Questa mattina l’esercito iracheno ha preso la base aerea K1, una raffineria e una zona industriale. Peshmerga dispiegati a difesa della città contesa, dove si armano anche i civili

AGGIORNAMENTI:
ore 15 – PESHMERGA FUGGITI DA KIRKUK, SCONTRI TRA GUERRIGLIA, CIVILI E MILIZIE SCIITE

L’avanzata dell’esercito iracheno e delle milizie sciite, le Unità di mobilitazione popolare, continua. Gli uomini di Baghdad sono entrati a Kirkuk, svuotata della presenza di peshmerga. Le forze di Erbil si sono ritirate per evitare lo scontro diretto che sta comunque avvenendo: a prendere le armi a difesa della città sono i civili, i pochi peshmerga che hanno deciso di rimanere e i guerriglieri dell’Hpg presenti, il braccio armato di difesa del Pkk.

In fuga anche i civili: le strade sono intasate per le tante auto che tentano di lasciare Kirkuk nel timore che lo scontro si traduca in una battaglia sanguinosa. Si tratta, da parte del governo di Baghdad, di un’offensiva vera e propria volta a vanificare il significato politico del referendum sull’indipendenza del 25 settembre e a riprendere le città e le aree contese da tre anni con Erbil. Una resa dei conti dagli sviluppi imprevedibili.

***************************************************

Lo scontro temuto e anticipato si sta realizzando in queste ore: Kirkuk è il teatro del conflitto aperto il 25 settembre, data del referendum kurdo sull’indipendenza, tra Erbil e Baghdad. I primi scontri a fuoco tra milizie sciite e peshmerga (che il governo autonomo del Kurdistan aveva indicato come volontari indipendenti) risalgono a sabato mattina. Poche ore dopo una tregua li aveva fermati, facendo respirare il villaggio di Tuz Khurmatu, da anni – dal 2014, quando l’Isis fu cacciato dai peshmerga che assunsero il controllo del distretto – al centro del confronto a singhiozzo tra arabi e kurdi.

Dopo i primi fuochi, sabato, è intervenuto il governo centrale di Baghdad con un ultimatum alle autorità kurde: tempo fino a domenica mattina, ieri, per lasciare Kirkuk e le sue istituzioni. Nessuna risposta. E questa mattina le forze dispiegate già da ieri da Baghdad sono avanzate: l’antiterrorismo e la polizia federali iracheni hanno assunto il controllo della sede della Compagnia Nazionale del petrolio, una raffineria, la zona industriale a sud di Kirkuk e la base aerea K1. Una base la cui storia ricalca quella dell’Iraq: occupata dai marines Usa durante l’invasione del 2003, era stata poi “girata” alla 12° divisione dell’esercito iracheno che la perse nell’estate 2014. In mano ai peshmerga, da allora di stanza nella base.

Ma il dispiegamento è più ampio: l’esercito di Baghdad ha preso il controllo di ampie aree del distretto, per ora senza scontrarsi con le forze kurde. I primi uomini sono arrivati ieri notte a Tuz Khurmatu. Con un obiettivo chiaro: non solo le basi militari ma anche e soprattutto i giacimenti petroliferi, vero oggetto del contendere tra Erbil e Baghdad da almeno tre anni, simbolo della rottura tra le due entità passata per la vendita autonoma di greggio da parte kurda e il conseguente taglio del budget federale da parte irachena.

Per giustificare l’intervento di ieri e questa mattina il primo ministro iracheno al-Abadi ha utilizzato un elemento poco credibile: ha accusato Erbil di utilizzare a difesa di Kirkuk membri del Pkk, gruppo indipendentista kurdo che con il presidente kurdo Barzani non è certo in buoni rapporti. Visioni politiche diverse, ideologie di riferimento opposte e un confronto militare indiretto via Turchia: non è un mistero che Erbil voglia vedere il Pkk fuori dai propri confini. Il confronto indiretto si è concretizzato nei mesi scorsi a Sinjar, area yazidi, dove i peshmerga hanno attaccato le postazioni del Pkk e delle Ypg che avevano partecipato alla liberazione della città dall’Isis e – prima, nell’agosto 2014 – erano stati gli unici a restare e rompere l’assedio del monte Sinjar, dove migliaia di yazidi avevano trovato riparo dal massacro islamista.

La tensione è alle stelle, la corda si sta spezzando aprendo a scenari di conflitto interno distruttivi per un paese già fallito. Al-Abadi ne è consapevole e fa appello alla popolazione di Kirkuk ma anche ai peshmerga per “coordinare la sicurezza in città”. Da parte sua Erbil, tramite il portavoce delle forze armate, il generale Bahzad Ahmed, accusa le truppe irachene di “aver bruciato molte case e ucciso molte persone” a Tuz Khurmatu e Daquq, nel sud della città contesa di Kirkuk.

È qui che i timori sono peggiori: per ora la popolazione dice di non aver visto alcun militare iracheno, la polizia kurda Asayish gira per le strade. Per le strade però aumentano anche i giovani armati, sia kurdi che arabi e turkmeni. Con l’approssimarsi dello scontro le diverse etnie e religioni si organizzano da sé: il prezzo delle armi al mercato nero sale, mentre aumenta il numero di granate e pistole sequestrate ai miliziani dell’Isis durante la battaglia in corso a Hawija.

Dietro le quinte c’è anche chi tenta di mediare: secondo quanto riportato dalla stampa locale, ieri a far visita al Kurdistan iracheno è stato il generale Soleimani, capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, responsabile dell’addestramento, l’armamento e l’organizzazione delle milizie sciite operative in Iraq. Nelle stesse ore i vertici iracheni e kurdi si incontravano nella città di Dokan, apparentemente senza raggiungere alcun accordo.

 

da Nena news