Diciamola tutta: ci son rimasti male. Ma come sarebbe stato bello poter dire che nulla cambia, che nulla può cambiare. La signora TINA (There is no alternative) ha tanti spasimanti, più di quel che si crede. Amata nei salotti buoni, non spiace neppure ai massimalisti di ogni risma. Per i primi è una polizza sulla vita (e sul portafoglio), per i secondi una comoda giustificazione della loro sterilità politica.

Diciamola tutta, in tanti avrebbero voluto una bella Legge di Bilancio fatta di tagli e sacrifici, giusto per dimostrare che i populisti son come i piddini, che il 4 marzo nulla è successo, che Di Maio e Salvini sono sul libro paga di Juncker fin da piccoli. E che bello sarebbe stato il trionfo di Tria! I giornaloni già eran pronti a festeggiare la sua Resistenza, quella epica, con la erre maiuscola a compensare il suo melenso sguardo.

E invece? Invece non è andata così.
Vero, il nuovo DEF non è una rivoluzione, ma non so chi l’aspettasse. Vero, non c’è ancora la svolta radicale necessaria, ma che forse era all’ordine del giorno? Vero, saremo ancora in avanzo primario, ma molto, molto meno di quanto concordato con l’UE dai precedenti governi. La vera partita conclusasi con la rotta di Tria (e dunque di Mattarella, dunque dell’intero blocco eurista) era un’altra: il rapporto con l’Unione Europea. Escluso per ora lo scontro frontale, restavano due possibilità: il cedimento o quanto meno l’adattamento ai desiderata dei signori di Bruxelles, o – come invece è successo – la resistenza a costoro, volutamente giocata sul piano di una sfida non troppo alta (non si sfora il 3%), ma ugualmente significativa.

Significativa sia sul piano simbolico che su quello sostanziale. Ad esempio, colpire a morte la Legge Fornero non solo è importante concretamente per milioni di lavoratori, ma vuol dire anche abbattere un simbolo dell’intera politica austeritaria. Aver fissato il rapporto deficit/pil per i prossimi 3 anni al 2,4% può sembrare un nulla, ma rispetto al percorso di rientro del deficit verso il pareggio di bilancio questo significa aver recuperato 112 miliardi per le politiche del governo. Che poi tutti questi soldi finiscano spesi nel modo migliore è tutto da vedere, ma è questa la misura esatta di un atto di disobbedienza all’UE che sarebbe puerile sottovalutare.

Che per l’establishment sia stato un colpo non v’é dubbio. L’abbiamo già detto, nell’intenzione del governo il 2,4% rappresenta un tentativo di compromesso, ma per il blocco eurista non è questo un compromesso facilmente digeribile. Lo vedremo nelle prossime settimane, quando partirà l’attacco sistematico ad ogni misura della Legge di Bilancio, specie sulla Fornero e sulle prime misure del Reddito di cittadinanza.

Questo lo diamo per scontato. Quel che qui vogliamo affrontare è invece l’altro versante degli amanti della signora TINA: quello dei massimalisti di ogni colore, da un’estrema sinistra sempre più disorientata, a certi sovranisti del “tutto subito” che mostrano una certa difficoltà nel comprendere le leggi della lotta politica.

Diciamolo una volta per tutte: non è che qui sposiamo il governo gialloverde, tantomeno condividiamo tutte le sue iniziative. Non è che non vediamo debolezze, contraddizioni e – soprattutto – la perdurante incapacità ad uscire da un orizzonte liberista. E’ che ne vediamo il ruolo oggettivo di veicolo ed accumulatore degli elementi di scontro con l’oligarchia eurista. E per chi, come noi, ritiene che uscire dalla gabbia della moneta unica sia la condizione necessaria – pur se non sufficiente – per uscire dalla crisi e riconquistare con la sovranità nazionale la stessa democrazia, decisamente non è poco. In questo senso la decisione sul DEF ci sembra andare decisamente nella giusta direzione.

I massimalisti (di ogni colore) ritengono invece che nulla sia cambiato. Vediamo allora alcuni loro argomenti.

