Intervista di Umberto De Giovannangeli (HuffPost) a Mahmoud al-Zahar
Per il cofondatore di Hamas la protesta andrà avanti. Possibile accettare una tregua, ma “mai riconosceremo l’oppressore, lo Stato di Israele”

Per Gaza, quella di ieri, è stata la giornata più tremenda dai bombardamenti israeliani del 2014. Per i governanti israeliani è stato invece il giorno della festa, che per questi criminali non è mai tale se non è bagnato nel sangue. Per il silente occidente è stato il giorno della vergogna, di chi si volta dall’altra parte per non guardare.

Qui sotto l’interessante intervista a Mahmoud al-Zahar (Hamas), realizzata da Umberto De Giovannangeli per l’HuffPost.

“Onoreremo i martiri resistendo fino alla liberazione della Palestina”
di Umberto De Giovannangeli

Il suo nome incute rispetto e paura a Gaza. Da anni è nel libro nero d’Israele che ha tentato più volte di ucciderlo con operazioni mirate: in due occasioni – nel settembre 2003 e nel gennaio 2008 – gli F16 con la stella di David hanno bombardato la sua abitazione a Gaza: ambedue le volte si è salvato, restando ferito, ma a morire sono stati due dei suoi figli. Cofondatore di Hamas, ministro degli Esteri nel governo islamico nella Striscia, Mahmoud al-Zahar, 73 anni, è tra i leader della protesta che, con la repressione di Israele, sta insanguinando Gaza. “L’unico modo per onorare gli ‘shaid’ (i martiri, ndr) caduti per mano del nemico sionista è proseguire la lotta fino a quando la Palestina non sarà liberata” dice al-Zahar in questa intervista esclusiva concessa all’Huffpost.

Nell’orizzonte di Hamas non esiste la pace con Israele, ma al-Zahar non chiude alla possibilità di una hudna (tregua) di lungo periodo con l'”entità sionista”: “Israele – dice – conosce solo il linguaggio della forza e in passato ha accettato di negoziare la liberazione di prigionieri palestinesi solo quando è stato costretto a farlo dalla resistenza palestinese. Se si vuole trattare una tregua, Israele deve porre fine all’assedio di Gaza e permetterne la ricostruzione. Trattare su queste basi non sarebbe una resa ma un risultato”.

A Gaza si continua a morire. Le autorità israeliane accusano Hamas di aver portato la gente al massacro. Qual è la sua risposta?
“Quello di Israele è terrorismo di Stato, ma l’Occidente, a cominciare dall’America, non lo ammetterà mai né farà qualcosa per fermare la mano ai carnefici. I governanti israeliani sanno di godere dell’impunità internazionale, di una sorta di licenza di uccidere o di calpestare la stessa convenzione di Ginevra sulla guerra senza dover incorrere in alcuna sanzione. Mentre i cecchini israeliani aprivano il fuoco sui manifestanti, Netanyahu e il suo protettore americano Donald Trump parlavano di una magnifica giornata. Quanto alle accuse ad Hamas: noi siamo parte della resistenza palestinese, una resistenza che nasce dal basso. Gli israeliani hanno assassinato dirigenti di Hamas, ma non hanno distrutto Hamas. Per farlo dovrebbero cancellare il popolo palestinese, ma è troppo anche per chi teorizza la soluzione finale a Gaza”.

Insisto su questo punto. Si è detto e scritto che guidando la protesta a Gaza, Hamas intende ottenere due risultati interni al campo palestinese: ribadire la propria leadership nella resistenza armata a Israele e spazzare via al-Fatah e ciò che resta dell’Anp del presidente Abu Mazen.
“Questa è la falsità che Israele e i suoi sostenitori nel mondo spacciano come verità. Una ‘verità’ senza memoria. Ai tanti smemorati, vorrei ricordare che Hamas ha vinto le uniche elezioni libere svoltesi in Palestina. Per punire il popolo palestinese di quel voto, Israele ha imprigionato a Gaza quasi due milioni di persone, la maggioranza delle quali sono bambini o ragazzi. Questa non è una punizione collettiva, è un crimine contro l’umanità. La resistenza palestinese non si fermerà se non dopo aver conquistato la liberazione della Palestina”.

