L’aggressione saudita continua, ma non riesce a vincere. Intanto l’ex presidente Saleh paga con la vita il tradimento dell’alleanza con gli Houthi

Dello Yemen si parla poco. Eppure è uno dei fronti più caldi della Grande Guerra Mediorientale. In questo momento forse quello dove si consuma il più grande crimine ai danni della popolazione civile.

E’ di ieri la notizia della rottura dell’alleanza tra i ribelli Houthi e l’ex presidente Saleh. Quest’ultimo, dopo aver a lungo trattato con gli aggressori sauditi, ha annunciato sabato scorso il salto del fosso, indicando nella resistenza degli Houthi la causa dei mali dello Yemen. La cosa non gli ha portato particolare fortuna: il suo convoglio, in fuga verso Marib, è stato intercettato dagli Houthi e Saleh è stato giustiziato sul posto.

La coalizione a guida saudita non riesce dunque a venire a capo della situazione. I bombardamenti hanno provocato un disastro umanitario senza eguali, ma la resistenza degli Houthi è ben lungi dall’essere piegata.

Sulla drammatica situazione nel Paese potete leggere di seguito un articolo di Dan Glazebrook.

Con 50.000 bambini yemeniti morti nel 2017, la guerra Britannico-Usa-Arabo Saudita entra in una nuova orribile fase
di Dan Glazebrook

Due anni e mezzo di un letale assedio e di bombardamenti non hanno prodotto quasi nulla per quanto riguarda i guadagni territoriali nella guerra condotta dall’Arabia Saudita contro la nazione yemenita, per conto dell’Occidente. L’inasprimento del blocco è un osceno tentativo disperato di rimandare l’inevitabile sconfitta.

La guerra contro lo Yemen, sponsorizzata dall’Occidente ed eseguita dalle loro sempre fedeli teste di legno saudite, sta andando male. Molto male.

Quando i sauditi hanno iniziato i loro bombardamenti nel Paese più povero del mondo arabo, chiamato “Decisive Storm”, nel marzo 2015, hanno promesso una missione “limitata”. In realtà, si è dimostrata apparentemente senza limiti e per niente decisiva. Uno studio di Harvard stima che i sauditi spendono $ 200 milioni al giorno per questa guerra, portando il loro budget militare a  $63,7  miliardi , il quarto più alto al mondo. Ma non sono neanche lontanamente vicini al raggiungimento del loro obiettivo dichiarato di sconfiggere la resistenza guidata da Houthi e riconquistare la capitale, Sanaa. In effetti, Hadi, il “Presidente” che i sauditi sostengono, è ancora rintanato a Riyadh, apparentemente incapace di mettere piede nel suo paese, come dimostra la profondità dell’animosità popolare nei suoi confronti.

Nel frattempo, la “coalizione”, che l’Arabia Saudita pretende di condurre sta cadendo a pezzi. Il Qatar, il paese più ricco del mondo in termini di reddito pro capite, che avrebbe dovuto finanziare una grossa fetta della guerra, si è ritirato molto tempo fa; mentre il parlamento pakistano, il cui ruolo assegnato era quello di fornire le truppe di terra, all’unanimità ha posto il veto alla proposta lo scorso anno. Nel frattempo, nel sud, gli emirati sostengono le forze ostili allo stesso presidente che la guerra intende difendere.

In effetti, le truppe di Hadi ora si lamentano che i sauditi e gli emirati, in realtà, li stanno bombardando. Sì, il “governo legittimo” del presidente Hadi, quello per cui si suppone che l’intera operazione sia combattuta a sostegno, è ora a sua volta bersagliato dagli aggressori, con Hadi che accusa il principe ereditario degli Emirati di comportarsi come un occupante. Tawakkol Karman, attivista vincitrice di un premio Nobel per la pace, ha persino suggerito che “gli attacchi aerei guidati dai sauditi hanno ucciso più combattenti dell’esercito nazionale che gli Houthi”.

