Prepararsi alla lotta

Alcuni appunti amichevoli a Stefano Fassina e Sergio Cesaratto

Stefano Fassina e Sergio Cesaratto sono di fatto due autorevoli esponenti di quel campo della sinistra patriottica che si va in qualche modo componendo. Al di là delle diverse scelte politiche contingenti, siamo da tempo in larga sintonia con loro sulle questioni di fondo. Non a caso i nostri rapporti sono amichevoli.

Naturalmente questo non significa che non vi siano differenze. E mi pare giusto, e spero utile alla discussione, segnalare alcuni punti critici di due loro recentissimi interventi.

Partiamo dall’articolo di Fassina dal titolo «Lettera Ue dovuta. Confermare deficit al 2,4%, ma riscrivere Legge di Bilancio», dove si sostiene appunto che: «riconoscere il profilo della Nota di Aggiornamento al Def come condizione necessaria non implica “tema libero” per la scrittura della Legge di Bilancio». Siamo ovviamente d’accordo, e fra l’altro il parlamento è lì anche per questo. Tuttavia l’argomentazione su come “riscrivere” la Legge di Bilancio non mi convince.

Ma facciamo un passo indietro. Nella prima parte del suo intervento, Fassina fa tre affermazioni importanti: che il problema dell’Europa è il mercantilismo tedesco, che «sarebbe ora di riconoscere l’insostenibilità sistemica del mercato unico e dell’euro», che «l’innalzamento degli obiettivi di deficit di finanza pubblica per il prossimo triennio era necessario». Fin qui non possiamo che condividere in toto.

I problemi nascono nella parte finale dell’articolo, dove il suo ragionamento sulla manovra viene così condensato:
«Per attenuare la spirale distruttiva tra inevitabile bocciatura della Commissione e dei governi europei (“amici” di Visegrad inclusi), comportamento delle agenzie di rating e disinvestimenti da parte degli operatori finanziari, la manovra deve concentrare l’extra-deficit sugli investimenti pubblici in piccole opere e definire un ordine di priorità per gli interventi di contrasto alla povertà e inserimento al lavoro e di allentamento delle regole per il pensionamento. L’ossessione elettorale deve essere ridimensionata. L’attuazione delle “promesse” va collocata nell’orizzonte della legislatura».

Premesso un pieno accordo sull’esigenza di spingere al massimo sugli investimenti pubblici, sia per quel potranno dare in termini di crescita e di occupazione, sia per la necessità di tutta una serie di interventi di manutenzione del territorio, della rete viaria e delle infrastrutture in genere; vi sono in questa argomentazione almeno tre problemi.

Il primo è che non si ferma l’attacco concentrico all’Italia spostando l’extra-deficit su spese considerate più produttive. La guerra scatenata da Bruxelles non è sui decimali (che comunque Fassina non toccherebbe), né sulle singole misure. L’oggetto del contendere è invece squisitamente politico: chi comanda a Roma, il governo che ha la maggioranza dei voti degli italiani, o la Commissione europea con i suoi diktat? In palio è dunque la stessa sovranità nazionale. Questa è la partita e da questo non si scappa.

Il secondo problema è che l’andamento dello spread è legato principalmente alla consapevolezza di fondo – il governo dice alla “percezione” – che la strada imboccata dalla maggioranza gialloverde possa portare alla fine dell’euro. I mercati prezzano cioè il “rischio ridenominazione”. E’ naturale che sia così. Ed anche qui, al di là dei comprensibili tatticismi, non si scappa: o si proclama la resa ai signori dell’euro (ma non è certo questa l’opinione di Fassina) o si accetta lo scontro fino alle sue estreme conseguenze. Di certo non sarà con il semplice spostamento dell’extra-deficit che si calmerebbero i mercati.

Il terzo problema è che si fa intravvedere l’esigenza di una rinuncia, sia pure parziale e momentanea, agli interventi sulla Fornero e sul Reddito di cittadinanza. E qui non ci siamo proprio. Mentre dei tre punti centrali del programma di governo, salta (almeno per ora) quello decisamente più negativo (la flat tax), gli interventi sulle pensioni e sul reddito non sono solo “promesse elettorali”, che se anche così fosse non si vede perché criticare un governo che – una volta tanto – prova a rispettarle, sia pure solo parzialmente.

