Ai sovranisti senza se e senza ma

Alberto Bagnai ci offre una chiave di lettura

Ieri ci chiedevamo se Di Maio e Salvini faranno la fine di Tsipras. Rispondevamo che questo è di sicuro l’augurio delle élite europeiste. Che queste ultime, prima con le buone e poi con le cattive, vorranno obbligare l’Italia ad obbedire ai diktat euro-tedeschi, ad iniziare dal rispetto delle politiche austeritarie e di rigore fiscale.

Concludevamo quindi che una sinistra patriottica, al netto delle profonde differenze con Lega e M5S, non può che augurarsi, per il bene del Paese e dei suoi cittadini, esattamente il contrario: che il governo giallo-verde non solo non capitoli, ma disobbedisca ai poteri forti.

Ebbene, ieri l’agenzia Reuters riportava una dichiarazione di Alberto Bagnai. Importante perché ci offre una chiave di lettura su quello che potrebbe essere l’approccio del governo giallo-verde sul problema dei problemi, quello del rapporto con l’Unione europea.

Bagnai afferma:
«L’unione monetaria europea è destinata a cadere… non ha alcun senso. L’uscita dall’euro non è in cima alla lista delle nostre priorità. La nostra principale priorità è aiutare la crescita e per questo occorre aumentare la spesa in deficit. Il rigore nelle politiche di bilancio ha distrutto la nostra economia».

Possiamo immaginare quale sia il giudizio di quelli del “tutto e subito”, di quelli che “M5S è un entità gatekeeper“, di quelli che “non cambierà mai un cazzo poiché l’ italiano è un popolo bue”, di quelli per cui “chiunque governi a Roma non potrà che ubbidire a Bruxelles e Francoforte”.

Essi diranno che quanto dichiarato da Bagnai è la prova provata che alla fine “andrà a finire come in Grecia”.

Non li sfiora il dubbio, a questi araldi del “sovranismo senza se e senza ma”, che l’uscita dalla gabbia dell’euro e da quella satanica costruzione geopolitica chiamata Unione europea, è una battaglia colossale, di enorme portata strategica. Lo è tanto più perché senza Italia no Unione, senza Italia Unione kaput.

I “sovranisti” senza se e senza ma che farebbero se fossero al governo? Dichiarerebbero su due piedi l’uscita unilaterale e la disdetta di tutti i trattati? Certo, questa sarebbe la via più breve, ma non sempre la via più breve conduce alla meta. Può accadere anzi che la scorciatoia conduca verso il baratro. Una guerra la si vince solo con un potente esercito, e questo esercito è il popolo unito, deciso e ben organizzato, con un quartier generale deciso a vincere. Abbiamo forse noi oggi queste due cose? No, non le abbiamo. Dobbiamo darcele strada facendo.

Non voglio qui fare l’avvocato difensore di Bagnai, che non ne ha bisogno. Voglio dire che se il governo giallo-verde attuerà anche solo il 50% delle promesse fatte da M5S e Lega, esso dovrà violare le stringenti clausole eurocratiche su deficit e rigore di bilancio.

Certo, questa non è l’uscita dall’euro, non è l’assalto frontale. Tuttavia, nelle condizioni date, disobbedire ai trattati, aumentare la spesa pubblica mettendo avanti a tutto non il rispetto dei diktat unionisti ma il bene del popolo lavoratore, sarebbe, tanto più se viene fatto dal governo italiano, un gesto “sovranista”, un potente atto di disobbedienza alle élite, le quali potrebbero rispondere in modo aggressivo, peggio di come fecero nel 2011 quando defenestrarono Berlusconi e misero in sella Monti.

Se il governo giallo-verde non si metterà in ginocchio, se M5S e Lega non capitoleranno come ha fatto Tsipras, non solo dovremo dire “ben fatto!”. Se ci sarà vera disobbedienza la sinistra patriottica non resterà alla finestra, non si atterrà alla politica imbelle di massimalista memoria “nè aderire né sabotare”. La sinistra patriottica, in piena indipendenza, sosterrà attivamente ogni atto sovrano di ribellione.

Ciò tanto più se, per non essere travolto dai poteri forti eurocratici — che saranno senza dubbio spalleggiati dalla Quinta Colonna del grande capitalismo italiano e dai suoi servi politici — il governo giallo-verde dovesse fare appello ad una grande mobilitazione popolare difensiva. Noi lì ci saremo. Poiché lì si aprirà una fase nuova, poiché lì pulserà il sovranismo popolare.
Lì, nella lotta, si deciderà il futuro del nostro Paese.