Silvio Berlusconi — la bestia nera di tutti i “progressisti” che si fan dare la linea dalla conventicola de la repubblica —, ha definito il governo M5s-Lega “il più a sinistra della storia”. Affermazione categorica che, dato il pulpito, deve far riflettere.

Anzitutto ci dice che il cavaliere nero, in fatto di tassonomia politica, contrariamente alle panzane postmoderne, crede e come esista e persista la dicotomia destra-sinistra. I capitalisti non amano gli arzigogoli concettuali, come Berlusconi sono tipi pratici: è di destra ubbidire al grande capitalismo, è di sinistra andare incontro agli interessi del popolo lavoratore.

Il film che vedono a sinistra è opposto. Quello giallo-verde sarebbe il “governo più a destra della Repubblica”, peggio, sarebbe un governo “fascista”.

Per il segretario di Rifondazione comunista (vedi grafica a destra dal sito del Prc) Salvini non solo sarebbe l’erede di Mussolini ma addirittura del Ku Klux Klan. Spiegate ad Acerbo che il rito del KKK di bruciare la croce simboleggia appunto il rifiuto di venerare la croce, quindi  l’esatto contrario della sua esposizione. Massima apostasia per i cattolici quella del KKK, visto la croce è emblema della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Stendiamo un pietoso velo e torniamo alle cose serie.

Per capire meglio cosa voglia intendere Berlusconi ci corre in soccorso Luciano Fontana, direttore del CORRIERE DELLA SERA. Occorre leggere con attenzione il suo editoriale nell’edizione di ieri: Il grido di allarme che cresce.

«C’è qualcosa di molto preoccupante nelle decisioni e negli annunci che ogni giorno arrivano dagli esponenti del nuovo governo. C’è un sentimento diffuso di disagio nel mondo dell’impresa, soprattutto nel Nord del Paese. Alcune scelte hanno già avuto conseguenze immediate, altre possono cambiare (irrimediabilmente) la cultura del lavoro e dell’impresa nel nostro Paese. Misure sui contratti, Ilva, Alta velocità, gasdotto Tap, Alitalia: sono i capitoli di un «vasto programma» che sta diffondendo l’idea di un’Italia che si chiude al mondo, non rispetta gli impegni, rinuncia alle sfide della competitività nel mercato globale, ostacola chi il lavoro lo crea. Una cultura che ha pregiudizi verso gli imprenditori (siano essi piccoli, medi o grandi), che ingabbia lo spirito d’iniziativa individuale, il desiderio di migliorare la propria condizione di vita con le armi della competenza, del rischio e della determinazione. Si può decrescere (non sappiamo se felicemente o no), tanto ci penserà lo Stato. O la Cassa Depositi e Prestiti, cassaforte del risparmio degli italiani. E se non ci sono i soldi per gli interventi pubblici meglio accumulare altro deficit. Come se non avessimo già un debito pubblico enorme che i contribuenti, prima o poi, dovranno pagare. Le vicende dell’acciaieria Ilva a Taranto e della Tav Torino-Lione sono emblematiche soprattutto per il segnale che stiamo lanciando agli investitori stranieri che ancora producono in Italia o avrebbero intenzione di farlo. Prima erano la burocrazia e la corruzione a costituire i principali ostacoli, ora c’è un’ideologia di governo improntata al sospetto. (…) Sta radicandosi l’illusione che lo Stato penserà a tutto: con i sussidi o con i suoi interventi. Un Eden, un mondo fantastico in cui ogni cosa è possibile. Il grido d’allarme è rivolto soprattutto a Matteo Salvini, detentore di un largo consenso nel mondo produttivo. Fino a quando asseconderà l’alleato di governo?».

“L’Italia che si chiude al mondo”, “che rinuncia alle sfide della competitività del mercato globale”, un governo che penalizza “La cultura del lavoro e dell’impresa”, che svela “pregiudizi verso gli imprenditori e ingabbia lo spirito d’iniziativa”….

Decodifichiamo quel che scrive Fontana: Sappiamo bene che questo governo non è anticapitalista. Esso tuttavia, in quanto populista, risponde anzitutto alle istanze delle classi sociali che stanno in basso, e calpesta quelle delle classi che stanno in alto. E per andare incontro a chi sta in basso il governo deve invertire le politiche neoliberiste, l’idea che il mercato debba ubbidire a politiche pubbliche, rimettendo dunque al centro lo Stato.

Sembra di sentire, prima ancora che Luigi Einaudi, Milton Friedman:
«Ci sono molte varianti del liberismo. C’è un liberismo che propone un governo nullo, anarchico. C’è un liberismo che propone un governo limitato. […]  Ma in pratica non importa perché puntiamo tutti verso la stessa direzione».

Berlusconi in modo rozzo, Fontana in forma elegante c’entra il punto: il rischio è che questo sia il primo governo occidentale ad invertire la rotta, a chiudere con le politiche macroeconomiche liberiste e globaliste. E lorsignori sono molto preoccupati non solo perché questo “esperimento populista” conduce alla collisione con la Ue, potrebbe avere successo.

Non sia mai! Occorre impedirlo! Di qui l’insidiosa manovra: lisciare il pelo alla Lega di Salvini affinché rompa l’alleanza con Di Maio e quindi faccia cadere il governo.

Dal che sorge la domanda: conviene al popolo lavoratore che questa manovra del grande capitalismo anti-nazionale ed euro-globalista vada in porto? O non è forse vero il contrario, che dobbiamo augurarci che l’alleanza M5s-Lega non si rompa?

Indovinate qual è la (non) ardua sentenza.