Non avranno lo stesso peso della famigerata lettera della Bce al governo italiano del 4 agosto 2011 (quella che annunciava la defenestrazione di Berlusconi e aprì la via a Monti), tuttavia ci siamo vicini.

Ieri Mario Draghi ha sferrato un fendente al governo giallo-verde, schierando apertamente la Bce sul fronte dei nemici del governo giallo-verde. Lo ha fatto pronunciando parole felpate ma minacciose, chirurgiche ed inequivocabili:
«Le parole del governo hanno creato danni agli italiani. Ora aspettiamo i fatti e i fatti sono non solo la Legge di bilancio ma anche la successiva discussione parlamentare».

Ci voleva una conferma più lampante di quanto P101 va dicendo sin dall’insediamento del governo, che la Legge di bilancio sarebbe stata la sua prova del fuoco?

Draghi ha quindi svelato, non senza una pelosa chiamata in correo del Presidente del consiglio, di fare affidamento su quella che abbiamo chiamato Quinta colonna a palazzo Chigi:
«Dobbiamo essere consapevoli di ciò che hanno detto il Primo ministro italiano, il ministro dell’Economia e il ministro degli Esteri, e cioè che l’Italia rispetterà le regole».

In perfetto sincronismo, mentre Draghi parlava a Francoforte, a Roma, il Commissario europeo al bilancio Gunther Oettinger, nella sua audizione al Parlamento andava giù duro sul fatto che il governo non ha altra scelta se non quella di rispettare i vincoli di bilancio inscritti nei trattati.

Come se non bastasse, da Parigi, un altro Commissario (agli affari economici e monetari), Pierre Moscovici, ha dichiarato che.
«L’Italia è un problema per la zona euro. La sua Legge di bilancio dev’essere credibile» ed ha aggiunto una frase gravissima: «Oggi non c’è Hitler ma tanti piccoli Mussolini».

A queste pesantissime e minacciose ingerenze la risposta degli accusati non si è fatta attendere. Ci hanno pensato prima Claudio Borghi e dunque Luigi Di Maio.

Qual è stato, al di la delle deboli rimostranza di rito, il succo delle risposte (che indicano l’esistenza di una perfetta concordanza  tra i vertici M5s e Lega)?
«No problem! tra 6-8 mesi questa commissione non esisterà più».

In questa lapidaria locuzione c’è la strategia di Di Maio e Salvini: guadagnare tempo, non tirare troppo la corda fino alle elezioni europee (maggio 2019) poi si vedrà. Essi sembrano certi che le urne travolgeranno le due forze sistemiche (popolari e socialisti) e che dunque, nel nuovo quadro politico, si potrà accelerare nell’attuazione del contratto di governo, sbarazzandosi della Quinta colonna in seno al governo, se serve andando di corsa ad elezioni anticipate.

Ha questa strategia, oltre a stringenti e momentanee necessità tattiche, spessore strategico? E se sì qual è?

A me pare chiara: con questa Ue ed i suoi trattati (ed il macigno di un debito pubblico il cui rimborso non potrà mai essere onorato) per l’Italia in trappola due sole sembrano le vie percorribili: o l’uscita unilaterale con atto politico sovrano, oppure “disfare” (verbo usato dal Times) — decostruire per usare un verbo raffinato — per tappe l’Unione europea di concerto con gli altri governi per tornare a prima dell’euro e di Maastricht. Insomma, in nome di un “sano” europeismo l’idea di una confederazione europea di stati sovrani (senza ovviamente moneta unica).

Questo è evidentemente — considerata la dissimulazione di cui si parlava su questo blog — il “Piano A” di Di Maio e Salvini, un piano il quale, se capiamo bene, è condiviso non solo da Savona ma pure da Bagnai e Borghi — col che abbiamo non solo che l’alleanza tra M5s e Lega è più solida di quanto possa sembrare; abbiamo che la sinistra patriottica è obbligata ad entrare nel merito, dare un suo giudizio, perché, al fondo, è su questo terreno che va portato il confronto con M5s e Lega, è su questo che si decide (non su aspetti secondari com’è ad esempio l’immigrazione o altre singole pur importanti vicende) il rapporto col governo.

La cosa riguarda quindi Programma 101 che, nella sinistra patriottica, ha sempre perorato l’uscita unilaterale con atto politico sovrano, ed ha sempre considerato non percorribili altre soluzioni come lo smembramento concordato di Ue ed eurozona.

Chi scrive considera aleatorio il “Piano A” di Di Maio e Salvini, poiché esposto a troppe e imponderabili variabili. Ci torneremo. Intanto è ovvio chiedersi: ce l’hanno Di Maio e Salvini un “Piano B”? Oppure vogliono impiccarsi alla strategia della “guerra di posizione” o “di logoramento”? E come può risultare vincente essa strategia se il nemico usasse invece la strategia della “guerra di movimento” e dell’assalto frontale?