Prima la buona notizia.
L’amico Luciano Barra Caracciolo è sottosegretario alle Politiche europee di palazzo Chigi.
Affiancherà dunque la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Quella cattiva: Alberto Bagnai è stato tenuto fuori dalla compagine governativa.
Di buon auspicio la prima, un brutto presagio la seconda.

Non c’è bisogno di spiegare ai lettori più assidui di questo blog chi sia Luciano. Per i tantissimi nuovi lettori: paladino della Costituzione e della sovranità popolare, grande studioso di diritto ed economia, un nemico del liberismo in tutte le sue varianti. Un patriota che non si è mai tirato indietro quando si è trattato di dare un aiuto alla sinistra patriottica. Dal 2012 il suo blog Orizzonte 48 ha rappresentato una delle principali fonti della critica scientifica dell’Unione europea e dell’euro.

Accettando l’incarico Luciano ha deciso di dare una mano ad una compagine governativa che i poteri forti eurocratici vorranno rovesciare alla prima occasione. Luciano sa che la squadra di cui ha deciso di fare parte è fragile, contraddittoria, addirittura raccogliticcia, frutto di un compromesso, non solo tra M5s e Lega, ma con il Quirinale, il quale, in almeno un paio di posti chiave, ha imposto dei cani da guardia dell’Unione euro-tedesca. Parliamo anzitutto del Ministero dell’Economia e della Finanza.

E qui viene, in tutta la sua spettrale dimensione, la cattiva notizia.

Alberto Bagnai, tra i pochi  economisti a disposizione del governo giallo-verde quello con più talento, è stato tenuto fuori dalla squadra di governo, lontano dal Ministero che più conta. Non c’è dubbio, Mattarella, dopo il veto su Savona, l’ha posto e con fermezza su Bagnai (e Borghi Aquilini). Che il Colle l’abbia spuntata, in altre parole che Di Maio e Salvini abbiano chinato il capo, non è di buon auspicio. Morale: al pari di Bankitalia e degli altri santuari della setta eurocratica il Ministero dell’Economia resta un fortilizio apparentemente inespugnabile.

Scrivevo il 24 marzo:
«Vada pure Di Maio come Presidente del Consiglio. La posta in palio vera — ove non si ricorresse a nuovi aleatori spacchettamenti — è chi sarà il Ministro dell’economia e delle finanze (MEF). Lì sono infatti puntati i riflettori di Bruxelles, Berlino e Francoforte, ergo, dei “mercati”. Da chi prenderà il posto di Padoan sapremo molte cose, anzi, sapremo quasi tutto. Sapremo se il governo giallo-verde resterà prigioniero della gabbia eurista o se ne vuole davvero uscire fuori, almeno adottando politiche monetariste e mercantilistiche che pongano fine all’austerità e alla deflazione salariale. Per questo, tra tutte le figure possibili, Alberto Bagnai sarebbe senza dubbio il migliore Ministro dell’economia di un governo giallo-verde».

Non solo niente Ministero, nemmeno una postazione da sottosegretario per stare alle costole del liberista ministro Giovanni Tria (liberista all’amatriciana). Lo stesso Borghi Aquilini è stato tenuto fuori… con Armando Siri spedito al “reparto confino” delle infrastrutture.

Il 9 giugno scorso, evidentemente sospettando che Di Maio e Salvini avrebbero accettato il veto del Quirinale, Bagnai scriveva:
«Per non sbagliare, per andare avanti, per portare il dibattito a un livello superiore, mi basta fare il contrario di quello che mi chiedete: prima era #famoerpartito – e spero che abbiate capito, finalmente, perché era una scemenza! – ora è #faierministro – e non mi metto nemmeno a spiegarvi perché è una scemenza!».

Capiamo che egli scelga di fare buon viso a cattivo gioco, il disciplinato soldato della Lega. Stucchevole è la tirata d’orecchie anzitutto contro i tanti che in questi anni difficili lo hanno considerato come una stella polare della battaglia no-euro, e che han pensato che la sua collocazione in posizioni quantomeno apicali nella squadra di governo sarebbe stata come una cartina di tornasole, anzi una garanzia che il governo sarebbe stato davvero di svolta.

Noi saremo pure “scemi” ma almeno diamo un nome proprio alle cose.
Una sconfitta (per la causa, si badi, non per l’ambizione personale di questo o quello, per altro legittima) è una sconfitta. Tu chiamala pure, se vuoi, “scemenza”.