Il Bharat Bandh dei Dalit

Ieri si sono verificati scontri e disordini in diversi stati del continente indiano, scontri con le forze dell’ordine che hanno portato alla morte di nove persone, anzi, di nove Dalit, mentre centinaia sono stati feriti.

Oltre che a Nuova Delhi, gli scontri più grossi si sono verificati nel Madhya Pradesh con 6 morti; nell’Uttar Pradesh,  due morti; nel Rajasthan e nel Punjab con un morto ciascuno; ma la tensione resta alta anche negli Stati di Kerala, Punjab, Bihar, Orissa.

I Dalit, quelli che noi chiamiamo “intoccabili” – ma la traduzione corretta del termine è “oppressi” – sono scesi in strada contro una sentenza della Corte Suprema del 20 marzo scorso.

Questa, ritenendo che la Legge sulla prevenzione delle atrocità contro caste e tribù classificate (Scheduled Caste and Scheduled Tribes Prevention of Atrocities Act, del 1989) fosse abusata, ne ha cambiato due disposizioni chiave, eliminando l’arresto immediato e introducendo la libertà provvisoria di un individuo o gruppo di casta alta, compresi impiegati di governo o poliziotti, accusati di un grave crimine (le “atrocità” del testo di legge) contro i gruppi protetti dalla costituzione come appunto i Dalit o gli Adivasi.

Immediata è stata la reazione dei gruppi organizzati della comunità Dalit.
Il Bharat Bandh (sciopero generale) da loro lanciato si è diffuso in tutto il paese e la protesta scaturitane non sarà sedata facilmente, perché la SC/ST Act è considerata dalla comunità una potente protezione contro la discriminazione di casta, inoltre negli ultimi anni proteste, scioperi e rivolte si sono moltiplicati, i Dalit non tollerano più lo sfruttamento e il dominio delle caste elevate e sono sempre più decisi a far valere i loro diritti.

Secondo recenti dati del governo indiano, a fronte di una popolazione totale di 1,2 miliardi di persone, i Dalit sono più di 200 milioni.  Vivono ai margini della società, esclusi, emarginati, soprattutto nelle campagne.

Il sistema delle caste è antichissimo, trova la sua spiegazione in un antico mito dei testi sacri hindu, secondo cui l’origine dell’uomo era attribuita al dio Brahma, dalla cui testa sarebbero nati i Brahmin (sacerdoti), gli Kshatriya (guerrieri) dalle spalle, i Vaisya (agricoltori, mercanti, allevatori),  dalla pancia e gli Shudra (servi) dai piedi. Al di fuori da queste quattro caste, sono i Paria, fuori casta, quindi contaminati, impuri, intoccabili. La loro vita è dominata dal pregiudizio, vivono banditi dai templi, dai luoghi pubblici, dalle case delle caste superiori, è vietato ogni contatto, hanno subito per migliaia di anni discriminazioni, soprusi, vivendo in povertà estrema.

Dopo anni di lotte e lunghe battaglie, la Costituzione indiana ha abolito le regole del sistema castale nel 1950,  decretando quindi la parità degli intoccabili di fronte alla legge, con politiche di sostegno e attraverso un sistema di “quote” che impongono l’accesso alle scuole, alla vita pubblica e politica da parte dei Dalit, non è un caso che oggi il presidente dell’India sia un Dalit, Ram Nath Kovind, del partito nazionalista hindu (Bharatiya Janata Party , BJP).

Come è facile immaginare, però, la discriminazione dei Dalit è ancora profondamente radicata nella società, l’antica dottrina sacra che relega ai margini della società gli intoccabili, escludendoli, è più forte della legge di stato: il sistema castale è considerato sacro e immutabile, abolirlo nella realtà equivarrebbe a sovvertire l’ordine dell’universo.

Per questo l’ultimo Bharat bandh (negli ultimi anni ce ne sono stati diversi e sempre si sono conclusi con scontri e anche morti), per diffusione e intensità, ha spaventato il governo che si è affrettato a presentare una petizione alla Corte Suprema chiedendole di rivedere i cambiamenti apportati alle leggi contro le “atrocità” verso i più deboli.