Hamas pensa davvero di poter sconfiggere uno degli eserciti più potenti al mondo?
“E quale sarebbe l’alternativa? Vivere da servi sulla propria terra? O spacciare una resa vergognosa per una pace miserevole? La storia dei cosiddetti negoziati di pace è la storia di un fallimento annunciato. I negoziati sono serviti a Israele per camuffare agli occhi del mondo la sua politica reale: quella della pulizia etnica ad Al-Quds (Gerusalemme, ndr), il furto delle terre palestinesi, la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania, la libertà concessa ai coloni di imporre la loro legge armata. Di fronte a questa realtà, la resistenza non è un diritto da rivendicare ma un dovere da praticare. Non siamo dei pazzi, molti tra di noi hanno visto cadere i propri figli (al Zahar è uno di essi, ndr) ma mai, mai, abbiamo pensato di alzare le mani, di arrenderci. Sappiamo che la liberazione della Palestina non è dietro l’angolo, ma il tempo e la determinazione sono dalla nostra parte. Gli israeliani possono continuare a massacrare i palestinesi, ma in un futuro non più lontano, gli ebrei saranno minoranza in Palestina. A dirlo non è Mahmoud al-Zahar, sono i loro demografi”.

Lei parla di resistenza, Israele traduce questo termine in “terrorismo”.
“Per gli Israeliani ogni Palestinese che non si piega è un terrorista da eliminare. Per giustificare il massacro di ieri, hanno provato a dire che avevano evitato la penetrazione di commando terroristi in Israele. E’ una menzogna, che serve a giustificare agli occhi del mondo la carneficina consumata a Gaza”.

Hamas accetterebbe una forza d’interposizione sotto egida Onu a Gaza?
“La resistenza palestinese si batte perché finisca lo strangolamento di Gaza. Una forza d’interposizione potrebbe essere il garante sul campo di una hudna (tregua, ndr) negoziata..”.

Negoziata con chi e da chi?

“Una tregua la si negozia col Nemico, così come fu fatto con lo scambio dei prigionieri (la vicenda del caporale israeliano Gilad Shalit, ndr)…”.

E chi dovrebbe negoziarla per i Palestinesi? Il presidente Abu Mazen o chi altro?

“Questo è di secondaria importanza. Le priorità sono la fine immediata dell’assedio a Gaza e non vincolare la tregua a condizioni che la resistenza palestinese non potrebbe accettare…”.

A cosa si riferisce?

“Al riconoscimento d’Israele. Non si può riconoscere l’oppressore”.

Tra le tanti voci critiche levatesi nel mondo arabo e musulmano contro il massacro di Gaza, spicca il silenzio di Riyadh. Qualche giorno fa, il Bahrain ha ufficialmente riconosciuto il diritto d’Israele a difendersi dalla minaccia iraniana. La causa palestinese non rischia di essere piegata dai giochi di potenza regionali?
“E’ compito della resistenza palestinese evitare che ciò accada”.

A incitare alla resistenza contro Israele c’è anche il capo di al Qaeda, Mohammed al-Zawahiri, nonché califfi ed emiri dell’Isis. La Palestina è una delle frontiere avanzate del Jihad globale?
“No, la Palestina è una causa in sé, non lo strumento per raggiungere altri obiettivi”.

Abu Mazen si è rivolto alla comunità internazionale per chiedere di premere su Israele perché ponga fine al pugno di ferro a Gaza. Ha chiesto all’Europa un gesto politico: riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina. Hamas sostiene questa richiesta?
“Ho ormai perso il conto degli appelli. Risultati? Zero. Quanto all’Europa, c’è da ricostruire Gaza, incrementare gli aiuti internazionali, agire per porre fine all’assedio, e su questo prendere le distanze dall’America di Trump”.

In un video messaggio in occasione dell’apertura dell’Ambasciata Usa a Gerusalemme, il presidente Trump ha ribadito le ragioni di questa scelta…

“Sono le ragioni degli Israeliani, di Netanyahu, che Trump ha sposato in pieno. L’ambasciata americana a Gerusalemme è una provocazione non solo verso i Palestinesi ma verso l’intero mondo musulmano e anche verso quello cristiano. La liberazione della Palestina passa per Gerusalemme, con o senza l’ambasciata americana”.

da HuffPost