
La Commissione europea (per nome e per conto del grosso dei paesi della Unione) confermata la sua severa bocciatura della Legge di bilancio italiana — “deviazione senza precedenti del Patto di stabilità e crescita” — ha lanciato l’ultimatum a Roma: “avete tre settimane di tempo per cambiarla, altrimenti vi sanzioniamo”.
Di Maio e Salvini, forti della maggioranza parlamentare e dell’ampio consenso che godono nel Paese, anzitutto tra le classi subalterne, hanno risposto picche.
Altre volte era accaduto che Bruxelles tirasse le orecchie a qualche governo “spendaccione”, sempre ottenendo la resa. Mai era successo che una capitale confermasse la propria posizione avversa. In questo gesto di disobbedienza e di sfida c’è tutta la cifra del governo “populista” di Roma, che apre una crisi inedita dell’Unione europea. Non si tratta del 2,4%, la partita è tutta politica, la posta in palio essendo chi davvero sotto le Alpi sia titolare della sovranità.
Se le cose stanno così il governo giallo-verde merita di essere sostenuto. Guai a chi non vuole riconoscerlo o fa finta di non riconoscerlo. Ma guai anche a chi non veda i rischi enormi di questa sfida. Molte testate già parlano di “guerra”. E in effetti guerra sarà. E allora ci si deve chiedere se i generali Di Maio e Salvini saranno all’altezza. Se essi si stanno attrezzando a vincerla, se quindi hanno un piano di battaglia.
Di Maio, preoccupato di “tranquillizzare i mercati” ha ripetuto ieri che lui non vuole uscire dall’euro, anzi che finché M5s sarà forza di governo non lo permetterà mai. Lo sapevamo, grazie. Ma che farai se il nemico ti metterà con le spalle al muro, se ti troverai davanti all’alternativa secca: o capitolare o uscire?
Le due forze al governo immaginano di dare una botta al cerchio e una alla botte, confidando che la loro “manovra” susciterà una “crescita” tale che potrà permettere sia di andare incontro alle istanze del popolo che le ha votate, sia di rispettare gli stringenti vincoli di bilancio dell’Unione europea. Domanda: che accadrà ove questa “crescita” sarà molto più modesta, o se addirittura non ci fosse?
Nella sua lettera di risposta a Bruxelles Tria ha scritto:
«Qualora il rapporto debito/pil e deficit/pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato il governo si impegna ad adottare tutte le misure necessarie perché questi obiettivi (riduzione di deficit e debito) vengano rigorosamente rispettati».
Concetto ripetuto da Giuseppe Conte nella conferenza stampa di ieri:
«Ove la nostra “manovra” non sortisse gli effetti sperati, correremo ai ripari, chiedendo agli italiani i sacrifici necessari per tenere i conti a posto».
Che detto in parole povere significa che si tornerebbe a politiche austeritarie. La qual cosa fa il paio con quanto affermato da Paolo Savona l’8 ottobre:
“Se ci sfugge lo spread, se va a quota 400 la manovrà dovrà deve cambiare… I numeri messi nero su bianco nella Nota di aggiornamento al Def verranno modificati nel caso in cui i mercati continuino a prendere di mira i titoli di Stato italiani».
C’è di che essere molto, ma molto preoccupati. Dichiarazioni simili sono un assurdo sul piano della dottrina. Savona, Tria e Conte sanno bene che a maggior ragione in caso di recessione ci sarebbe bisogno, di contro alla visione ordo-liberista, di politiche economiche pubbliche anti-cicliche, ovvero di forte spesa pubblica per rilanciare investimenti e domanda interna. Parliamoci chiaro, ove queste affermazioni fossero sincere esse equivalgono ad una preventiva dichiarazione di resa a Bruxelles. La qual cosa incoraggerà gli eurocrati ad attestarsi sulla linea dura contro l’Italia.
Col che avremmo già la risposta alla domanda di cui sopra: no, questo governo populista non sembra all’altezza dello scontro in atto, non si sta attrezzando per vincere la guerra, non ha un piano di battaglia.
Amici che stimiamo ci dicono invece di stare tranquilli, che certe dichiarazioni sono solo tattica per lasciare in mano a Bruxelles il cerino acceso della responsabilità della rottura, che nel governo c’è chi ha un “Piano B” per l’uscita. Noi ne dubitiamo. A noi pare che un “Piano B” di uscita unilaterale non ci sia e non venga contemplato. A noi pare che a Roma non soltanto si illudano che la partita appena cominciata possa durare a lungo, ma che credano che l’Unione e l’eurozona vengano giù per decisione condivisa e consensuale. Noi tendiamo ad escludere entrambe queste ipotesi.
Resta che ove in primavera la situazione economica volgesse al peggio il governo sarà sottoposto a pressioni e ad attacchi che faranno impallidire quello portato nel 2011 a Berlusconi. Sostenuti dai collaborazionisti interni, a Bruxelles punteranno allo sfaldamento dell’alleanza populista, alla spaccatura in entrambe le forze tra radicali e moderati, quindi, in un clima di altissima tensione, alla caduta del governo giallo-verde.
Nessun dorma!