Tra le formazioni comuniste, mentre per ora tacciono (ma già sappiamo cosa diranno) le nostrane ali estreme del trotskismo e dello stalinismo, vince invece il primo premio del Contorsionista dell’anno il sito Contropiano. Dopo aver dato per scontata la vittoria della linea Tria, questo sito ha cercato di correre ai ripari con un articolo di Claudio Conti dall’illuminante titolo «Mercati in fiamme. Di Maio e Salvini “vincono” come Pirro». Insomma, quasi un inno a mister spread: complimenti! Dopo aver affermato che i due leader del governo sono «sempre più nei panni di due Tsipras di destra», si ammette che: «Il fatto c’è, inutile sottovalutarlo. Dopo un duro scontro interno tra i “tre governi in uno”, i due capipartito hanno avuto la meglio sui garanti dell’Unione Europea (Tria, Moavero Milanesi e, indirettamente, il presidente della Repubblica, Mattarella), imponendo una cifra ben superiore all’1,8% che già rappresentava una svolta drastica rispetto alle previsioni del governo Gentiloni (0,8)».

Insomma, secondo questi fenomeni, il fatto c’è (guarda un po’!), ma siccome non corrisponde ad analisi e desideri di Contropiano, si fa come non vi fosse. Dunque, Di Maio e Salvini sono come Tsipras e tanto meglio se i mercati gli daranno il colpo di grazia, come si lascia ben intendere nelle conclusioni dell’articolo. Quando si dice i comunisti hard!

Meglio per una volta Roberta Fantozzi di Rifondazione Comunista, se non altro più prudente nei giudizi, a partire dal titolo: «Manovra: aspettiamo che si chiarisca il quadro su pensioni e reddito. No alle politiche fiscali. La nostra opposizione sarà opposta a quella dei fans dell’austerity». E vorremmo anche vedere! Ma, si sa, la lingua batte dove il dente duole, e per i rifondaroli non sarà facile distinguersi dal fronte antipopulista immaginato da lorsignori.

Apparentemente sulla stessa lunghezza d’onda Giorgio Cremaschi, il quale però ad un certo punto si lascia andare a questo tentativo di sintesi: «Sinceramente sembra di tornare ad una classica finanziaria della vecchia DC, che distribuiva un po’ di mance a pioggia tenendo conto dei propri insediamenti elettorali». Ecco qui, pari pari, un giudizio identico a quello dato dai media sistemici, che si lamentano infatti di un presunto ritorno all’«assistenzialismo». Ma lasciamo perdere, quel che vorremmo sapere dal sindacalista Cremaschi è se considera «una mancia a pioggia» anche la riforma della Fornero…

Alla “sintesi” cremaschiana così risponde, sulla sua stessa pagina Facebook, l’ex Prc Leonardo Masella: «“Una classica finanziaria della vecchia Dc” certo non è il socialismo, ma è la prima finanziaria in controtendenza dalla fine della prima repubblica». Controtendenza, ben detto Masella, con ciò ammettendo anche cosa sono state le quattro finanziarie approvate con il voto determinante di Rifondazione Comunista (1996, 1997, 2006, 2007)…

Andando un po’ più sul tecnico, passiamo ora ai massimalisti del campo sovranista. Campo nel quale in molti sottolineano come un deficit al 2,4% sia in linea con quello conseguito l’anno scorso da Padoan.

Prendiamo, ad esempio, quanto ha scritto l’amico Mario Volpi della Mmt: «Comunque volevo sottolineare che un deficit al 2.4%, è il deficit pubblico più basso mai realizzato dai governi italiani dal 2008 ad oggi……Così…. tanto per dire…..Siamo talmente assuefatti che si vuole far passare questa manovra per una MANOVRA ESPANSIVA quando in realtà è la manovra PIU’ AUSTERA degli ultimi 10 anni… Roba da matti!». Già, roba da matti. Qui a Volpi sfugge non solo la rilevanza politica dell’aperta ribellione a Bruxelles – tratto comune a tanti sovranisti -, sfugge anche il fatto che il numero in sé ben poco dice se non si considera il quadro in cui è inserito. Ad esempio, Amato nel 1993 conseguì un deficit del 10,03%. Manovra espansiva? No, il contrario (come ben sa chi ancora si ricorda quella finanziaria), dato che veniva dopo anni con deficit maggiori. Idem per Monti nel 2012, con un deficit al 3%, ma con quella pesantissima svolta austeritaria e deflazionista che tutti sanno. Vuol sostenere Volpi che il governo gialloverde farà una manovra più austera e recessiva di queste citate? Suvvia, cerchiamo di non essere ridicoli!

