Cinque noterelle su condono e dintorni

Ieri, come ha scritto Piemme, l’Unione Europea ha dichiarato formalmente guerra all’Italia. E’ come minimo bizzarro che nello stesso preciso istante in cui veniva consegnato l’ultimatum dall’ambasciatore Moscovici, a Roma si discutesse di tutt’altre faccende. Cioè delle modalità del condono fiscale.

Poiché la situazione è realmente di pre-emergenza, limitiamoci qui a quattro considerazioni su questo tema più una conclusione di carattere generale.

1. Di per sé un condono non è uno scandalo. Dipende da cosa si condona, da chi ne beneficierà, dagli scopi che ci si prefigge. Tutti possono capire che andare incontro ai milioni di famiglie impossibilitate a pagare a causa della crisi è un fatto positivo; favorire i soliti furbi – o peggio chi ha commesso reati anche gravi – è invece tutt’altra cosa. Il concetto è così chiaro che insistervi sarebbe solo un insulto ai lettori. Va dunque cancellata – se davvero nel testo c’è – la non punibilità dei reati extra-tributari e per chi ha esportato i capitali all’estero. Cioè – detto per inciso – per quei signori già beneficiati dalla Voluntary disclosure del governo Renzi (e oggi il Pd ha pure la faccia tosta di gridare allo scandalo…)

2. Generalmente un condono ha senso (non solo in materia fiscale) se è contestuale all’adozione di nuove regole. Si sana il pregresso e si riparte con un sistema nuovo che si spera migliore, più giusto, più efficiente, eccetera. Ma qui (lasciando da parte il giudizio nel merito dell’ipotesi di flat tax, per noi negativo) non siamo in presenza di questo cambiamento. Dunque sarebbe stato meglio rinviare il condono, oppure limitarlo rigidamente alle cosiddette “vittime della crisi”, ed è sperabile che nelle prossime ore si vada proprio in questa direzione.

3. Fermi restando i concetti dei due punti precedenti, un condono ha senso se serve a far cassa in maniera davvero significativa. Improvvidamente, qualcuno a maggio parlava di 50 miliardi. Se questa cifra fosse stata realistica certo avrebbe fatto comodo, ad esempio per attuare più incisivamente una politica di rilancio degli investimenti pubblici. Ma così non è, ed anzi le cifre ufficiali lasciano basiti. Mi riferisco ai numeri del Dpb, cioè il Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles e già rispedito arrogantemente al mittente dalle canaglie della Commissione Europea. Secondo queste cifre la “pace fiscale” porterà in cassa la miseria di 182 milioni nel 2019, un miliardo e duecento milioni nel 2020, un miliardo e mezzo nel 2021. Queste le cifre ufficialmente disponibili, mentre altre stime parlano di circa due miliardi annui per cinque anni. Anche fosse vera quest’ultima valutazione, saremmo di fronte a cifre irrisorie: lo 0,1% del Pil. Ma come, nel momento che l’UE scatena la bagarre ci si fa infilzare per (al massimo) lo 0,1% del Pil?…

4. Già che parliamo del Dpb vogliamo dire però qualcosa a difesa del governo. Dopo tanto berciare su un presunto regalo fiscale ai ricchi che avrebbe dissestato i conti pubblici, cosa scopriamo in questo documento? Scopriamo essenzialmente tre cose: a) che le misure messe in cantiere lasceranno inalterato il gettito fiscale, mentre la spesa pubblica è prevista in aumento dal 48% al 48,3% del Pil nel 2019; b) che l’alleggerimento fiscale per le partite IVA a reddito più basso sarà più che compensato da maggiori aggravi per le aziende più grandi; c) che degli 8 miliardi di nuove entrate, circa l’80% (6,4 miliardi) arriverà da banche, assicurazioni e imprese.

5. Dopo queste brevi noterelle, una conclusione si impone. Il Dpb, al pari della Nadef (Nota di aggiornamento del Def), va nella giusta direzione. A nostro avviso in maniera troppo prudente, ma la direzione è quella giusta, tant’è che a Bruxelles l’hanno notato senza indugio. Bene, se così stanno le cose la baruffa sul condono è oltremodo insensata e pericolosa. Insensata, perché porta l’attenzione su un aspetto tutto sommato marginale (ma facilmente attaccabile) della manovra economica. Pericolosa, perché di fronte alla dichiarazione di guerra del blocco eurista, occorre unità, coesione e mobilitazione.

E’ quella con l’oligarchia eurista la vera battaglia. Tanti già lo sanno, ma bisogna farlo capire ad altri milioni di italiani. Solo concentrando le forze nella giusta direzione sarà possibile vincere. Personalmente resto ottimista, anche perché sarà la stessa durezza dell’attacco eurista a spingere al ricompattamento. Ma certi errori devono finire.