Quindi il prossimo 4 marzo gli italiani saranno chiamati a votare. Sarà bene monitorare profili e programmi delle liste in lizza — ammesso che tutte riescano effettivamente a presentarsi.
Lo faremo mettendo a confronto quanto dicono sull’Unione europea e sull’euro poiché, come chi abbia sale in zucca sa, questi due punti, tra gli altri, sono di grandissima importanza, e quindi dicono molte cose sulla natura delle proposte in campo.

Oggi iniziamo osservando quanto si dice sul fianco sinistro del variegato campo politico.

Cominciamo da LIBERI E UGUALI CON PIETRO GRASSO.

Il loro programma è in costruzione, ma è facile immaginare che per gente come Bersani, che affermò… “No, non è colpa dell’euro. Se non ci fosse l’euro gli italiani sarebbero in mezzo al Mediterraneo con della carta straccia in tasca“, un politicante che ha sostenuto il governo Monti, che ha votato tutto, dal pareggio di bilancio fino al Jobs act, essi si attesteranno su una posizione europeista, salvo dire, per salvarsi la faccia, che i Trattati andrebbero cambiati — le posizioni più avanzate di Fassina e D’Attorre sono infatti ultra minoritarie. Una posizione di comodo, quella della modifica dei Trattati, che di fatto unisce tutti, dall’estrema sinistra all’estrema destra, passando per renziani, berlusconidi e salviniani vari.

Come si spiega che pressoché tutte le liste si presenteranno come euro-critiche? Si spiega col fatto che passata la sbornia europeista la grande maggioranza degli italiani, se non è contro l’euro è di sicuro “euro-scettica”. Quindi, se vuoi prendere i voti, quantomeno, devi far finta di essere eurocritico o addirittura simil-sovranista.

Veniamo al MOVIMENTO CINQUE STELLE.
I grillini, dopo aver fatto fuoco e fiamme contro l’euro, sentendo profumo di governo, camaleonticamente hanno adottato una posizione che più ambigua non si può.

L’incarnazione perfetta di questa doppiezza è il Di Maio. Ricordiamo quanto ha recentemente affermato:
«Non abbiamo mai detto che vogliamo lasciare l’Europa…vogliamo restare ma cambiare alcune regole. Ad esempio possiamo superare il parametro del 3% come hanno già fatto Germania e Francia, e poi bisogna rivedere alcuni trattati che stanno danneggiando la nostra agricoltura”… “L’idea originale dell’Ue era buona e per quanto mi riguarda va separato il tema Ue dal tema Euro. Il referendum sulla moneta unica per noi è una extrema ratio. Vogliamo sederci ai tavoli europei e parlare fra adulti con gli altri leader Ue, con lo scopo di rinegoziare i trattati che stanno bloccando la crescita italiana. Spero che le istituzioni europee siano disposte a negoziare un’altra Unione”».

In un posizionamento di prossimità coi Cinque Stelle troviamo la LISTA DEL POPOLO, promossa da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia. Mentre Ingroia lasciatosi alle spalle la tragicomica esperienza di Rivoluzione Civile, pur se solo di recente ha espresso posizioni alquanto nette a favore dell’abbandono dell’eurozona, il primo (Chiesa) non ha mai fatto mistero del suo europeismo in versione eurasista.

Il combinato disposto vorrebbe essere una sintesi delle due posizioni, prevale tuttavia, anche in questo caso una improbabile variante di altreuropeismo. Dopo avere adombrato alla necessità del recupero della sovranità nazionale leggiamo al punto 7) del  programma:
«Non siamo anti-europei. Al contrario vogliamo che l’Italia contribuisca a creare una entità europea capace di svolgere un ruolo cruciale in un mondo multipolare in difesa della pace. Se isolati, gli attuali stati europei saranno travolti dall’azione dei giganti mondiali, senza poter opporre resistenza. Vogliamo un’Europa democratica dei Popoli. Ogni limitazione della sovranità nazionale dovrà essere subordinata alla assoluta ed effettiva parità di tutti i contraenti e in nessun caso dovrà essere realizzata a spese delle garanzie democratiche previste dalla Costituzione. Occorre una nuova Costituzione europea da sottoporre mediante referendum popolari all’approvazione dei cittadini, liberi nel pieno esercizio delle prerogative costituzionali e della propria sovranità nazionale».