Inoltre, la guerra ha espanso in maniera massiccia la base di Al-Qaeda nel paese e ne ha fornito una nuova per l’ISIS. Anche se questo non è un problema immediato per l’Arabia Saudita – dopotutto, più le forze più settarie vengono alla ribalta, meno lo Yemen sarà in grado di unirsi e rappresentare una minaccia per la dinastia Al Saud – ma è comunque un potenziale pericolo per il futuro, se quelle forze decidessero di trasformare la loro esperienza e le armi contro lo stesso regno. I sauditi sembrano riconoscerlo in ritardo, definendo recentemente come “terroristi di Al-Qaeda” uno dei più grandi gruppi salafiti del paese, la brigata di Abu Abbas, dopo averli armati per anni.

In effetti, la guerra sta andando così male che persino i sauditi stessi ora stanno privatamente affermando di voler uscire dalla guerra. Le e-mail trapelate lo scorso agosto hanno rivelato che il principe ereditario Mohammed bin Salman – che come ministro della Difesa era responsabile dell’avvio della guerra nel marzo 2015 – è desideroso di porle fine. Eppure, la guerra continua. La yemenita Safa al-Shami, che vive a Londra, mi ha detto che “i sauditi sono nei guai; non vogliono che [la guerra] continui più. Ma viene loro detto ‘devi finire la missione fino alla fine’”. Lontani dal chiudere un occhio sulla “guerra saudita”, l’Occidente sta chiedendo con chiarezza che un’Arabia Saudita riluttante continui la sua futile e omicida campagna.

Il nostro interventismo in Medio Oriente non ha reso gli Stati Uniti o il mondo più sicuri. Invece di chiedere un cambio di regime, abbiamo bisogno di una politica estera di moderazione e diplomazia. E questa campagna, già caratterizzata da un atteggiamento brutalmente insensibile nei confronti della popolazione yemenita, ha appena raggiunto un nuovo livello di terrore. Umiliati dal lancio di un missile Houthi a Riyadh il 4 novembre, a dimostrazione del fatto che, nonostante gli anni di mazzate, gli Houthi sono ora più forti che mai, i sauditi hanno annunciato che il loro blocco potrebbe diventare d’ora in poi totale, con l’ingresso di tutti i beni nel paese – tramite terra, mare o aria – completamente fermato.

La settimana dopo, Medici Senza Frontiere ha scoperto che tutti i suoi voli umanitari nel paese erano stati bloccati. I sauditi hanno quindi annunciato che alcuni dei porti minori sarebbero stati riaperti, ma solo quelli nelle aree controllate dal governo. Il più grande porto del paese, Hodeidah, un centro vitale per le importazioni, rimane chiuso. E questa settimana, i sauditi hanno bombardato di nuovo l’aeroporto della capitale, impedendo la consegna degli aiuti.

Anche nella sua precedente, parziale, forma, i risultati del blocco sono stati davvero disgustosi. La capacità di Hodeida è stata enormemente compromessa da quando le sue quattro gru sono state distrutte dai bombardamenti aerei della coalizione nel 2015  e la “coalizione” ha impedito che le sostituzioni venissero installate da allora. Inoltre, le navi sono state rimandate, spesso per mesi, o sono tornate indietro tutte insieme per nessuna ragione esplicabile se non per punire la popolazione delle aree controllate da Houthi. Questo assedio contro un paese dipendente dalle importazioni per oltre l’80% del cibo, del carburante e dei medicinali è nientemeno che un genocidio.

Save the Children
ha riferito che 130 bambini yemeniti muoiono ogni giorno per la fame estrema e le malattie, con 50.000 morti solo quest’anno. Nel frattempo, l’epidemia di colera, scatenata da una combinazione di paralisi dei sistemi idrici, distrutti dalla guerra, e della decisione del governo Hadi di bloccare i pagamenti a tutti i lavoratori impegnati nei settori dei rifiuti, delle fognature e della sanità nelle aree controllate da Houthi – è diventata, il mese scorso, la più grande registrata nella storia con quasi 900.000 infettati dalla malattia. La precedente epidemia più grande, ancora in corso ad Haiti, ha richiesto sette anni per raggiungere 800.000 casi. Lo Yemen ha superato quel numero in soli sei mesi.

