
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere: Matteo Salvini è indagato dalla procura di Agrigento per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio.
Il terzo potere, quello giudiziario, saldamente in mano ai poteri forti e all’élite, è sceso ufficialmente in campo contro il primo ed il secondo — passati di mano dopo il terremoto elettorale del 4 marzo.
La battaglia d’autunno è così ufficialmente iniziata.
Primo risultato (a conferma della massima maoista secondo cui “i reazionari si danno la zappa sui piedi”): Salvini veleggia al 45% nel gradimento degli italiani (sondaggio Piepoli)
Che la battaglia sia iniziata sulla questione degli immigrati non deve trarre in inganno. Ogni guerra comincia con un casus belli, che non è mai la vera causa del conflitto. La Grande guerra non scoppiò certo per l’assassinio, il 28 giugno 1914 a Sarajevo, degli arciduchi d’Austria.
Qual è infatti la vera posta in palio della battaglia appena iniziata? Si tratta niente meno che del destino stesso di quell’ircocervo che è l’Unione europea con la sua bislacca moneta unica. Quindi dell’intero assetto sociale, di classe e geopolitico affermatosi negli ultimi decenni.
Le cose come stanno? Stanno che stante l’apparente solidità dell’asse strategico franco-tedesco (carolingio) e la volontaria sudditanza delle diverse nazioni vassalle, Spagna in primis, l’Italia, con la sua insubordinazione, si trova a poter/dover essere l’elemento di innesco della definitiva dissoluzione della Ue. In palio, insomma, una posta enorme, con effetti devastanti per l’oligarchia euro-globalista dominante la quale, considerandosi una specie di divino kathekon, l’ultimo baluardo che terrebbe a freno l’avanzata dell’Anticristo, minaccia sfracelli.
Che Di Maio e Salvini siano all’altezza di questa gigantesca battaglia noi non crediamo. Diciamola tutta: non lo sono. Ma non parliamo qui delle intenzioni dei due leader, che sembrano contraddittorie e ineffabili, bensì di ciò che essi potrebbero essere costretti a fare. E da quali fattori dipende anzitutto ciò che saranno costretti a fare? I filosofi stoici, segnalavano che gli uomini si dividerebbero in saggi e non, i primi, esseri perfetti, compiono azioni moralmente buone e gli altri, imperfetti, cattive. Entrambi ubbidendo alla loro natura.
Ovviamente le cose non stanno così. Nella battaglia le circostanze, gli interessi delle diverse classi sociali, le spinte storico-nazionali; sono questi i fattori che condizionano e spesso determinano l’azione e l’orientamento delle parti in lotta. Una cosa è certa: per vincere occorre non solo avere un Piano di battaglia ma essere disposti a cambiarlo ove le circostanze lo richiedessero necessario.
E qui sta il punto: mentre l’élite eurista, oltre ad una panoplia di mezzi offensivi e un Piano di battaglia, è determinata nel ricorrere ad ogni mezzo per far fuori l’esperimento populista italiano ed evitare il contagio dissolutivo dell’Unione, non altrettanto possiamo dire di Di Maio e Salvini. La sensazione è che essi navighino a vista e, quel che più conta, non abbiano alle spalle eserciti compatti. Che succederà a M5S e Lega ove l’élite, fallito (ci auguriamo) il tentativo di addomesticarli e ammansirli (con Tsipras gli è perfettamente riuscito), “scateneranno l’inferno?
Come recita il recente comunicato di P101 non solo c’è dentro il governo una Quinta colonna eurista. Ci sono, sia nella Lega che nel M5s componenti che non vogliono la rottura con i poteri forti. Nell’eventualità pressoché certa dello scontro la possibilità di fratturazioni in seno al campo populista è insomma molto alta. Il fatto è che entrambi questi populismi sono ectoplasmatici, fragili, instabili. La qual cosa le élite sanno e per questo lo attaccano, per non dargli il tempo di consolidarsi.
Logica vorrebbe che in queste concrete circostanze Di Maio e Salvini, anche solo per non essere battuti, travolti e umiliati dall’eventuale sconfitta, agiscano in modo offensivo e attacchino per primi. Come? Con un atto preventivo, magari per liberarsi della Quinta colonna, quindi per spiazzare e neutralizzare i nemici interni (ancora disorganizzati) e sventare il rischio di una fratturazione devastante del campo populista.
In parole povere — dal momento che il banco di prova sarà la Legge di bilancio, dal momento che questa sarà sfornata dal Ministero dell’economia saldamente in mano alla camarilla eurista, dal momento dunque che sarà una Finanziaria in linea con i dettami di Bruxelles — per Di Maio e Salvini converrebbe aprire una crisi di governo per andare a passo di corsa verso elezioni anticipate e così raccogliere il crescente consenso popolare. Che solo in questo appoggio consiste la loro arma più potente.
Mattarella non vorrà sciogliere le Camere? Tramerà per riportare al governo le “larghe Intese”? Sì, tenterà di farlo. Lo faccia e vedremo. E lì si consumerà un passaggio politico e sociale determinante: o piena sovranità nazionale o definitiva soggezione.
C’è una maniera per sventare un nuovo colpo di Stato: chiamare il popolo alla mobilitazione generale. Di Maio e Salvini hanno solo quest’arma; trasformare il consenso popolare, fino ad oggi passivo, in attivo. E lì vedremo se i semi che siamo andati spargendo in questi anni duri daranno frutti, vedremo se la sinistra patriottica occuperà, sul campo di battaglia, il posto che le spetterebbe.
Gli stoici dicevano che la morale dell’azione non risiede nell’azione stessa, ma nella intenzione che la dirige. Il saggio che agisca per il bene, dev’essere dunque assolto anche in caso la sua azione non vada a buon fine.
In caso Di Maio e Salvini faranno (loro) saltare il banco di questo governo ibrido e infedele per primi, contestualmente chiamando il popolo nelle strade, essi saranno assolti dal tribunale della storia, poiché farebbero combaciare intenzione e azione.