Ma non si tratta di mere promesse elettorali. Al di là del suo valore simbolico e di giustizia sociale, “quota 100” darà spazio all’ingresso di tanti giovani nel mondo del lavoro. Può darsi che certe stime governative siano troppo ottimistiche in proposito, ma non si vede proprio perché trascurare questo aspetto. In quanto al Reddito di cittadinanza, è ovvio che non sarà la soluzione di tutti i mali. Ma, se è per questo, neppure gli investimenti pubblici potranno esserlo nell’immediato. Lo ribadisco a scanso di equivoci: il piano di investimenti previsto nella manovra del governo è insufficiente, bisogna spingere in tutti i modi per un suo deciso rafforzamento, ma non a scapito degli interventi sociali previsti (peraltro troppo modesti anch’essi). In altri termini, è chiaro che l’obiettivo dev’essere il diritto ad un lavoro dignitoso per tutti, ma nel frattempo è forse sbagliato dare un sostegno a chi questo lavoro non l’avrà ancora ottenuto? A me non pare proprio.

C’è infine un quarto problema, ancor più politico, nelle conclusioni di Fassina sui rapporti con altri governi europei. Ecco cosa scrive in proposito: «Va anche cercato un sostegno dei governi Ue interessati al cambio di regime economico: Spagna, Portogallo, Grecia, anche Francia, nonostante l’autolesionistica subalternità di Parigi alla Germania».

Certo che un’azione diplomatica è necessaria. Certo che si può provare con Spagna e Portogallo, anche se per adesso segnali favorevoli da quelle parti non ne sono venuti. Sorvoliamo poi sulla Grecia, che se c’è un esempio da non seguire questo è proprio quello di Tsipras (ma su questo Fassina sarà d’accordo). Quel che non vedo proprio è cosa si potrebbe ottenere da Macron. Non solo ci sono le smodate ambizioni del soggetto, non solo c’è l’illusione dell’«Asse Carolingio»; da quelle parti ci sono anche precisi interessi a spolpare ulteriormente l’economia italiana per continuare una campagna di depredamento che è già andata fin troppo avanti.

Passiamo adesso a Sergio Cesaratto. Più precisamente a quel che dice in un’intervista al Sussidiario di ieri l’altro.

Al pari di Fassina, anche Cesaratto apprezza la rottura di una politica tendente al pareggio di bilancio, ma non sembra affatto convinto della possibilità di resistere alle pressioni di Bruxelles e Francoforte, dato che «abbiamo a che fare con dei nemici, altro che solidarietà europea». Ben detto: “nemici” è il termine giusto.

Ma qual è la proposta per uscire dalla morsa attuale? Secondo Cesaratto, il governo dovrebbe: «Andare davanti alla commissione e proporre uno scambio. Noi rispettiamo le regole, ma qualcuno (evidentemente la Bce, ndr) agisca sul fronte degli interessi». In questo modo, prosegue il suo ragionamento, «il governo potrebbe usare i risparmi sulla spesa per interessi per realizzare il programma elettorale».

Ora, a parte che i soldi recuperati con la riduzione dello spread non basterebbero comunque a realizzare il programma elettorale, il fatto è che una decisione europea come quella auspicata non arriverà mai. Ce lo dice lo stesso Cesaratto: una politica della Bce per far diminuire i tassi e sostenere i titoli del debito italiano? «No, non lo farà», risponde nell’intervista.

E allora? «Allora siamo messi male», osserva l’intervistatore, ottenendo questa risposta: «Con questa Europa certamente sì. Il governo la metta alle strette. E vada a trattare. Noi torniamo indietro, ma voi cosa fate? Che strumenti predisponete?». E «Se si va allo scontro?», insiste il giornalista. «Con tassi così alti andiamo allo sfascio. E’ un’avventura, perché abbiamo a che fare con dei nemici, altro che solidarietà europea».

«Andiamo allo sfascio». Non che le osservazioni dell’economista Cesaratto siano fuori luogo. Si tratta di preoccupazioni sensate, come quelle espresse da Stefano Fassina. Ma che forse il governo Conte ha voluto improvvidamente lo scontro? Ai gialloverdi si possono fare tante critiche, ma non quella di non aver cercato il compromesso.

Cari amici (e compagni) Fassina e Cesaratto, chi scrive vi stima sinceramente, apprezzando sia il vostro contributo politico-culturale alla battaglia per salvare l’Italia dal disastro, sia (e Dio solo sa quanto sia rara) la vostra onestà intellettuale. Proprio per questo vi chiedo: ma davvero credete che il redde rationem possa essere rinviato ancora a lungo? Certo, smascherare fino in fondo l’ipocrisia di questa Europa è sempre utile, ma possiamo limitarci a questo? Certo, un buon compromesso sarebbe sempre meglio che una disastrosa ritirata. Ma credete davvero che ci siano alternative al combattimento?

Io non lo penso proprio, ed allora il tema è un altro. Non quello di provare a prendere ancora tempo, bensì quello di come attrezzarsi rapidamente ad una lotta da cui dipenderà il futuro del nostro Paese. Per vincerla, s’intende.