Nella partita tra autorità catalane e spagnole si ricorre spesso all’analogia calcistica.
La palla in pochi giorni è passata da una parte all’altra della linea che divide gli avversari.
MA RAJOY NON È RONALDO, E PUIGDEMONT NON È MESSI.
Non è il pallone che si stanno rilanciano a vicenda, ma un bomba a mano con la spoletta staccata. In quale metà campo esploderà, se esploderà, non è ancora dato sapere.

Rajoy, dopo il consiglio dei ministri di ieri mattina, ha scaraventato di nuovo la bomba a Barcellona, chiedendo a Puidgemont se egli abbia dichiarato davvero la secessione. C’è da aspettarsi, da quest’ultimo, che vorrà prendersi altro tempo, con una risposta vaga e ambigua, quanto la sua quasi-dichiarazione-di-indipendenza dell’altra sera — che ha fatto infuriare la sinistra radicale della C.U.P (Candidatura d’Unitat Popular) che sostiene il suo governo (tanto nazionalista quanto liberista).  Il tutto per ingarbugliare le cose ed impedire a Rajoy di attivare effettivamente i dispositivi previsti dall’Art. 155 della Costituzione post-franchista che affida a Madrid poteri eccezionali e, tra questi, di sequestrare il governo di Barcellona alle autorità catalane, sospendendo l’autonomia e commissariando la Catalogna.

Sarebbe, quest’ultimo, un atto d’imperio gravissimo — più del demenziale tentativo di impedire il referendum catalano del 1 ottobre —, che scatenerebbe un conflitto dalle conseguenze imprevedibili.

La domanda è la seguente: riuscirà davvero il fragile governo Rajoy (che si regge sulla non-sfiducia del PSOE) ad andare fino in fondo? Oppure Sanchez, il segretario del PSOE, si tirerà indietro dal sostenere il pugno di ferro invocando il dialogo come chiedono Unidos PodemosCatalunya Sí que es Pot di Ada Colau.

In questo caso si aprirebbe a Madrid una grave crisi politica e istituzionale e Rajoy dovrebbe dimettersi e chiedere al Re di sciogliere le Camere per andare ad elezioni anticipate.

Puidgemont non naviga nemmeno lui in acque tranquille. Senza l’appoggio della C.U.P. al suo governo di Junts pel Sí (appoggio che considero un gravissimo errore politico) egli presiede di fatto un governo di minoranza. Elezioni anticipate anche in Catalogna quindi? Sì se Rajoy dovrà dimettersi di cui sopra.

Tendo a credere che non avremo né secessione né carri armati spagnoli a Barcellona. Sia Rajoy che Puidgemont hanno infatti bisogno, per tenersi testa l’un l’altro, di una più forte legittimazione popolare. Ed essi infatti considerano che la polarizzazione nazionalistica dei due campi porti acqua ai loro rispettivi mulini.

Chi ha sale in zucca e considera davvero democrazia e sovranità popolare come principi non negoziabili è contro entrambi questi due campi e deve sfuggire alla polarizzazione. I nodi della “transizione” spagnola (dal franchismo al regime monarchico costituzionale) sono venuti al pettine. Se ne esce, elezioni anticipate o no, con l’elezione di un’Assemblea costituente che fondi una Spagna nuova, repubblicana e plurinazionale.