Passando in rassegna la lista che raccoglie i rimasugli della sinistra radicale che fu ci imbattiamo in POTERE AL POPOLO.
Riguardo all’Unione europea leggiamo nel programma elettorale:
«Rompere l’Unione Europea dei trattati; costruire un’altra Europa fondata sulla solidarietà tra lavoratrici e lavoratori, sui diritti sociali, che promuova pace e politiche condivise con i popoli della sponda sud del Mediterraneo; rifiutare l’ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi, l’imposizione di decisioni dall’alto perché “ce lo chiede l’Europa”».

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Abbiamo la riproposizione dell’altreuropeismo, in una versione solo più urlata di quella dell’Altra Europa con Tsipras, per la precisione nella versione paracula di Rifondazione comunista (che è a tutti gli effetti il dominus della lista in questione). L’innesto di Eurostop sembra servito a ben poco visto che della moneta unica, sembrerà assurdo, non si fa menzione. Lo stesso riferimento a “politiche condivise con i popoli della sponda Sud del Mediterraneo”, visto l’orizzonte alla “altra Europa” è solo fuffa demagogica.

Ovviamente guai a rivendicare la “sovranità nazionale” che per i promotori di questa lista sarebbe una parola d’ordine “nazionalista”, se non addirittura fascistoide.

Si attesta su una linea del tutto simile la lista PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA, messa su dai trotskysti, ovvero la coalizione elettorale tra Partito comunista dei lavoratori Sinistra classe e rivoluzione (ex-Falce e martello).
Leggiamo nel programma elettorale della lista in questione:
«Abolizione del pareggio di bilancio nella Costituzione. Rifiuto del pagamento del debito, tranne che ai piccoli risparmiatori. Rottura unilaterale dei trattati europei, NO all’Unione europea capitalista».

Una formulazione sciatta e telegrafica  — anche in questo caso, del regime della moneta unica nessuna menzione —, a dimostrazione, oltre che dell’imperdonabile ritardo con cui certa sinistra estrema ha compreso la centralità strategica della questione della rottura con l’Unione, di una imperdonabile superficialità. Ma, come dire, meglio tardi che mai. Come per i loro cugini di cui sopra, vige il tabù della sovranità nazionale.

La sola voce fuori dal coro, l’unica lista che rivendichi l’uscita dalla Ue e dall’euro è quella dello staliniano PARTITO COMUNISTA di Marco Rizzo. Leggiamo da un loro manifesto:
«Fuori dalla UE, dall’euro e dalla Nato è la parola d’ordine che i comunisti pronunciano, senza chiudersi in nessuna visione nazionalistica, senza prospettare un semplice ritorno al passato. Insieme a noi lottano in questa direzione i comunisti di tutta Europa, per la liberazione comune delle classi lavoratrici dei nostri Paesi dallo sfruttamento capitalistico, dal potere dei grandi monopoli».

Solo che, in maniera del tutto simile ai fratelli-coltelli trotskysti, la rottura dell’Unione e l’uscita dall’euro è spostata nell’orizzonte lontano del socialismo. Il che implica, siccome non ci si deve chiudere “.. in nessuna visione nazionalistica”, e si rifiuta ogni “ritorno al passato”, che senza rivoluzione socialista tanto vale restare nella gabbia eurocratica. Che è come dire: “Caro dottore, sapesse quanto piango bene in questa valle di lacrime…”
C’è chi ricorda che Marco Rizzo, in quanto dirigente di Rifondazione stava coi governi Prodi che ci portarono nell’euro, e poi, esponente di punta del cossuttiano Partito dei comunisti italiani era addirittura nel governo D’Alema che bombardava la Iugoslavia.
Di acqua ne è passata sotto i ponti…