Ci sono voluti trenta morti tra i manifestanti (quasi tutti a causa del piombo della polizia), centinaia di feriti, un migliaio di arresti, per obbligare Daniel Ortega, lo Tsipras dei Caraibi, a ritirare la cosiddetta “riforma” delle pensioni, in poche parole un taglio del 5%. Non molto penserete; molto, invece, se si considera che il Nicaragua governato da sandinisti è forse il paese più povero dell’America Latina.
Perché mai il governo ha varato questa crudele misura antipopolare?
Semplice, per rispettare il famigerato pareggio di bilancio — chiesto e imposto dai creditori del Nicaragua: Banca mondiale e Fmi — e onorare il debito.
Fa specie che un governo erede della rivoluzione sandinista del 1979 sia diventato un agente, per la precisione uno strozzino, per nome e per conto della finanza predatoria globale. Ed è sintomatico, per capire quanto questo regime sia degenerato, che Ortega, mentre il Paese era in fiamme, abbia dichiarato che al tavolo del negoziato avrebbe accettato solo una delegazione della locale confindustria, escludendo i pensionati, gli studenti, i comitati popolari sorti come funghi in ogni angolo del Nicaragua. Un gesto che ha radicalizzato la legittima protesta sociale.
Per capire la natura sociale della sollevazione popolare si tenga conto quanto segnala EL PAIS, che la rivolta è forte proprio in quelle che sono considerate la roccaforti del FSLN. Il segno del tracollo del regime di Ortega.
La cosa non ci stupisce.
Scrivevamo l’agosto dell’anno scorso:
«Le smielate al governo di Ortega, ospitante la riunione del Foro di San Paolo, con una spruzzata di ricordo di Sandino, vorrebbero nascondere la realtà del governo dittatoriale del duo Daniel Ortega (presidente marito) e Rosaria Murillo (vice-presidente consorte). Uno dei governi più equivoci in questo momento in America Latina, con i piedi su tre staffe (i “sandinisti” addomesticati, gli Stati Uniti, la chiesa rabbonita con la proibizione dell’aborto). Anche qui un piccolo consiglio di lettura».
Non è quindi solo per pensioni dignitose che i cittadini nicaraguensi sono scesi per le strade. La “riforma” è stata infatti la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da anni serpeggiava un profondo malessere: contro la corruzione e l’autoritarismo di un regime ossificato e nepotistico — in Italia diremmo “mafioso”.
Anche il Nicaragua conferma dunque quella che possiamo considerare una legge della storia: non basta la miseria generalizzata a scatenare l’incendio sociale. Devono entrare in gioco altri fattori, politici e morali, tra i quali un disprezzo generale per chi comanda, per il regime. Deve esserci la sensazione che il regime, oltre che odioso, è debole, che quindi un cambiamento radicale non è solo necessario ma possibile.
da sollevAzione