Analoghe considerazioni vengono svolte da Domenico Moro, che afferma che: «Per fare una manovra espansiva, che stimolasse la ripresa della produzione e del Pil, ci vorrebbe un deficit molto maggiore, cioè ben superiore al 3%».

Sappiamo perfettamente che è così, tant’è che parliamo di inversione di tendenza rispetto alle politiche austeritarie, non di un vero cambio di politica economica come invece sarebbe necessario. Precisando magari che questo cambio non dovrà esaurirsi però in una diversa, e superiore, percentuale di deficit. Ci stupisce tuttavia che una simile affermazione, sull’insufficienza del 2,4%, venga da uno come Moro che sostiene una decisa posizione no-euro.

Un no-euro non può non sapere che vere politiche espansive, e socialmente orientate, potranno arrivare solo dopo l’uscita dalla gabbia dell’euro. Ma questo Moro lo sa e difatti lo scrive. Dunque non si capisce proprio la critica al 2,4%, che è il punto più avanzato di disobbedienza a Bruxelles nel contesto dato. Qui la questione è squisitamente politica, e riguarda il percorso per uscire dalla moneta unica. Certo, anche a chi scrive piacerebbe rompere questa gabbia il prima possibile. Ma che forse siamo noi al governo?

Qui il problema è valutare se le mosse del governo avvicinano o allontanano il momento dello scontro. Detto all’opposto, se avvicinano o allontanano il trionfo della signora TINA. La politica è per sua natura processuale e discontinua al tempo stesso. La discontinuità impressa dalle decisioni sul DEF cosa avvicina e cosa allontana nel concreto? Per noi il giudizio è chiaro.

Ma poi, detto senza volontà polemica, Domenico Moro ricorda giustamente la necessità di uscire dall’euro, ma egli è anche un dirigente di Rifondazione Comunista, dunque un membro di Pap. Che forse il Prc e Pap sono per uscire dall’euro domattina, con emissione immediata delle nuove lire affidata alle stampanti di Je so’ pazzo? Qualora fosse ne saremmo felici. Qualora non fosse, sarebbe meglio far pulizia in casa propria prima di sputare troppo sugli altri.  

Concludiamo con una sorta di “prova del nove”.
Attualmente l’Italia si divide su tre posizioni: chi sostiene in vario modo (dunque anche criticamente) la politica del governo; chi la contrasta perché portatrice di scelte economiche scellerate, populiste ed antieuropee (il Pd, Forza Italia, le èlite in genere); chi ritiene che il governo gialloverde sia solo l’ultimo segmento della serie Monti-Letta-Renzi-Gentiloni (i massimalisti di cui ci siamo occupati sin qui). Tralasciando quella delle èlite, chi ha ragione tra la prima e la terza posizione? In breve, chi tra noi e i massimalisti?

La mia personalissima “prova del nove” consiste in una sola mossa: parlare con le persone.
E il risultato è chiarissimo. Se per un quarto di secolo mi hanno fermato per strada per chiedermi cosa avrebbero perso con la finanziaria di ognuno di quegli anni (pensioni, tasse, sanità, eccetera), quest’anno le persone (talvolta le stesse) mi fermano per chiedermi cosa possono aspettarsi in positivo sulle pensioni, su quella cartella dell’Agenzia delle Entrate che non si riesce a pagare, sulla cassa integrazione che forse gli coprirà quell’ultimo anno mancante per lasciare il lavoro.

Vi sembra poco? Certo, “piccole” cose della vita quotidiana. Talmente “piccole” da poter alimentare qualcosa di grande, perché le battaglie politiche che cambiano la storia si fanno solo con le grandi masse.

In ogni caso, senza esagerarne il significato, la mia “prova del nove” ha dato questi risultati. Provate anche voi, e poi riparliamo dei decimali.