Eppure, con due terzi della popolazione – oltre 18 milioni di persone – che ora dipendono dagli aiuti umanitari per la loro sopravvivenza, anche queste cifre scioccanti aumenteranno molto rapidamente. Sette milioni di persone sono a rischio immediato di carestia. Se questo nuovo divieto totale di entrata degli aiuti umanitari nei più grandi aeroporti e porti marittimi del paese verrà mantenuto, moriranno. Queste sono le bassezze alle quali l’Occidente è preparato per spingere l’Arabia Saudita nella sua inutile lotta per distruggere definitivamente la “minaccia yemenita’”.

L’Humanitarian Chief delle Nazioni Unite, Mark Lowcock, è stato molto chiaro. “Ho detto al Consiglio [di sicurezza delle Nazioni Unite] che a meno che tali misure non siano revocate … ci sarà una carestia nello Yemen. Non sarà come la carestia che abbiamo visto nel Sud Sudan all’inizio dell’anno, dove ha colpito decine di migliaia di persone, non sarà come la carestia che nel 2011 ha ucciso 250.000 persone in Somalia. Sarà la più grande carestia che il mondo abbia mai visto in molti decenni, con milioni di vittime. “E questa carestia sarà stata coscientemente e deliberatamente orchestrata dai responsabili di questa guerra – i sauditi, con gli inglesi e gli americani dietro di loro”.

La Gran Bretagna e gli Stati Uniti stanno spingendo i sauditi a scatenare, per anni, la più grande carestia del mondo contro una popolazione totalmente prigioniera. Eppure, da parte dei media occidentali c’è il totale disinteresse. L’omicidio intenzionale per denutrizione di 130 bambini al giorno per tutto l’anno è una nota a piè di pagina, nel migliore dei casi, alle voci di questa settimana sulla Brexit o sull’ultima assurda volgarità di Trump. Quando ho incontrato Safa Al-Shami, mi ha chiesto: “Dove sono i media in tutto questo? Quante immagini abbiamo visto dalla Siria, dall’Iraq; dov’è lo Yemen in tutto questo? I media dovrebbero iniziare a parlare di questo!”

Ma per lei era chiaro che questa mancanza di copertura mediatica non è una scusa per la mancanza di azione, almeno non in Gran Bretagna. “Guarda come il popolo britannico ha marciato e dimostrato perché Tony Blair ha dichiarato guerra all’Iraq. Il popolo britannico deve rendersi conto che questa guerra nello Yemen fa parte dello stesso sporco gioco. Devono fare qualcosa. Do la colpa al popolo britannico perché è educato e lo sa. Gli americani sono ignoranti.”

Gli orrori inflitti allo Yemen dagli inglesi hanno profondi precedenti storici: 50 anni fa questo mese le forze britanniche si ritirarono definitivamente da Aden, il porto yemenita che avevano colonizzato nel 1839. In effetti, il paese è abbastanza radicato nella coscienza nazionale per essere il soggetto di un nuovo dramma della BBC, che insabbia e glorifica la colonizzazione britannica dello Yemen proprio mentre oggi loro insabbiano il ruolo britannico lì.

Eppure agli inglesi piace ancora pensare a Boris Johnson come ad una specie di buffone affabile. La verità è che lui e l’intero gabinetto del Regno Unito sono complici dell’assassinio di questi bambini. Loro, insieme  a tutti quei parlamentari che hanno votato per continuare questa guerra feroce, devono essere fermati, prendersi le proprie responsabilità ed essere consegnati alla giustizia.

Dan Glazebrook è uno scrittore indipendente freelance che ha scritto per RT, Counterpunch, Z magazine, the Morning Star, the Guardian, the New Statesman, the Independent e Middle East Eye, tra gli altri. Il suo primo libro “Divide and Ruin: The West’s Imperial Strategy in an Age of Crisis (La strategia imperiale dell’Occidente in un’epoca di crisi)” è stato pubblicato da Liberation Media nell’ottobre 2013. Conteneva una raccolta di articoli scritti dal 2009 in poi che esaminava i legami tra il collasso economico, l’ascesa dei BRICS, guerra alla Libia e alla Siria e “austerità”. Al momento sta studiando un libro sull’uso USA-britannico di squadroni della morte settari contro stati e movimenti indipendenti dall’Irlanda del Nord e dall’America centrale negli anni ’70 e ’80 in Medio Oriente e in Africa.

Fonte: www.rt.com
da Comedonchisciotte