrizioni al fine di ottenere maggiori concessioni con il pretesto di sollevare l’assedio o di consentire all’ANP di svolgere le proprie funzioni a Gaza.

Infine, Hamas ha sbagliato a incontrarsi con Dahlan (negli Emirati Arabi Uniti), che è sotto la sponsorizzazione egiziana. Egli è conosciuto, inoltre, per la sua ostilità verso la Turchia, il Qatar e l’Islam politico. Ha commesso un errore quando ha impedito alla Turchia di mediare al posto dell’Egitto, il rivale tradizionale dell’Islam politico e la resistenza contro l’occupazione israeliana.

Il Cairo non ha fornito alcun aiuto reale a Gaza dopo l’incontro di Hamas con Dahlan e non prevede di farlo dopo il “libero” scioglimento del comitato amministrativo, in quanto le concessioni prive di un prezzo attirano solo una maggiore pressione. Lo sforzo esagerato per compiacere il suo avversario politico – l’Egitto – a causa della nota debolezza di Gaza, è visto come una sconfitta morale e persino psicologica per Hamas. Ciò può portare a peggiori azioni del Cairo e di Ramallah, soprattutto se la situazione araba rimane la stessa e il movimento islamico rimane sull’offensiva e titubante sulle proprie opzioni politiche nella regione.

da InfoPal
fonte: Middle East Monitor
Traduzione di Bushra Al Said